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«Caritas in veritate»

Paolo VI, Benedetto XVI
e la matrice della dottrina sociale


di Robert P. Imbelli

La Caritas in veritate ha suscitato grande attenzione per le sue conseguenze sulle questioni finanziarie in un momento di crisi economica. Senza negare l'importanza di queste considerazioni, è essenziale non ignorare le sfide strettamente teologiche poste dall'enciclica. Secondo il Papa, infatti, gli interessi economici non possono essere separati da ciò che in definitiva è più importante per l'umanità:  l'economia divina della salvezza.
La prima caratteristica dell'enciclica è il richiamo al fondamento della dottrina sociale della Chiesa, ovvero l'annuncio di Gesù Cristo. Una conseguenza dell'orientamento cristologico del testo è che questa dottrina è radicata nel Vangelo e non nella legge naturale. Non si vuole certo escludere l'appello alla legge naturale, tipico della riflessione cattolica sul sociale. Esistono infatti alcuni contesti specifici dove esso è opportuno e perfino necessario, ma il desiderio di trovare un terreno comune per tutte le persone di buona volontà può involontariamente sradicare la legge naturale dal fertile suolo che solo può nutrirla e sostenerla.
In altre parole, la legge naturale è una "astrazione" ottenuta partendo da un linguaggio cattolico di gran lunga più esaustivo e profondo, che esprime una visione dell'umanità e del mondo:  quell'umanesimo integrale, tanto caro a Paolo VI e ora confermato da Benedetto XVI. Infatti, a meno che non venga invocato e utilizzato questo più ricco linguaggio cattolico, come fa il Papa in tutta la Caritas in veritate, si rischia di ridurre la religione all'etica, al rapporto personale, alla fraternità e alla promozione di una causa (per quanto giusta e desiderabile possa essere).
Una seconda caratteristica dell'enciclica è la necessità di fare ricorso a una visione integrale dell'uomo, come già nella Populorum progressio. Questo "vero umanesimo integrale" (n. 78) è una veste senza cuciture che intesse l'individuale e il sociale, il corpo e l'anima, l'interesse per la città terrena e la speranza nella città celeste. È degno di nota che Benedetto XVI riunisca in una visione globale testi magisteriali di Paolo VI troppo spesso trascurati dai cattolici:  cioè la Populorum progressio, l'Humanae vitae e l'Evangelii nuntiandi, documenti che, insieme, rendono vigorosa testimonianza di una visione, aperta alla speranza, dell'essere umano e del suo destino.
Questa visione dell'uomo, tradizionalmente cattolica, è radicata in definitiva nella cristologia. La convinzione di Benedetto XVI riflette fedelmente l'insegnamento della Gaudium et spes, la quale afferma che "solamente nel mistero del Verbo incarnato trova vera luce il mistero dell'uomo" (n. 22).
L'enciclica lancia quindi una sfida ulteriore al pensiero e all'azione dei cattolici. Si tratta della necessità di promuovere una ricezione integrale del Vaticano ii e delle quattro Costituzioni conciliari:  ognuna, infatti, illumina le altre. I sostenitori della Gaudium et spes e del suo interesse sociale devono svilupparne i fondamenti alla luce della Dei verbum. A loro volta, i fautori della riforma liturgica, cominciata con la Sacrosanctum concilium, devono considerare il culto della Chiesa associato intimamente alla testimonianza richiesta dalla Lumen gentium sulla Chiesa "sacramento di salvezza" per tutto il mondo.
In un discorso nell'anniversario del crollo della Lehman Brothers, il presidente degli Stati Uniti ha detto che "è stato un fallimento della responsabilità". Naturalmente, nel caso di Wall Street Barack Obama non poteva usare la parola conversione. Il Papa invece può dire a gran voce quello che i politici possono soltanto sussurrare. Il necessario cambiamento strutturale non può sostituire la conversione autentica del cuore e della mente.
Ma siccome la conversione è un imperativo permanente, la dottrina sociale della Chiesa è completa solo quando è incarnata in una spiritualità che nutre il suo impegno per la carità nella verità. Questa spiritualità "pone l'uomo davanti alla stupefacente esperienza del dono" e promuove la realizzazione della "gratuità presente nella sua vita in molteplici forme" (n. 34), e per i cattolici è sempre radicata nell'Eucaristia. Insomma, la dottrina sociale deriva e dipende dalla matrice liturgica ed ecclesiale e dalle sue affermazioni dogmatiche.
Qualcuno potrebbe obiettare:  una simile lettura dell'enciclica non impedisce il dialogo con altre tradizioni e non rivela un atteggiamento settario? Credo di no. Può invece spronare quanti condividono le proposte e i valori della Caritas in veritate a considerare la base delle proprie convinzioni. In questo modo, il dialogo non potrà che essere più profondo (cfr. n. 55).

 

(© L'Osservatore Romano 8 novembre 2009)