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Dopo il vertice di Doha

 

Una nuova stagione politica
per il Libano

 

di Luca M. Possati


L'accordo raggiunto dalle fazioni politiche libanesi in Qatar, nella città di Doha, ha messo fine agli scontri armati a Beirut e dintorni, scongiurando così il pericolo di una nuova guerra civile. Dopo diciotto mesi di completa paralisi della vita democratica, domani, domenica 25 maggio, l'Assemblea nazionale dovrebbe riunirsi ed eleggere il generale Michel Suleiman presidente della Repubblica. Per il Libano potrebbero aprirsi le porte di una nuova fase politica e sociale caratterizzata dal dialogo e dalla concertazione.
L'annuncio delle intese di Doha è arrivato nella stessa mattina in cui l'ufficio del premier israeliano Olmert diffondeva la notizia della ripresa dei colloqui di pace tra Israele e Siria grazie alla mediazione della Turchia. Proprio la Siria è stata uno dei primi Paesi arabi a esprimere soddisfazione, seguita poco dopo dall'Iran, dall'Egitto e dall'Iraq. Il Consiglio di sicurezza dell'Onu ha sostenuto l'accordo, auspicando il rispetto dell'indipendenza e della sovranità del Libano. Parigi sarà presente alla seduta parlamentare con il ministro degli Esteri, Bernard Kouchner, in visita nella regione. Anche gli Stati Uniti sono fiduciosi. A Beirut, l'opposizione ha smantellato la tendopoli allestita nel dicembre 2006 nella piazza antistante il Gran Serraglio per chiedere le dimissioni dell'Esecutivo. Finalmente, scrive il quotidiano "Le Monde", "i libanesi respirano".
E tuttavia, si tratta davvero di un nuovo inizio o soltanto di una tregua prolungata? Oppure i problemi del Libano saranno rinviati ancora una volta in nome di compromessi politici e di influenze esterne? Un fatto è evidente:  se nascerà, il nuovo Governo avrà un compito difficilissimo.
Subito dopo l'elezione di Suleiman partiranno le consultazioni parlamentari per la designazione del primo ministro, che tradizionalmente è nominato dal capo dello Stato su indicazione dell'Assemblea tra i deputati musulmani di confessione sunnita. A Doha è stato stabilito che nella futura équipe governativa sedici ministri andranno all'attuale maggioranza (il Fronte del 14 Marzo guidato da Saad Hariri), undici all'opposizione (capeggiata da Hezbollah) e tre saranno scelti direttamente dal capo dello Stato. Se un tale quadro verrà rispettato, Hezbollah controllerà un numero di dicasteri tale da consentirgli di esercitare un potere di veto sulle decisioni. Aspetto che di certo avrà il suo peso quando il futuro Esecutivo si troverà ad affrontare le questioni più spinose, quelle che a Doha sono state accuratamente evitate. Hasan Nasrallah, il leader supremo del partito sciita, in Qatar non c'era.
Il primo problema riguarda l'arsenale dello stesso Hezbollah. Il Fronte del 14 Marzo chiede che le milizie del movimento sciita vengano integrate nell'esercito regolare. Proprio su iniziativa della maggioranza a Doha è stato stabilito l'avvio di negoziati con la partecipazione della Lega araba finalizzati al "consolidamento dell'autorità dello Stato su tutto il territorio libanese e delle sue relazioni con varie organizzazioni in Libano". Il riferimento a Hezbollah era evidente:  un passaggio dell'accordo, annunciato dal premier del Qatar, Hamad bin Jassem Al Thani, citava esplicitamente "il divieto del ricorso alle armi o alle violenze" per ottenere risultati politici e rivendicava il "monopolio dello Stato sulla sicurezza e sull'attività militare".
Hezbollah tuttavia non cede. Le sue armi sono necessarie - sostiene il partito sciita - per difendere il Libano "dalle aggressioni israeliane". A Doha ogni discussione sul disarmo è stata rinviata, nonostante le risoluzioni dell'Onu che esplicitamente chiedono lo smantellamento di tutti i gruppi armati. Secondo il capo dell'unità strategica di Hezbollah, Ali Fayyad, il movimento deve rivendicare "il riconoscimento del suo ruolo di gruppo armato in lotta contro l'aggressore israeliano". I commentatori politici più legati al Governo sostengono che a Doha Hezbollah abbia alla fine ottenuto con la minaccia della violenza un'importante vittoria politica. Solo una settimana fa, le milizie sciite erano riuscite in poche ore a occupare la parte ovest di Beirut, roccaforte sunnita, piegando ogni forma di resistenza. Nei combattimenti oltre sessanta persone sono morte e centinaia rimaste ferite. Sarà compito di Suleiman, se verrà eletto, cercare una possibile mediazione. Nei recenti scontri il generale, capo delle forze armate, aveva scelto di non far intervenire l'esercito e di riconsiderare le decisioni assunte dal Governo a proposito della rete telefonica di Hezbollah.
L'altra questione che il nuovo Esecutivo libanese dovrà affrontare è quella dei rapporti con il tribunale internazionale chiamato a giudicare i presunti responsabili dell'assassinio dell'ex premier Rafiq Hariri, l'attentato che nel febbraio 2005 scatenò la "primavera di Beirut" e portò, sulla scia delle proteste popolari, al ritiro delle truppe siriane. I leader della maggioranza accusano la Siria, che però ha sempre negato qualsiasi responsabilità. Lo scorso 28 marzo, il decimo rapporto sull'attentato firmato dal commissario speciale del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, Daniel Bellemare, ha parlato di una vera e propria "rete criminale" operativa già prima del febbraio 2005 e che ha continuato a uccidere anche dopo. Nel documento, inoltre, si afferma che Damasco ha collaborato "in maniera generalmente soddisfacente", ma anche che la commissione "continuerà a chiedere alla Siria piena collaborazione" per far luce su quanto accaduto.
Il nuovo Governo libanese resterà in carica per un anno, fino alle prossime elezioni legislative in programma per la primavera 2009. Solo allora il nuovo equilibrio politico del Libano sarà chiaro. Nelle trattative a Doha gli schieramenti hanno concordato di tornare alla legge elettorale del 1960 con alcune modifiche che soddisfano molte delle richieste di Hariri.

 

(© L'Osservatore Romano 25 maggio 2008)