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Una «good bank» per favorire lo sviluppo

La finanza può fare miracoli


di Ettore Gotti Tedeschi

La finanza è solo uno strumento. Uno strumento recentemente male utilizzato e, di conseguenza, troppo vituperato. Esso può invece essere usato per fare del bene. In un certo senso, la finanza può fare miracoli. L'occasione c'è, ed è la soluzione alla crisi in corso. Il modo c'è, ed è la progettazione di una good bank che finanzi un progetto planetario per la soluzione della crisi e che rappresenti la copertura a termine della  bad  bank  proposta  in  questi mesi.
Nel biennio 1939-1940 vennero emessi prestiti per finanziare la seconda guerra mondiale e, in seguito, altre obbligazioni per finanziare il piano Marshall. La tragedia della guerra risolse - se così si può dire - i problemi di disoccupazione. Il piano Marshall risolse i problemi di povertà, garantendo la ricostruzione dell'Europa postbellica. Entrambe le iniziative risolsero i problemi economici americani.
La guerra da finanziare oggi per sconfiggere la crisi è invece la guerra alla povertà globale. La ricostruzione da garantire oggi è quella dei Paesi poveri. Potrà sembrare una contraddizione, ma solo coinvolgendo tutto il mondo in uno sforzo superiore si potranno riassorbire, prima e meglio, gli effetti della crisi. Dopo il discorso di insediamento del presidente degli Stati Uniti, si può auspicare che venga lanciato un "piano Obama" per sconfiggere la crisi, combattendo la povertà e permettendo così, non solo alla sua nazione ma all'umanità intera,  di  uscire  dalla  congiuntura  negativa.
Nel 1939 si risolsero i problemi di sostegno produttivo e di disoccupazione armando soldati e costruendo cannoni. Nel 1946 ricostruendo una Europa semidistrutta. Oggi si può sostenere la capacità produttiva - molto più globale e a costi molto più bassi - con un piano di interventi a favore dei Paesi poveri, per soddisfare la loro domanda potenziale e per avviare attività economiche adeguate attraverso investimenti in opere infrastrutturali.
I Paesi poveri sono quindi l'oggetto della ricostruzione di oggi. Il progetto di una guerra alla povertà per affrontare la crisi darebbe immediatamente il via a iniziative economiche indotte e ai conseguenti investimenti. Si alimenterebbe di nuovo l'iniziativa imprenditoriale e le borse premierebbero le imprese coinvolte, garantendo sostegno  alla  loro  capacità  produttiva.
Quanto vale questo progetto e come finanziarlo? Può valere quanto l'assorbimento della bolla che dovrebbe gravare sulla bad bank di cui tanto si parla e, come quest'ultima, potrebbe esser finanziato con un prestito cinquantennale da fare sottoscrivere a tutti i Paesi ricchi del mondo. Probabilmente spaventa anche solo l'ipotesi di una stima delle risorse necessarie. Ma dovrebbe spaventare di più la mancanza di vere alternative. Si dovrebbe invece ragionare in termini di costi e di ricavi, in termini di opportunità, come fu fatto quando si decise di finanziare la seconda guerra mondiale e il successivo piano di ricostruzione.
Oggi sono necessarie maggiori risorse. Ma oggi il mondo - entrato nel ciclo economico di produzione e benessere - ha capacità ben superiori di quello di settant'anni fa. Per assorbire la grande bolla che confluirà nella bad bank è necessario quindi un progetto di copertura produttiva di vera ricchezza sostenibile:  la copertura a termine della bad bank va fatta con la good bank. Per assorbire le perdite  passate  è  necessaria  un'economia mondiale totale di crescita e benessere.
Come fu per l'Europa, rilanciata con il piano Marshall, che in dieci anni riprese a crescere fino a produrre un boom economico, così potrà avvenire - sia pure con fasi e processi diversi - per le economie dei Paesi più poveri che fra venti o trent'anni potrebbero cominciare a ripagare il debito producendo a loro volta benessere e ricchezza. Così è stato negli ultimi vent'anni in Asia, dove ora ci sono economie che stanno addirittura sostenendo le nostre. La solidarietà paga anche in termini concreti.
Si tratta di un progetto coraggioso e complesso. Non produrrà subito i risultati sperati e molti saranno gli ostacoli. Ma è un progetto fattibile, e lo è usando proprio la finanza. Che potrebbe così recuperare il suo vero senso. Quello buono.

 

(L'Osservatore Romano 30 gennaio 2009)