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L'Ostpolitik dell'Italia

Per superare divisioni antiche e recenti


di Franco Frattini
Ministro degli Affari Esteri della Repubblica italiana

Mancano pochi giorni al ventesimo anniversario della caduta del muro di Berlino. In questi due decenni sono state sanate molte delle divisioni e fratture artificialmente create nel continente da quasi mezzo secolo di Guerra fredda, e con l'allargamento dell'Unione europea (Ue) e della Nato si è riaffacciata in Europa parte del continente "rapito" all'indomani della seconda guerra mondiale. Eppure l'obiettivo di una casa comune europea non è del tutto realizzato.
Esistono porzioni del continente, a est e a sud, che non sono - come invece si vorrebbe - pienamente parte della casa europea e con le quali c'è ancora strada da fare per colmare le distanze, umane prima che politiche. Distanze che l'Italia, con la sua nuova Ostpolitik, adattata alla realtà attuale, cerca di ridurre con pazienza e impegno.
A est, infatti, dopo le fratture create l'anno scorso dal conflitto russo-georgiano si è riusciti a ricollegare la regione del Caucaso all'Europa, contribuendo alla creazione del Partenariato orientale, un nuovo meccanismo di cooperazione tra l'Ue, i Paesi del Caucaso, la Moldova, l'Ucraina e la Bielorussia. I fatti dimostrano la bontà dell'iniziativa. Nella regione si è messa in moto una dinamica positiva, testimoniata dalla recente firma degli accordi tra Armenia e Turchia, che, se ratificati dai rispettivi Parlamenti, aiuteranno a smantellare le barriere umane, oltre che economiche e politiche, tra i due Paesi e ne favoriranno l'avvicinamento all'Europa.
L'Italia si sta impegnando per recuperare all'Europa la Bielorussia, un Paese che, dopo due decenni di isolamento e congelamento delle relazioni con il mondo occidentale, ha deciso di aprirsi al dialogo per rientrare nella grande famiglia europea. Nelle settimane scorse mi sono recato a Minsk, primo tra i ministri degli Esteri europei, per incoraggiare la nuova stagione apertasi in questo Paese e la sua volontà di apertura.
L'Italia sta facendo da apripista nella normalizzazione delle relazioni dell'Europa con Minsk puntando su un fattore che è parte del suo dna nazionale, e cioè il fattore umano. Nei confronti della società bielorussa vantiamo infatti credenziali che altri non hanno e che derivano ad esempio da quelle ventitremila famiglie che nel corso degli anni hanno ospitato oltre trecentomila bambini bielorussi, ma anche dai soggiorni terapeutici offerti ai cittadini di quella Nazione. Dalla tragedia di Chernobyl del 1986 a oggi, generazioni di piccoli bielorussi hanno vissuto tra noi per periodi lunghi, imparando la lingua e assimilando la nostra cultura. E oggi, ogni estate, più di ventiduemila bambini soggiornano in Italia.
Non si chiede certo ai bielorussi di voltare le spalle al tradizionale alleato russo, nella consapevolezza di quanto solidi siano i legami storici, culturali ed economici tra i due Paesi. La Russia stessa è, pur con le sue specificità, parte della casa comune europea. Si chiede piuttosto alla Bielorussia di guardare anche verso occidente perché la vocazione europea e quella russa del Paese sono complementari, si possono e si devono integrare.
A fronte di questa apertura da parte dell'Italia, ci si aspetta dalle autorità di Minsk segnali chiari sulla continuazione del percorso democratico recentemente intrapreso. Si guarda perciò con grande fiducia al lavoro avviato dal Comitato nazionale di consultazione permanente pubblica con le ong che si occupano del rispetto dei diritti umani. Analogamente si chiede al Governo bielorusso di tenere vivo il dibattito sulla pena di morte che il Parlamento ha appena avviato nel Paese. Dagli esiti - che si auspicano positivi - di queste iniziative si misurerà l'effettiva volontà di Minsk di volersi integrare a pieno titolo in quella Europa che ha fatto della tutela dei diritti della persona umana il segno distintivo della sua evoluzione.
A sud, l'impegno dell'Italia per realizzare l'obiettivo di un'Europa unita e solidale si concretizza con la politica attiva in favore della piena integrazione dei Balcani occidentali nell'Unione europea. Dieci anni dopo la fine della guerra del Kosovo - ultima delle guerre balcaniche che hanno insanguinato il nostro continente - è ora di ricondurre in pieno questa regione alla sua famiglia di appartenenza. Il primo concreto simbolo di questo ricongiungimento è senza dubbio dato dalla possibilità per i cittadini di quei Paesi di viaggiare in Europa senza l'obbligo di visto.
Dal 1° gennaio dell'anno prossimo, grazie anche all'impulso dato dall'Italia, i cittadini di Serbia, Montenegro e dell'ex-Repubblica Iugoslava di Macedonia potranno visitare liberamente i Paesi dell'Ue per ricostruire quei ponti umani spezzati venti anni fa. Sarà una data da festeggiare e si auspica che altri Paesi della regione, dall'Albania alla Bosnia ed Erzegovina, possano presto essere inclusi in questo cammino. Ma si potrà celebrare pienamente soltanto quando l'insieme di questi Paesi sarà entrata a far parte dell'Unione europea.
L'ambizione dell'Italia è che il 2014 - centenario dell'inizio della prima guerra mondiale - possa diventare per tutta l'Europa la data per portare a termine questo processo. A distanza di un secolo il continente dimostrerebbe così il definitivo superamento delle conseguenze di quel tremendo conflitto. L'inizio del declino europeo coincise infatti con l'attentato di Sarajevo. Proprio da Sarajevo e dal ricongiungimento dei Balcani potrebbe iniziare una nuova stagione per tutto il continente.

 

(© L'Osservatore Romano 30 ottobre 2009)