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Nessun quadro definito. Dalle elezioni politiche israeliane non emergono risposte univoche. Al di là dei numeri che danno la maggioranza relativa al Kadima di Tzipi Livni - con un solo seggio di vantaggio rispetto al Likud di Benjamin Netanyahu - è il blocco dei partiti della destra nazionalista ad aggiudicarsi la maggioranza dei seggi della Knesset. E ora, in vista della formazione del nuovo Esecutivo, la principale incognita resta il comportamento di Avigdor Lieberman, l'immigrato dalla Moldavia che ha saputo guidare il partito di estrema destra Israel Beiteinu a un successo senza precedenti.
In base agli scrutini definitivi, i centristi del Kadima ottengono la maggioranza relativa conquistando ventotto seggi. Confermata la crisi dei partiti di sinistra, con l'Avoda retrocesso a quarta forza politica (13 seggi) e il calo del Meretz (3). Prevale invece il fronte della destra nazionalista: il Likud di Netanyahu (27 seggi) e lo Israel Beiteinu di Lieberman (15). Sessantacinque seggi in tutto, se si contano anche i risultati del blocco dei partiti della destra religiosa: lo Yahaduth HaTorah (5), lo Shas (11), lo Ihud Leumi (4) e lo HaBait HaYehudi (3). Tanto quanto basta per controllare con un certo margine la Knesset e il Governo. Nello Stato ebraico, infatti, l'incarico di formare un nuovo Esecutivo non è conferito automaticamente al leader del partito con il maggior numero di deputati: ecco perché analisti e mass media sono sostanzialmente concordi nel ritenere che Netanyahu abbia più possibilità di Livni nel succedere a Olmert. Il leader del Likud, già premier dal 1996 al 1999, può ben sperare anche grazie alle dichiarazioni di Lieberman, il quale si è detto "favorevole a un Governo di destra", ma "la decisione non sarà semplice, la responsabilità è grande".
Il successo di Kadima potrebbe avere un prezzo molto pesante. Anche se otterrà l'incarico di formare il prossimo Esecutivo, Tzipi Livni, ministro degli Esteri uscente, si troverà di fronte a una missione quasi impossibile. La leader di Kadima ha già offerto al Likud di associarsi a un Governo di unità nazionale guidato dai centristi e nel quale far rientrare anche i laburisti dell'Avoda. Il suo appello, tuttavia, è rimasto finora inascoltato. Netanyahu non ha dubbi: "Condurrò il prossimo Governo, sono certo di poterlo fare; lo schieramento capeggiato dal Likud ha ottenuto una maggioranza inequivocabile". Nessuna disponibilità è stata offerta da Ehud Barak, il capo dell'Avoda. Il ministro della Difesa uscente ha spiegato che i laburisti sono pronti a stare all'opposizione e che l'obiettivo non deve essere quello di formare una coalizione con troppi partiti. "Non ho intenzione di chiedere un posto a tutti i costi - ha affermato Barak - considereremo cosa è meglio per il Paese". Sulle spalle di Livni, infine, pesa il fallimento nel tentativo di formare una coalizione lo scorso ottobre, dopo l'annuncio delle dimissioni di Ehud Olmert: salita alla guida del Kadima, l'ex avvocato e agente del Mossad dovette arrendersi di fronte al muro opposto dagli ultraortodossi dello Shas, l'Unione degli osservanti sefarditi, che chiedeva l'esclusione dello status di Gerusalemme dai negoziati con i palestinesi e un consistente aumento dei contributi statali per le famiglie numerose.
Se la destra di Netanyahu e Liebnerman dovesse andare al potere, ci sono seri rischi che le prospettive di pace subiscano un duro colpo. Ne è convinto il capo negoziatore dell'Autorità palestinese, Saeb Erekat, secondo il quale una coalizione guidata dal Likud "paralizzerà il processo di pace in Medio Oriente". La destra nazionalista è una minaccia per la stabilizzazione dell'area perché, secondo Erekat, "continuerà a espandere gli insediamenti, a piazzare i posti di blocco e a ostacolare la realizzazione di una soluzione a due Stati: non ci sarà per noi nessuna scelta, se non rinunciare a considerare Israele un partner nel processo di pace".
Più distaccata, invece, la valutazione di Fawzi Barhum, portavoce di Hamas a Gaza. Per la resistenza palestinese, "Likud, Kadima o Israel Beiteinu non fa differenza", ha spiegato Barhum. "Tutti hanno sostenuto l'offensiva militare a Gaza". Ma riguardo alle trattative indirette, con mediazione egiziana, giunte in questi giorni a un punto cruciale per arrivare a un possibile accordo di tregua duratura, Barhum non ha chiuso la porta, quale che sia il futuro Governo israeliano. "Se Israele vuole la tregua - ha tagliato corto il portavoce - deve pagarne il prezzo".
Le tensioni e le critiche serpeggiano anche tra la popolazione dello Stato ebraico. Nel corso delle votazioni a Gerusalemme alcuni seggi sono stati presi di mira da ultraortodossi. La polizia è intervenuta in più occasioni per sedare risse scoppiate in molte zone. Alle porte della città si sono verificati scontri tra gruppi di attivisti. E intanto, mentre le operazioni di voto volgevano al termine, un razzo da Gaza ha colpito il Neghev.
(© L'Osservatore Romano 12 febbraio 2009)