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INTERVENTO DEL CARDINALE SEGRETARIO DI STATO,
PIETRO PAROLIN,
AL SIMPOSIO SUL TEMA

«DIFENDERE LA LIBERTÀ RELIGIOSA: PARTNERSHIP E AZIONI»

[Pontificia Università della Santa Croce, 25 giugno 2018]


Per proteggere le minoranze religiose*
 

Sette punti essenziali

 

Durante la sua visita negli Stati Uniti d’America nel settembre 2015, nel discorso tenuto nella Independence Hall, Papa Francesco ha ricordato come la Dichiarazione d’indipendenza affermi che tutti gli uomini e tutte le donne sono creati uguali, che sono dotati dal loro Creatore di alcuni diritti inalienabili, e che i governi esistono per proteggere e difendere tali diritti (cfr. Papa Francesco, Incontro per la libertà religiosa con la comunità ispanica e altri immigrati, Independence Hall, Philadelphia, sabato, 26 settembre 2015). Questo principio fondamentale è ripreso nell’International Religious Freedom (Irf) Act, approvato dal Congresso degli Stati Uniti d’America e convertito in legge con la firma del presidente Clinton il 27 ottobre 1998. Quella legislazione bipartisan sottolineava l’importanza della promozione della libertà religiosa internazionale come aspetto centrale della politica estera statunitense.

Un tale impegno è molto importante al presente poiché, purtroppo, la persecuzione religiosa continua a crescere enormemente.

In mezzo alle tante situazioni che sfidano il diritto alla libertà di religione e di coscienza, la Chiesa cattolica incoraggia tutte le persone di buona volontà a continuare a suscitare consapevolezza, al fine di consentire ai membri delle diverse comunità religiose di godere appieno della libertà di religione e di professare liberamente e pubblicamente la propria fede in ogni parte del mondo. Per raggiungere un tale obiettivo, i governi, i leader religiosi, le organizzazioni internazionali e i membri della società civile devono cooperare in stretta partnership e in stretta collaborazione con la comunità internazionale, al fine di intraprendere azioni e iniziative che riconoscano che la promozione e la protezione della libertà di religione non è una “preferenza” per l’uno o l’altro gruppo religioso, bensì il riconoscimento dell’uguale dignità di ogni persona umana, e che la violazione dei suoi diritti fondamentali costituisce un grave abuso.

Ho notato con grande interesse che l’agenda di questo simposio include la testimonianza personale di due vittime, appartenenti una alla comunità Yezidi, l’altra alla comunità rohingya. Papa Francesco ha dimostrato vicinanza a entrambi i gruppi minoritari e ha espresso preoccupazione per la violenza che stanno subendo. Durante il suo incontro con una comunità yezidi che vive in Germania, ha deplorato come la ricca spiritualità e cultura della comunità yezidi sia stata tristemente segnata da indicibili violazioni di diritti umani fondamentali: rapimento, schiavitù, tortura, conversione forzata e uccisione. I santuari e i luoghi di culto yezidi sono stati distrutti (cfr. Papa Francesco, Discorso a una rappresentanza della comunità yezidi in Germania, Vaticano, 24 gennaio 2018). Allo stesso modo, durante il suo viaggio apostolico in Myanmar e Bangladesh, Papa Francesco ha incontrato un gruppo di rifugiati rohingya in Bangladesh, rassicurandoli della sua vicinanza.

La Santa Sede non si stanca mai di intervenire per denunciare queste situazioni, domandando riconoscimento, protezione e rispetto; in favore non solo dei cristiani, ma anche di tutte le religioni e i gruppi etnici che subiscono discriminazione e persecuzione. Al tempo stesso, chiede dialogo e riconciliazione per guarire tutte le ferite.

Incontrandosi per costruire l’unità, coltivare l’armonia e sviluppare un approccio di mediazione, i governi, i leader religiosi, la società civile e le organizzazioni internazionali devono testimoniare in modo chiaro che nessuna violenza nel nome della religione è accettabile.

Prima di concludere vorrei fare un’osservazione riguardo al primo dibattito del simposio, incentrato su «Promuovere i diritti delle minoranze religiose in Medio oriente».

La morte, la devastazione e la distruzione causate dal conflitto in corso, a cui abbiamo assistito negli ultimi anni, minacciano la sopravvivenza stessa delle minoranze religiose in Medio oriente, luogo che un tempo vedeva la pacifica coesistenza di popoli con identità religiose ed etniche differenti. Ideologie estremiste hanno minacciato, e continuano a minacciare, il panorama stesso della regione, sradicando cristiani e altre minoranze che continuano a essere una parte intrinseca della sua identità.

Per concludere le mie osservazioni, vorrei sottolineare sette elementi essenziali che, secondo la Santa Sede, possono contribuire a proteggere in modo efficace le minoranze religiose.

In primo luogo c’è l’urgenza di superare ogni e qualsiasi indifferenza politica: coloro ai quali è affidata la salvaguardia del rispetto dei diritti umani fondamentali devono adempiere alla loro responsabilità di proteggere quanti rischiano di subire atroci crimini. Dobbiamo accrescere la sensibilità pubblica dinanzi alle realtà di tante emergenze umanitarie e adoperarci per provvedere e assicurare che vengano solidamente create le condizioni sociali, politiche ed economiche essenziali per agevolare il ritorno delle minoranze religiose ed etniche nei loro luoghi d’origine, cosa essenziale per la pacifica coesistenza.

In secondo luogo, deve esserci pieno rispetto dello stato di diritto e dell’uguaglianza dinanzi alla legge basata sul principio di cittadinanza, a prescindere dalla religione, razza o etnicità. La legge deve garantire in modo equo e inequivocabile i diritti umani di ogni cittadino, tra cui il diritto di libertà di religione e di coscienza. Anche laddove a una religione viene garantito uno speciale status costituzionale deve essere in ugual modo riconosciuto e tutelato il diritto di tutti i cittadini e le comunità religiose alla libertà di religione.

In terzo luogo, pur mostrando rispetto reciproco per le rispettive autonomie, deve esserci una collaborazione positiva tra le comunità religiose e lo Stato. Sebbene indipendenti, entrambe le entità sono impegnate per il benessere della persona umana, che è sia religiosa sia cittadina. Una maggiore cooperazione tra loro porterà a un servizio più efficace per il bene di tutti (cfr. Concilio Vaticano II, Gaudium et spes, n. 76 § 3).

In quarto luogo, tutti i leader religiosi hanno il serio dovere di condannare l’abuso della fede e del sentimento religiosi per giustificare il terrorismo e di affermare che nessuno può prendere vite innocenti nel nome di Dio.

In quinto luogo, occorre un dialogo interreligioso efficace per passare oltre l’assunto pessimistico che i conflitti tra i credenti religiosi sono inevitabili. Tale dialogo dovrebbe anche cercare di affrontare quelle interpretazioni intransigenti dei testi religiosi che demonizzano o disumanizzano chi è di fede diversa.

In sesto luogo, una buona formazione in generale e una solida educazione religiosa in particolare sono la chiave per prevenire la radicalizzazione che porta all’estremismo. Attraverso una buona educazione, le generazioni future possono essere allevate con la ben fondata speranza che il rispetto reciproco e la pacifica coesistenza con le persone di credi religiosi differenti sono possibili.

In settimo luogo, infine, occorre porre termine in modo definitivo e certo al flusso di denaro e di armi destinati a quanti intendono usarli per prendere di mira le minoranze religiose. Porre fine alle atrocità non significa solo affrontare l’odio e i cancri del cuore che generano violenza, ma anche eliminare gli strumenti per mezzo dei quali tale odio mette concretamente in pratica tale violenza. Come ha osservato Papa Francesco (Discorso ai partecipanti alla conferenza internazionale per la pace, Al-Azhar Conference Centre, Il Cairo, venerdì, 28 aprile 2017): «È necessario arrestare la proliferazione di armi che, se vengono prodotte e commercializzate, prima o poi verranno pure utilizzate».


(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLVIII, n.144, 27/06/2018)