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Paolo tra noi


di Lucetta Scaraffia

Non è certo solo in questi giorni che il mondo ci appare diviso e sconcertato, per situazioni contingenti difficili e indubbiamente sgradevoli da affrontare, ma anche e soprattutto perché è in atto nei Paesi occidentali un cambiamento scientifico e culturale che sta attentando all'umano stesso. Mai come oggi, infatti, sembra sotto attacco quella somiglianza divina riconoscibile in ogni essere umano, unica che può garantirne la dignità. Le notizie che si rincorrono sui giornali sono quasi tutte negative e ci restituiscono un'immagine della nostra società così poco positiva che, talvolta, sembra irrimediabilmente lesa.
Tutto questo fa gravare su tutti noi una nuvola nera, ed è difficile pensare a come uscirne. Ma qualcosa in questi giorni è intervenuto per farci alzare lo sguardo in alto, per farci capire dove dobbiamo guardare per cambiare un mondo così deprimente. A poco a poco, tra le notizie che riempiono le pagine dei giornali, si è fatto spazio un volto nuovo, di un uomo calvo e barbuto dagli occhi profondi e dolcissimi, con la fronte segnata da tre rughe marcate, che ci osserva dopo sedici secoli:  il volto di Paolo di Tarso, riemerso quasi miracolosamente dalle mani di una restauratrice nelle catacombe romane di Santa Tecla. Un viso carico di significati profondi:  ci ha lasciati senza fiato non solo la straordinaria coincidenza - la scoperta è avvenuta pochi giorni prima della ricorrenza del santo, che ha concluso l'anno a lui dedicato dalla Chiesa cattolica - ma anche la sua incidenza tempestiva nel disordine dei nostri giorni.
Nel volto di Paolo - riconoscibile grazie a una iconografia affermatasi per rappresentare l'apostolo di cui, nel contesto di una cultura aniconica come quella ebraica e cristiana più antica, non c'erano veri ritratti - ravvisiamo quello tipico del filosofo greco (di Platone o di Plotino), ma insieme quello di uno degli iniziatori del cristianesimo. Vediamo così riunite le radici della nostra cultura, Atene e Gerusalemme, che ci compaiono davanti inattese, per ricordarci chi siamo, o meglio chi dovremmo essere. E a questi occhi sapienti che ci guardano si è subito aggiunta un'altra notizia strepitosa:  ricerche condotte per la prima volta nel supposto sacello dell'apostolo sembrano confermare che i suoi resti mortali sono proprio lì, conservati in quella tomba, fra lini tinti di porpora e bordati d'oro, come si conviene a uno dei fondatori della Chiesa di Roma.
Con queste scoperte la straordinaria ricorrenza paolina - rimasta sinora confinata quasi solo all'interno del mondo cattolico, talvolta con celebrazioni che potevano sembrare di routine - all'improvviso ha ripreso vita, invadendo anche il mondo secolarizzato e abitualmente sordo alle vicende dei santi. È come se Paolo ci dicesse che c'è, che è ancora qui, tra noi, e che vuole farsi ascoltare. E se lo ascoltiamo, questo personaggio fondamentale che sta alle radici, non solo religiose ma anche culturali, morali e filosofiche della nostra civiltà, di cose da dirci per i nostri tempi grami ne ha tante, straordinarie e che hanno il sapore di verità e novità.
Paolo insegna che nella vita tutto può cambiare, tutto può prendere senso e imporre una direzione nuova:  la sua conversione sulla via di Damasco rimane il modello di tutti i cambiamenti veri e profondi di cui può essere capace un essere umano, il modello per la svolta fondamentale che illumina una vita e, cambiando un uomo, trasforma una società intera. Paolo ci insegna che se noi diventiamo nuovi, possiamo rinnovare il mondo.
Quel momento imprevedibile e violento della conversione, cioè del cambiamento di una direzione sbagliata che diventa giusta e solleva con sé chi la compie, è stato oggetto di innumerevoli opere d'arte della nostra tradizione - anche se forse nessuno come il peccatore Caravaggio ha saputo rappresentarlo con tanta potenza - e di altrettante narrazioni, biografiche e autobiografiche. Sembra che a Paolo si addicano particolarmente le apparizioni repentine, forti, chiare, così come gli inviti a cambiare direzione, se sbagliata, e a muoversi con energia e coraggio.
Per i credenti il messaggio è chiaro, e l'ha spiegato Benedetto XVI con la sua profonda e lucida parola. Ma penso che anche da chi non crede questo segnale possa essere colto:  da Atene e da Gerusalemme, cioè dalle nostre radici, a ogni persona arriva un invito a dare una risposta forte, a risollevarci dal profondo, a ricominciare una vita nuova.

 

(© L'Osservatore Romano 29 giugno - 1 luglio 2009)