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Il tema della verità nel "Gesù di Nazaret"

La domanda di Pilato

di FRANCESCO VENTORINO

La domanda "Che cos'è la verità?", posta dal pragmatico Pilato superficialmente e con un certo scetticismo, "è una domanda molto seria, nella quale effettivamente è in gioco il destino dell'umanità" (p. 215). Così Joseph Ratzinger introduce il tema della verità nella seconda parte del suo Gesù di Nazaret, raccontando il processo a Cristo. Se la verità, infatti, non esistesse o fosse inaccessibile, non rimarrebbe alla politica che "cercare di riuscire a stabilire la pace e la giustizia con gli strumenti disponibili nell'ambito del potere". Ma quale giustizia sarebbe allora possibile? "Non devono forse esserci criteri comuni che garantiscano veramente la giustizia per tutti - criteri sottratti all'arbitrarietà delle opinioni mutevoli ed alle concentrazioni del potere?" (ivi).
Risulta evidente l'attualità della questione e della sua formulazione: oggi, infatti, la non-redenzione del mondo è connessa in modo particolare con la non-decifrabilità della creazione e con la conseguente non-riconoscibilità della verità. Anche la scienza moderna, che pretende di aver decifrato il linguaggio di Dio, secondo l'espressione di Francis S. Collins, e di poter dispiegare le formule matematiche della creazione, ravvisate persino nel codice genetico dell'uomo, ci ha in realtà introdotto soltanto in una sorta di verità funzionale sull'essere umano. "Ma la verità su lui stesso - su chi egli sia, di dove venga, per quale scopo esista, che cosa sia il bene o il male - quella purtroppo non si può leggere in tal modo" (p. 218). "Che cos'è la verità?". Non è solo Pilato ad accantonare questa domanda come irrisolvibile; anche oggi per lo più si prova fastidio per essa. "Ma senza la verità l'uomo non coglie il senso della propria vita, lascia, in fin dei conti, il cammino ai più forti. "Redenzione" nel senso pieno della parola può consistere solo nel fatto che la verità diventi riconoscibile" (ivi).
La verità, secondo la formula lapidaria di Tommaso d'Aquino, è Dio stesso ipsa summa et prima veritas (Summa theologiae, I q. 16 a. 5 c). Ecco perché la verità in tutta la sua grandezza e purezza non appare mai pienamente e "verità ed opinione errata, verità e menzogna nel mondo sono continuamente mescolate in modo quasi inestricabile" (p. 216). L'uomo si avvicina alla verità nella misura in cui si conforma alla realtà e alla propria ragione, nelle quali in qualche modo si specchia la ragione creatrice di Dio. Ma la verità nella sua pienezza, essendo Dio stesso, "diventa riconoscibile, se Dio diventa riconoscibile. Egli diventa riconoscibile in Gesù Cristo. In lui Dio è entrato nel mondo, ed ha innalzato il criterio della verità in mezzo alla storia" (p. 218).
Il riconoscimento della verità coincide, dunque, con il riconoscimento di Cristo vivo e presente nella storia, cioè del Cristo Risorto. Ma anche questo riconoscimento non è mai pieno e fin dalle prime apparizioni del Signore ai discepoli è soggetto a quella che Ratzinger chiama la "dialettica del riconoscere e non riconoscere". Dialettica che corrisponde, del resto, alla modalità di apparire di Cristo. "Gesù arriva attraverso le porte chiuse, sta improvvisamente in mezzo a loro. E allo stesso modo si sottrae improvvisamente, come alla fine dell'incontro di Emmaus" (p. 295). Proprio in questa esperienza di indisponibilità della sua presenza c'è la prova di un avvenimento reale, irriducibile ad una invenzione da parte dei discepoli stessi.
Rimane per tutti noi la domanda al Signore: "Perché non hai con vigore inconfutabile dimostrato che tu sei il Vivente, il Signore della vita e della morte? Perché ti sei mostrato solo a un piccolo gruppo di discepoli della cui testimonianza noi dobbiamo fidarci?" (p. 306). Ma "è proprio del mistero di Dio agire in modo sommesso". Il Risorto vuole arrivare a tutta l'umanità "soltanto attraverso la fede dei suoi ai quali si manifesta" e "bussa sommessamente alle porte dei nostri cuori e, se gli apriamo, lentamente ci rende capaci di "vedere"" (ivi).
Bisogna ammettere che, oggi più che mai, il riconoscimento della verità, senza voler negare la via della ragione naturale, è legato alla credibilità della testimonianza dei cristiani (quale responsabilità!) e alla libertà con cui ciascun uomo si dispone ad accoglierla. Dio, infatti, non vuole "sopraffare con la potenza esteriore, ma dare libertà, donare e suscitare amore" (ivi). "Vedere" ha sempre a che fare con amare.