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A rischio equilibri fragilissimi



Fragilissimi equilibri rischiano di essere alterati in Pakistan e nell'intera regione dall'uccisione di Benazir Bhutto. In patria le forze politiche locali vedono improvvisamente mutata la loro strategia in vista dell'appuntamento elettorale dell'8 gennaio, che pare essere stato confermato. L'ex Premier Sharif, minacciando il boicottaggio delle elezioni, ha accusato senza mezzi termini il presidente Musharraf di non aver garantito la sicurezza della Bhutto, una volta raggiunto l'accordo che l'aveva ricondotta in Pakistan dopo anni di esilio. La presa di posizione di Sharif - deposto dal golpe che consentì l'ascesa al potere di Musharraf - incombe sulla credibilità delle prossime elezioni, minando ulteriormente la stabilità del Paese, duramente messa alla prova nelle ore successive all'assassinio della Bhutto.
Gli analisti sono tuttavia concordi nel ritenere che la violenta morte della ex Premier non avrà riflessi esclusivamente locali. Essa potrebbe infatti incidere sulla stabilità dell'intera regione. Molti sostengono che la fine tragica della Bhutto possa essere letta come la dimostrazione dell'incapacità di Musharraf di fare da baluardo contro l'estremismo islamico nella regione, negandogli così le ragioni stesse dell'appoggio che in questi anni gli è stato garantito dall'amministrazione statunitense. Altri, dando per scontata la responsabilità di Al Qaeda nell'assassinio della Bhutto e evidenziando la relativa facilità con cui esso è avvenuto, paventano la possibile vicinanza delle frange estremistiche all'arsenale atomico di cui il Pakistan si è dotato nel suo annoso confronto con il vicino indiano.
Ma tutte queste che restano comunque delle ipotesi vengono accomunate da un'unica domanda: chi ha voluto la morte della Bhutto? Prima donna ad essere stata eletta democraticamente alla guida di un Paese di tradizione islamica, Benazir Bhutto ha sempre avuto molti nemici in patria e molti estimatori all'estero. Anche se le democrazie occidentali non sono sempre state pronte a raccogliere le sue richieste di sostegno. Le sue due esperienze alla guida del Governo pakistano furono segnate dalle accuse di corruzione, ma alla ex premier veniva da tutti riconosciuto un sincero spirito democratico legato all'impegno ad avviare il Paese sulla via delle riforme. E in questa chiave va letta la sua candidatura alle elezioni dell'8 gennaio.
Al suo rientro in Pakistan dopo otto anni di esilio, lo scorso 18 ottobre, la leader dell'opposizione pakistana era scampata a un drammatico attentato in cui rimasero uccisi quasi 140 sostenitori che partecipavano al corteo di benvenuto. La Bhutto affermò che dietro l'attacco vi era la mano degli estremisti islamici, ma denunciò la complicità di settori imprecisati del Governo e dei servizi.
All'inizio di ottobre, prima del suo ritorno in patria da Dubai, due potenti "signori della guerra" minacciarono di ucciderla al suo rientro in Pakistan. Si trattava di Baitullah Mehsud e Haji Omar, entrambi con base nel nord ovest del Paese, al confine con l'Afghanistan. Il primo è un comandante alla guida dei miliziani che combattono l'esercito pakistano nella regione tribale del Sud Waziristan: è legato ad Al Qaeda e ai Taleban afghani. Il secondo è l'"emiro" o il leader dei Taleban pakistani, anch'essi posizionati nel Sud Waziristan, e combattè contro l'Unione sovietica in Afghanistan al fianco dei mujaheedin di Osama bin Laden. Dopo l'attentato di ottobre, la Bhutto rivelò, inoltre, di aver ricevuto una lettera da una persona che si definiva amico di Osama bin Laden che minacciava di ucciderla.
La Bhutto accusò anche le autorità pakistane di non averle fornito sufficiente protezione al suo rientro, suggerendo una sorta di connivenza governativa nella pianificazione dell'attentato. Ma mentre il marito, Asif Alì Zardari, puntò apertamente il dito contro i servizi interni pakistani (Isi), la ex premier fu più vaga affermando di temere l'azione dei membri di una struttura di potere sconosciuta che descrisse come alleata delle "forze della militanza" e che probabilmente comprendeva componenti dei servizi segreti deviati. In un'intervista rilasciata alla Cnn due settimane dopo l'attentato del 18 ottobre aveva condannato duramente la scelta del governo pakistano di non permettere l'apertura di un'inchiesta internazionale sui fatti di Karachi. "L'inchiesta fasulla sul massacro e il tentativo del partito al potere di trarre vantaggi politici da questa catastrofe sono sconfortanti - aveva detto - ma non suggeriscono un diretto coinvolgimento del generale Pervez Musharraf".
Alcuni conoscitori della realtà pakistana pensano che un'eventuale vittoria elettorale della leader dell'opposizione avrebbe potuto portare alla perdita dei privilegi accumulati da certi settori dell'esercito e dei servizi. L'Isi, in particolare, ha al suo interno componenti islamiste il cui orientamento si è radicalizzato durante la campagna contro l'esercito sovietico in Afghanistan. Queste ultime si sono da sempre opposte alla politica della Bhutto, considerata troppo filo-occidentale. Di certo - sostengono gli analisti - ciò che stupisce è che la Bhutto sia stata uccisa a Rawalpindi, città molto lontana dalla provincia della North West Frontier (Frontiera del nord ovest), roccaforte degli estremisti. Questo, hanno osservato gli analisti, suscita timori che vi sia stato un qualche livello di negligenza che ha consentito la realizzazione dell'attentato. (g.f.)

 

(© L'Osservatore Romano 29/12/2007)