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Una riflessione del priore di Taizé

La riconciliazione, uno scambio di doni


Fratel Alois

A Taizé i nostri cuori hanno gioito quando abbiamo appreso che il Santo Padre ha proposto alla riflessione dei cardinali la questione dell'ecumenismo. Accogliendo tanti giovani, sappiamo che molti di essi non capiscono più il senso delle divisioni confessionali ereditate dal passato. Se non prendiamo coscienza di ciò, rischiamo di non poterli più accompagnare alle sorgenti della fiducia della fede.
Scrivo queste righe dalla lontana Asia, dove sono venuto per visitare i nostri fratelli che vivono in Corea. Questo viaggio include incontri di giovani a Bangkok, a Hong Kong, in Indonesia e in Cambogia. Qui la necessità dell'unità visibile mi appare ancora più evidente. In una situazione in cui i cristiani sono una minoranza, la testimonianza del Vangelo è molto indebolita dalle nostre divisioni.
In Asia le grandi tradizioni religiose, la saggezza profonda che vi si esprime, esigono il nostro rispetto. Allo stesso tempo, mostrano chiaramente che noi, cristiani, ci fondiamo sulla Rivelazione, su "quelle cose che l'occhio non vide né orecchio udì" (1 Corinzi, 2, 9). Per essere testimoni di questa Rivelazione del nome di Dio in Cristo non possiamo che essere insieme. Essere separati non ha alcun senso.
A Taizé o in fraternità disseminate nei continenti, noi fratelli lo constatiamo: tanti giovani in tutto il mondo cercano di superare muri di odio o d'indifferenza. Essi sanno che la riconciliazione con Dio implica la riconciliazione fra gli uomini. Sanno anche che la pace mondiale inizia nei cuori. Nella loro sete di autenticità, ci rimandano questo appello: perché l'impegno dei cristiani per la riconciliazione nel mondo sia credibile è fondamentale che essi siano uniti fra loro. Come si può essere testimoni di un Dio d'amore e lasciare perdurare le nostre divisioni?
La riconciliazione non è una delle tante dimensioni del Vangelo, essa ne è la sintesi. È l'espressione della vita nuova portata da Cristo "È stato Dio infatti a riconciliare a sé il mondo in Cristo" (2 Corinzi, 5, 19). Significa il ripristino di una fiducia reciproca fra Dio e l'uomo, fiducia che trasforma le relazioni fra gli uomini.
I nostri gesti di riconciliazione non possono che ispirarsi al modo in cui Dio viene verso di noi. In Cristo, Dio accoglie la nostra umanità in lui e ci comunica la sua vita. Questa comunione è uno scambio. Essere ambasciatori di riconciliazione significa comunicare la vita di Cristo, ma anche ricevere i doni che Dio ha offerto agli altri. La riconciliazione è uno scambio di doni. L'insieme dei doni offerti da Dio a ognuno è necessario per rendere udibile la voce del Vangelo.
Venerdì, il cardinale Kasper ha ricordato ai cardinali che l'enciclica di Papa Giovanni Paolo II Ut unum sint, parla di "uno scambio non solo di idee, ma di doni". A ragione ha poi aggiunto: "Tale ecumenismo di scambio non è un impoverimento, ma un arricchimento reciproco".
E il cardinale ha continuato dicendo: "nel dialogo fondato sullo scambio spirituale il dialogo teologico avrà un ruolo essenziale. Però sarà fecondo solo se verrà sostenuto da un ecumenismo della preghiera... L'ecumenismo spirituale è infatti l'anima stessa del movimento ecumenico".
Fratel Roger ha compreso molto presto il bisogno di questo ecumenismo della preghiera e, a Taizé, noi vorremmo condividerlo con molti altri. Quando ci volgiamo insieme verso Cristo, quando ci riuniamo in una preghiera comune, lo Spirito Santo ci unisce e noi impariamo ad appartenere gli uni agli altri. Più ci avviciniamo a Cristo, più ci avviciniamo gli uni agli altri.
E quanti hanno riposto la propria fiducia in Cristo sono chiamati a offrire la loro unità a tutti. Allora si può realizzare la bella parabola del Vangelo: il piccolo chicco di senape diviene un albero immenso, al punto che gli uccelli del cielo vengono a farvi i loro nidi.
Ciò è vero per la riconciliazione fra cristiani, ma anche per il dialogo con coloro che non condividono la nostra fede, e per qualsiasi ricerca di riconciliazione fra popoli opposti. La cattolicità della nostra fede ci spinge a una tale apertura.
Anche con la nostra povertà, anche laddove le circostanze non sono favorevoli, Cristo ci invia a guarire le ferite delle divisioni e delle violenze: ad andare verso l'altro, a volte a mani vuote, ad ascoltare, a cercare di comprendere; e già una situazione bloccata può trasformarsi.
Il secolo scorso ha conosciuto troppe violenze. Il secolo che comincia ha bisogno di pace e di guarigione, ha bisogno di donne e di uomini coraggiosi che esprimano con tutta la loro esistenza l'appello del Vangelo alla riconciliazione. È per sostenere i giovani in questo cammino che continuiamo il "pellegrinaggio di fiducia sulla terra" che fratel Roger ha iniziato. A dicembre ne vivremo una tappa a Ginevra dove diverse decine di migliaia di giovani cattolici, ortodossi, protestanti, saranno accolti nelle parrocchie e nelle famiglie della città e dei dintorni. Con loro cercheremo quelle iniziative da prendere per contribuire a un nuovo slancio verso la comunione visibile di tutti i cristiani.

 

(© L'Osservatore Romano 26-27/11/2007)