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La cooperazione allo sviluppo internazionale

Pubblico e privato contro la povertà


di Franco Frattini
Ministro degli Affari esteri
del Governo italiano

Nel preparare l'appuntamento della presidenza italiana con il g8 sono state di grande interesse le parole del cardinale Oscar Andrés Rodríguez Maradiaga, presidente della Caritas internationalis, che su "L'Osservatore Romano" del 26 giugno scorso ha sostenuto la necessità di una "conversione dal vecchio sistema di cieca cupidigia a un sistema dove i nostri occhi si aprano alla giustizia ed alla dignità per tutti". Giustizia e dignità sono i presupposti imprescindibili per l'azione di un Governo, ma lo sono soprattutto ora per l'Italia e per la cooperazione allo sviluppo.
I vincoli e l'urgenza del risanamento economico hanno obbligato purtroppo a tagli nell'aiuto pubblico allo sviluppo nel 2009. Ma è stata questa una scelta limitata e contingente. Si è trattato infatti di una "eccezionalità negativa":  i fondi stanziati nel 2009 per la cooperazione sono stati ridotti, ma nell'anno 2008 l'aiuto italiano è stato di oltre 4.8 milioni di dollari, pari allo 0,22 per cento del Pil con un incremento di 850 milioni di dollari rispetto al 2007. L'obiettivo resta quello di raggiungere lo 0,7 per cento del Pil entro il 2015, come prevedono gli impegni internazionali. È un traguardo che viene perseguito lungo due linee parallele.
La prima, a lungo termine, riguarda i modi per rendere più efficaci gli aiuti. C'è, paradossalmente, un lato buono della crisi:  che obbliga a razionalizzare l'uso delle risorse e che impone una responsabilizzazione, sia dei donatori che dei beneficiari. Nulla di nuovo:  la Dichiarazione di Parigi sull'efficacia dell'aiuto del 2005, firmata in ambito Ocse-Dac, già prevedeva un criterio di reciproca responsabilità fra istituzioni o Paesi donatori e beneficiari. Ma tutto questo diviene ora vincolante.
Per puntare a una risposta coerente e coordinata alla crisi è così necessario mirare a un'impostazione complessiva di sviluppo, che consiste nel creare le condizioni per mobilitare efficacemente tutte le sinergie del sistema paese, ovvero tutti quei fattori che contribuiscono allo sviluppo sostenibile. Grazie a meccanismi innovativi di finanziamento o anche alla valorizzazione del ruolo delle rimesse dei migranti, cioè quel contributo volontario che i migranti forniscono ai loro familiari. È allo studio, ad esempio - in una cornice  internazionale  e  assieme  alla  Banca  mondiale  -  una proposta di raggiungimento dell'obiettivo del "5 per 5":  ossia della riduzione, a livello globale, del costo medio di invio delle rimesse dal circa 10 per cento attuale al 5 per cento, entro 5 anni. Si tratta di una riduzione di circa il 50 per cento che, si calcola, creerebbe un aumento del reddito del migrante pari a 13-15 miliardi di dollari.
La seconda linea politica, a medio termine, riguarda il modo in cui fare sinergia assieme a tutto il Paese e la comunità internazionale, a partire da un'alleanza tra pubblico e privato. Così, già dallo scorso dicembre, è partita una semplice indagine sull'incidenza degli interventi delle imprese italiane nei programmi di cooperazione. Dai primi dati ottenuti risulta che, nel triennio 2006-2008, sono 521 le imprese italiane titolari di progetti con fondi riconducibili a interventi della Direzione generale per la cooperazione allo sviluppo. Di queste 39 si sono successivamente radicate sui territori  in  cui  hanno  operato, mentre sono 237 le imprese italiane che hanno lavorato sul posto con finanziamenti  provenienti  da  altre  fonti. Il settore privato è dunque attivo nelle aree in via di sviluppo e non solo a breve termine. E questo è il primo passo verso una strategia più ampia.
Solo attraverso una sinergia tra sforzi pubblici e privati si potrà aumentare la capacità del sistema di aiuti. Una maggiore e più complessiva compartecipazione del mondo economico, e in particolare delle imprese, potrà raggiungere obiettivi come un più veloce radicamento delle attività di cooperazione nei Paesi in via di sviluppo e l'esportazione di buoni modelli produttivi e di gestione.
Esportare buoni modelli produttivi - come quello dell'impresa italiana - non significa imporre, ma mostrare. Contribuire alla lotta alla povertà significa quindi anche indicare e proporre modelli virtuosi di sviluppo privato. Significa inoltre consegnare ai Paesi partner esempi di organizzazione imprenditoriale che possano aiutare a prevenire il fenomeno dell'immigrazione illegale. La sinergia tra pubblico e privato può così dare nuova spinta alla cooperazione. Può promuovere nuova ricchezza, soprattutto per l'Africa. E, insieme alla ricchezza, una nuova dignità.

 

(© L'Osservatore Romano 10 luglio 2009)