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Il Sud Sudan proclama l'indipendenza

Quanto è difficile la nascita di una Nazione

di PIERLUGI NATALIA

Se la nascita di una Nazione dovesse essere paragonata a quella di un essere umano, nel caso del Sud Sudan si potrebbe dire che, nonostante le complicazioni, le prospettive di sopravvivenza del nascituro sono buone. E infatti le popolazioni locali guardano all'appuntamento di questo sabato 9 luglio, data ufficiale della proclamazione dell'indipendenza, con una fiducia e con un entusiasmo genuini. Tuttavia, le complicazioni della secessione restano, come dimostra la probabile proroga della missione dei caschi blu dell'Onu nella tormentata zona di confine tra Sudan e Sud Sudan, dove i recenti scontri nel Kordofan meridionale testimoniano.
La prospettiva è emersa dai colloqui del Segretario generale Ban Ki-moon, che ha fatto tappa a Khartoum, prima di recarsi nella capitale sudsudanese Juba per presenziare alla proclamazione dell'indipendenza. Né a fugare i dubbi degli osservatori basta l'annunciata presenza a tale cerimonia del presidente sudanese, Omar Hassam el Bashir. Restano infatti irrisolti i principali contrasti, dall'attribuzione della regione petrolifera dell'Abyei, alla delimitazione dei confini. Il petrolio è concentrato in gran parte nelle regioni meridionali - oltre appunto che nell'Abyei - e il Governo di Khartoum non intende rinunciare a una sua quota di proprietà, sostenendo che ciò prevede l'accordo di pace del 9 gennaio 2005, che pose fine all'ultraventennale conflitto civile. Le autorità di Juba intendono invece gestire in proprio le perforazioni.
Nei giorni scorsi, lo stesso el Bashir e il presidente sudsudanese Salva Kiir Mayardit hanno partecipato a una riunione ad Addis Abeba promossa dall'Autorità intergovernativa per lo sviluppo in Africa (Igad), che a suo tempo aveva mediato l'accordo del 2005, senza riuscire a dirimere le questioni ancora aperte. Sull'esito finale dei negoziati si possono fare solo ipotesi, ma proprio il persistere dei contrasti potrebbe spingere il nascituro cinquantaquattresimo Stato del continente, finora dipendente quasi in tutto da Khartoum, a cercare altre alleanze e una diversa collocazione internazionale. Una di questa potrebbe essere la Comunità dell'Africa orientale (Eac, nell'acronimo in inglese), che comprende Burundi, Kenya, Rwanda, Tanzania e Uganda. Alla prospettiva che il Sud Sudan possa diventarne presto il sesto Stato membro si guarda con palese favore soprattutto in Kenya. Qui molti commentatori ricordano che il dovere morale di sostenere lo sviluppo di un Paese vicino devastato dalla guerra si sposa con interessi sia di sicurezza sia economici. Del resto, già ora società kenyane gestiscono buona parte dei servizi in Sud Sudan, soprattutto trasporti e importazione di prodotti agricoli. Così come sono kenyane le banche che vi hanno aperto le principali linee di credito. A questo si aggiungono legami storici consolidati dall'accoglienza ottenuta in Kenya da migliaia di rifugiati sudsudanesi all'epoca del conflitto. Tra l'altro, molti di loro hanno potuto studiare nel Paese ospitante e ora potrebbero diventare nel nuovo Stato una classe dirigente propensa a consolidare legami tanto di amicizia quanto di vicendevole vantaggio.