Index

  Back Top Print

INTERVENTO DEL SEGRETARIO DI STATO PIETRO PAROLIN
IN OCCASIONE DELL’APERTURA DELLE CELEBRAZIONI
PER I 150 ANNI DELL'OSPEDALE PEDIATRICO BAMBINO GESÙ

Auditorium di San Paolo fuori le Mura
Martedì, 19 marzo 2019

 

È per me motivo di grande gioia partecipare all’incontro di apertura delle celebrazioni per i 150 anni dell’ospedale Pediatrico Bambino Gesù. Saluto tutti con viva cordialità e vi porto l’affettuosa vicinanza e la benedizione di Papa Francesco.

Anche in questo momento, particolarmente significativo, valgono le indicazioni che egli dava nel 2014 in occasione dell’Anno della vita consacrata: e cioè che ogni anniversario è occasione per guardare il passato con gratitudine, vivere il presente con passione, abbracciare il futuro con speranza (cfr. Lettera apostolica per l’Anno della vita consacrata).

Guardiamo con gratitudine, quindi, ai 150 anni trascorsi! La nostra gratitudine va a Dio, datore di ogni bene, e a tutte le persone che in questo ormai lungo periodo hanno prestato la loro opera, con dedizione, generosità, disinteresse e professionalità, a favore dei piccoli pazienti.

Guardare al passato e raccontare la propria storia è indispensabile per tenere viva l’identità, rinsaldare l’unità all’interno di una comunità e favorire il senso di appartenenza dei suoi membri.

Qual è l’identità dell’ospedale Bambino Gesù? Essa si radica nella parola di Gesù al capitolo 25 del vangelo secondo san Matteo: «Ero malato e mi avete visitato». Visitare gli infermi è una delle opere di misericordia corporale, una delle opere dell’amore, che deve caratterizzare lo stile dei singoli cristiani e delle comunità cristiane.

La Chiesa l’ha tradotta in molti modi, tra l’altro dando vita a ospedali e ad altre istituzioni di cura e moltiplicandoli nel corso del tempo, come segno della sua costante attenzione nei confronti della persona umana — in modo particolare, dei più deboli e i più vulnerabili — e della sua volontà e capacità di mettersi al loro servizio; con un atteggiamento che oserei definire “profetico”, nel senso cioè di saper cogliere, con prontezza e spesso in anticipo rispetto alla società civile, i bisogni e le necessità di una determinata epoca e di venirvi incontro. Il concilio ecumenico Vaticano II ha parlato del dovere permanente della Chiesa di scrutare i segni dei tempi e di interpretarli alla luce del Vangelo (cfr. Gs n. 4). Mi pare possibile applicare anche al nostro caso queste parole della Gaudium et spes, il documento che tratta della presenza e della missione della Chiesa nel mondo contemporaneo Quando, infatti, 150 anni fa sorse l’Ospedale Bambino Gesù non esistevano ospedali specificatamente dedicati alle cure dei bambini.

Esso è espressione di quella “fantasia della carità” che Papa san Giovanni Paolo II richiamava nell’esortazione apostolica Novo millennio ineunte, pubblicata al termine del Grande giubileo del 2000. La carità è inventiva, la carità è creativa. Ubi amor ibi oculos, affermava Riccardo di San Vittore. Dove c’è l’amore, lì c’è lo sguardo, lì ci sono occhi per vedere, per essere consapevoli, per rendersi conto, e ci sono occhi per provvedere, per soccorrere, per aiutare, non solo con atti di beneficenza sporadici, ma realizzando opere in grado di interpretare e rispondere nel presente alle esigenze dei più bisognosi e di proiettarsi nel futuro. Tale “fantasia della carità” — spiegava il Papa — deve dispiegarsi «non tanto e non solo nell’efficacia dei soccorsi prestati, ma nella capacità di farsi vicini, solidali con chi soffre. Così che il gesto di aiuto sia sentito non come obolo umiliante, ma come fraterna condivisione».

L’ospedale pediatrico Bambino Gesù nasce da un’intuizione ispirata, trova concretezza in un progetto, cresce con il protagonismo dei singoli e con il sostegno della comunità e si distingue nella sua storia per essere solidale con chi soffre, oltre che essere efficace nel soccorso prestato.

Oggi lo scenario è radicalmente cambiato rispetto al tempo in cui l’ospedale muoveva i primi passi. In Italia si è avviato e consolidato un sistema di Servizio sanitario nazionale, che aspira a realizzare il principio di uguaglianza proclamato nell’articolo terzo della Costituzione. Tutti i cittadini, ricchi o poveri, giovani o adulti, hanno diritto alle cure. In questo modo si tutela e si promuove la vita.

Tale sistema coinvolge diversi attori istituzionali, come le Regioni e lo Stato, e contemporaneamente intreccia l’azione privata con l’azione pubblica. È una realtà complessa che va costantemente seguita, governata, sostenuta e stimolata, perché il livello dei servizi prestati e della loro qualità sia sempre adeguato alla dignità umana di ogni infermo. «La persona del malato venga rispettata nella sua dignità e mantenuta sempre al centro del processo di cura», esortava Papa Francesco nel messaggio per la Giornata mondiale del malato 2018. Mettere al centro il malato significa, tra l’altro, saper coniugare l’azione del “curare” la malattia con quella di “prendersi cura” di tutto il paziente, della sua persona e del suo mondo affettivo, relazionale, psicologico e anche spirituale.

Nel corso della sua storia, l’ospedale Bambino Gesù ha offerto con continuità il suo contributo alla crescita della sanità italiana, dapprima garantendo l’accesso alle cure per i piccoli ammalati e in seguito sviluppando l’impegno della ricerca scientifica, fino a ottenere, nel 1985, il riconoscimento di Istituto di ricerca e cura a carattere scientifico (Irccs). Oggi è una delle eccellenze a livello europeo e mondiale. La sede, in cui si svolge il nostro incontro, è il più grande centro europeo di ricerca dedicato alle cure pediatriche. La cura passa necessariamente per la ricerca, che richiede sempre investimenti importanti in strutture, tecnologie e risorse umane. È essenziale investire in percorsi di innovazione scientifica per rispondere alle sfide del futuro.

Anche se la situazione è radicalmente cambiata rispetto ai tempi delle prime esperienze pionieristiche, la Chiesa non smetterà mai di prestare attenzione ai malati. Con quello sguardo di amore e con quell’atteggiamento “profetico” che richiamavo in precedenza. Penso in particolare alle nuove povertà sanitarie: malattie croniche e malattie rare, disturbi mentali, anziani ed emarginati. Gli ultimi andranno sempre tutelati, ci saranno sempre famiglie da coinvolgere nell’azione di cura, si dovranno attivare sempre reti perché nessuno sia lasciato solo. Perché — come ci ha ricordato Papa Francesco nel messaggio per la Giornata mondiale del malato di quest’anno — «la salute è relazionale, dipende dall’interazione con gli altri e ha bisogno di fiducia, amicizia e solidarietà, è un bene che può essere goduto “in pieno” solo se condiviso».

L’ambiente naturale in cui l’ospedale Bambino Gesù svolge il suo compito è all’interno del Servizio sanitario nazionale, dove vuole continuare a essere protagonista a Roma, nel Lazio e in Italia. L’ospedale è però anche espressione della Chiesa cattolica, il cui orizzonte è, per definizione, universale. Se il nostro sguardo non fosse indirizzato verso le periferie del mondo, non risponderemmo alla nostra vocazione. Ancora una volta ubi amor ibi oculos! Lo stile concreto di questa missione — che significa condivisione del sapere, formazione, accompagnamento — ha trovato una bella realizzazione nella recente apertura dell’ospedale di Bangui, nella Repubblica Centrafricana. Testimonianza questa che per l’ospedale Bambino Gesù non ci sono muri o confini, né razze o appartenenze religiose che separino dalla carità.

Così vogliamo proseguire nel presente, con passione, il nostro grande compito, quello di prenderci cura dei bambini ammalati, compresi quelli che nei loro paesi non ne hanno la possibilità, come segno della carità di Gesù Cristo e della sua Chiesa, e di aprirci quindi, e abbracciare con speranza il futuro che ci sta davanti.


(da: L'Osservatore Romano, ed. quotidiana, Anno CLIX, n.66, 20-21/03/2019)