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Gli istituti di credito contro il piano governativo

Obama
e la rivolta delle banche


di Luca M. Possati

La partita più importante per la sua presidenza è appena iniziata ed è già durissima. Barack Obama, il primo presidente afroamericano della storia degli Stati Uniti, sa bene che, se il piano anti crisi per rilanciare l'economia non passerà al Congresso, lo attendono momenti molto difficili.
Ma è dalla banche che Obama deve aspettarsi le maggiori difficoltà, da quel sistema finanziario nel quale la crisi è scoppiata per poi dilagare in tutto il mondo. Di recente Goldman Sachs, l'ex colosso di Wall Street salvato dai fondi governativi, ha reso noto che cercherà di restituire quanto prima i dieci miliardi di dollari ricevuti dal Tesoro, non solo per dare un segnale di solidità, ma anche per sfuggire a un'eccessiva pressione governativa. "Sarebbe più facile - ha dichiarato il direttore finanziario David Viniar - gestire il nostro business senza capitali pubblici perché saremmo molto meno sotto pressione".
È il segnale che le banche si stanno ribellando al Tarp (Troubled Asset Relief Program), il piano da settecento miliardi di dollari varato dall'ex segretario al Tesoro, Henry Paulson, lo scorso ottobre. Dopo i crolli e le richieste di aiuti in extremis, i manager vogliono autonomia. Nelle ultime settimane, almeno una cinquantina di istituti hanno rinunciato ai fondi statali, preoccupati dall'avvento di condizioni sempre più rigide e di scomode ingerenze delle autorità. Tra di essi, spiccano nomi eccellenti come la californiana American Bankshares o la Rurban Financial Corp dell'Ohio.
A Washington, però, sono convinti che l'unica strada sia quella di una supervisione sempre più rigorosa. Secondo Paul Volcker, advisor economico del presidente Barack Obama ed ex presidente della Fed, il sistema finanziario "va riformato, servono modifiche fondamentali e controlli più severi" sulle grandi banche commerciali e sulle altre istituzioni finanziarie. Ma soprattutto per gli "hedge fund", i fondi sovrani, per i quali andrebbero stabiliti "standard di capitale, di liquidità e di rischio".
Il nuovo "braccio di ferro" con le banche sarà il vero ostacolo che dovrà affrontare il piano di salvataggio del segretario al Tesoro, Timothy Geithner. Misure per limitare i compensi dei manager sono già state annunciate. Prima del dieci febbraio dovrebbero arrivare informazioni più dettagliate sul progetto per stabilizzare i mercati. I punti nodali dovrebbero essere tre:  trasparenza, rigorosa supervisione e maggiore responsabilità da parte delle aziende. Da un lato, verrà creata una "bad bank" per l'acquisto di parte dei titoli tossici che appesantiscono i bilanci delle banche, dall'altro, garanzie pubbliche sulle future perdite dei titoli tossici non acquistati. Una soluzione, questa, che sembrerebbe riscuotere consensi, visto che l'ipotesi di far confluire tutti i titoli tossici in circolazione in una sola "bad bank" aveva sollevato perplessità soprattutto per i possibili costi. Secondo le stime di alcuni esperti, infatti, la creazione di un simile istituto potrebbe arrivare a costare fino a quattromila miliardi di dollari.
L'altro grande ostacolo che Obama deve fronteggiare è l'opposizione repubblicana al Congresso. Dopo l'approvazione della Camera, il piano di incentivi fiscali è approdato questa settimana in Senato, dove la minoranza minaccia ostruzionismo in assenza di radicali cambiamenti. I repubblicani potrebbero chiedere che il via libera sia vincolato all'ottenimento di sessanta voti, e i democratici possono contare soltanto su 58. "Non vogliamo ritardare l'approvazione, perché comprendiamo la gravità della situazione - ha specificato il senatore repubblicano John Kil - ma a nostro avviso il progetto si basa su un metodo sbagliato". Kil sostiene che le misure previste contengono troppe spese inutili e gli sgravi fiscali sono insufficienti e non aiutano i proprietari di casa in difficoltà.
Obama ha definito la crisi che stanno attraversando gli Stati Uniti una "crisi di fiducia". Il presidente non lascia spazio alle facili illusioni:  gli americani devono essere consapevoli che "anche se facciamo tutto il possibile, ci vorrà del tempo prima di far tornare l'economia a girare". Per questo l'inquilino della Casa Bianca considera sempre più urgente il raggiungimento di un solido accordo bipartisan sui principali temi economici. In questa direzione vanno letti il recente colloquio con il governatore del Vermont, Jim Douglas, un repubblicano che sostiene il piano e che gode di molto credito a Capitol Hill, e la nomina di Judd Gregg, senatore repubblicano del New Hampshire, a ministro del Commercio.

 

(© L'Osservatore Romano 6 febbraio 2009)