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I punti nodali del vertice all'Aquila

Un g8 costretto a guardare oltre la crisi


di Luca M. Possati

Non solo crisi economica. Sul tavolo del vertice del g8 che si apre domani, mercoledì, all'Aquila ci sarà molto di più. Un'agenda troppo vasta per poter essere discussa a fondo in soli due giorni:  l'Africa, l'Iran, l'Afpak, la situazione in Corea del Nord, il disarmo, il terrorismo, la sicurezza alimentare e l'accesso all'acqua, la lotta all'inquinamento globale e le nuove forme di povertà. Dossier scottanti, che chiedono misure forti e immediate da prendere insieme a tutti gli interessati. Come dimostra la struttura allargata, l'intento del g8 - sotto la presidenza di turno dell'Italia - è quello di amplificare al massimo il dialogo con i Paesi in via di sviluppo. Sarà dunque un banco di prova importante, anche per capire se questi strumenti di governance mondiale siano ancora credibili ed efficaci.
Dal vertice ci si attende un segnale forte sulla disciplina dei mercati, un deciso passo in avanti verso regole comuni per la finanza che sappiano evitare lo scoppio di una nuova crisi. Nonostante i segnali positivi, la recessione globale è ancora una realtà sotto gli occhi di tutti. La Banca mondiale stima per quest'anno un arretramento molto più profondo del previsto, con un calo del prodotto interno lordo (pil) pari al 2,9 per cento. Le speranze di un rilancio sono consegnate al 2010:  i dati aggiornati del Fmi che verranno discussi al g8 parlano di una crescita pari al 2,4 per cento grazie ai piani di stimolo approvati dai Governi nei mesi scorsi. Ma i problemi sul campo restano. E anche se molti dicono che "ormai il peggio è passato", la disoccupazione continua a crescere:  le stime dell'Eurostat (record di senza lavoro nella zona euro con il 9,5 per cento di maggio) e del dipartimento del Tesoro americano (a giugno sono andati in fumo quasi cinquecentomila posti) parlano chiaro. L'ultimo allarme è stato lanciato dal presidente dell'Eurogruppo, Jean-Claude Junker:  l'economia dei Ventisette non è più in caduta libera ma "se il tasso di disoccupazione continuerà ad aumentare nel tempo, la situazione potrebbe divenire drammatica, una vera e propria crisi sociale".
Dall'inizio della crisi nel 2007 per rifinanziare il sistema bancario i Governi del g8 hanno mobilitato fondi pubblici pari a 47 volte il piano Marshall per la ricostruzione nel secondo dopoguerra. Risorse sottratte ad altri progetti, anzitutto gli aiuti allo sviluppo dei Paesi più poveri. È il caso dell'Africa e delle cosiddette "promesse non mantenute". Nel vertice di Gleneagleas nel 2005 il g8 si era impegnato a versare ogni anno lo 0,51 per cento del pil in aiuti entro il 2010 e lo 0,70 entro il 2015. Ciò nonostante - come ha ricordato il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, in una lettera ai leader riuniti all'Aquila - all'appello mancano ancora venti miliardi di dollari. Difficoltà, questa, alla quale si aggiunge una serie di croniche mancanze del continente nero:  la riduzione del debito, la destrutturazione istituzionale, l'assenza di infrastrutture, la diffusione di malattie come l'aids. Di certo - e si tratta di una novità rispetto al passato - sul dossier africano le decisioni non potranno essere prese senza ascoltare i cinesi, e cioè senza tenere conto della crescente penetrazione economica, e geopolitica, di Pechino nell'area.
L'altra grande emergenza che il vertice dovrà affrontare è quella climatica. È infatti l'ultimo g8 prima della conferenza di dicembre a Copenaghen che dovrebbe disegnare il trattato destinato a prendere il posto di quello di Kyoto per combattere l'effetto serra dopo il 2012. Nelle discussioni preliminari tra gli sherpa non si sono registrati progressi sostanziali e la bozza del documento finale - dicono gli osservatori - è già stata definita deludente. Resta intatta la divisione tra i Paesi ricchi:  secondo le Nazioni Unite, le emissioni di gas serra andrebbero ridotte entro il 2020 del 25-40 per cento rispetto al 1990. Stati Uniti e Giappone non intendono spingersi al di là rispettivamente del quattro e dell'otto per cento. A ciò si aggiungono le mire dei Paesi emergenti, in primis l'India, che non vogliono sentire parlare di tetti alle proprie emissioni.
Ma il g8 dell'Aquila cerca risposte anche in altre direzioni. Per forza di cose - dopo lo scoppio delle proteste per i risultati delle elezioni presidenziali del 12 giugno - anche l'Iran e il suo dossier nucleare occuperanno un posto di primo piano nei lavori delle delegazioni. L'alternativa cruciale è quella tra decidere nuove sanzioni economiche o proseguire il dialogo fissando un termine temporale. Il presidente del Consiglio dei ministri italiano, Silvio Berlusconi, ha già fatto intendere che il summit non adotterà misure economiche contro la Repubblica islamica. Ma i recenti lanci della Corea del Nord hanno riportato la tensione sul nucleare ai massimi livelli. Washington alza i toni:  in attesa degli sviluppi della crisi politica, la Casa Bianca cerca di non compromettere le possibilità di un negoziato globale con Teheran. Da Mosca Obama ha lanciato un monito paventando una corsa agli armamenti in Medio Oriente:  "L'Iran pone una minaccia molto seria" e se si doterà di un potenziale atomico "altri Paesi decideranno di seguirlo". Teheran "deve tenere fede agli impegni presi".
Proprio per il presidente statunitense questo g8 riveste un'importanza decisiva. Alla Casa Bianca da meno di sei mesi, Barack Obama arriva all'Aquila dopo gli incontri più importanti del suo viaggio, quelli a Mosca con Medvedev e Putin. Sul piano interno, il primo presidente afroamericano degli Stati Uniti deve fare i conti con le dure critiche al piano di incentivi fiscali e fronteggiare la storica sfida della riforma sanitaria. Su quello esterno, oltre all'Iran, è alle prese con il riaccendersi delle tensioni in Vicino Oriente e lo spostamento della guerra dal fronte iracheno a quello afghano. E Obama sa di non poter convincere tutti.

 

(© L'Osservatore Romano 8 luglio 2009)