di Gualtiero Bassetti
Arcivescovo metropolita di Perugia - Città della PieveIl significato più autentico della visita di Papa Francesco ad Assisi è in due momenti di alto valore simbolico: l'incontro mattutino con i bambini disabili e malati dell'Istituto Serafico e la visita, all'imbrunire, al Sacro Tugurio di Rivotorto, le due casupole dove trovarono rifugio i primi compagni di san Francesco.
Nella visita al Serafico - fondato alla fine dell'Ottocento da padre Lodovico da Casoria per ridare una speranza a "creature infelici e abbandonate" - il vescovo di Roma si è incontrato con la sofferenza. "Siamo fra le piaghe di Gesù" ha detto Francesco "e queste piaghe vanno ascoltate!". Al Sacro Tugurio - l'ambiente povero, squallido e disadorno che accolse inizialmente Francesco dopo essersi spogliato dei beni terreni con Bernardo da Quintavalle e Pietro Cattani - il Papa ha potuto vedere "la culla della fraternità francescana", cioè la scelta della povertà come "memoria dell'incarnazione".
Di questi due momenti, non per caso all'inizio e alla fine della visita, si può cogliere il significato profondo: portare il Vangelo agli ultimi e ai poveri. Qui non c'è spazio per alcuna lettura sociologica della povertà né tantomeno per una rivendicazione politica. Gli unici orizzonti sono le Beatitudini, che dipingono il volto di Gesù descrivendone la carità, e il Vaticano II, che delinea la necessità del rinnovamento della Chiesa nel mondo contemporaneo, nel rispetto della tradizione.
Dunque, l'annuncio autentico e vigoroso della bellezza del Vangelo. Un Vangelo annunciato ai malati e ai bambini, ai poveri e alle famiglie. Un Vangelo annunciato, prima di tutto, agli ultimi. Nel Testamento scritto poco prima di morire, san Francesco annotò: "Nessuno mi insegnava quel che io dovevo fare; ma lo stesso Altissimo mi rivelò che dovevo vivere secondo il santo Vangelo". E in virtù di questa consapevolezza, scelse Sorella Povertà come imitatio Christi rinunciando alla mondanità e vivendo gioiosamente come un "giullare". Il richiamo forte di Papa Francesco al "pericolo della mondanità" che "uccide la Chiesa" perché è "lo spirito contrario alle Beatitudini" rimanda ad Antonio Rosmini. Il filosofo beatificato nel 2007, in una delle sue opere più discusse, Delle cinque piaghe della Chiesa (scritta nel 1832, pubblicata nel 1848 e messa all'Indice nel 1849), invitava a non dimenticare che l'episcopato deve essere sempre "un ministero di salute per le anime" e mai una tappa della carriera degli ecclesiastici.
È stato proprio il concilio a riscoprire questo testo in cui il rapporto tra la Chiesa e la mondanità rappresenta il fulcro centrale. Le "piaghe" denunciate da Rosmini - definito da Paolo VI come un "profeta" che ha anticipato di un secolo alcuni dei problemi "sviluppati nel concilio Vaticano II" - rappresentano, ancora oggi, seppur in modo molto diverso, ferite sempre aperte nel corpo della Chiesa. Ferite che hanno bisogno di attenzione continua e di uno sforzo costante di riforma sotto la guida dello Spirito Santo. Oggi, come in passato, è fondamentale fuggire dalla mondanità, perché il Signore, come ha esortato più volte Papa Francesco, ci "vuole pastori con l'odore delle pecore" e "non pettinatori di pecore".
Inizia da questa consapevolezza l'annuncio del Vangelo in una società che sempre più tende a premiare i diritti individuali a scapito della famiglia. Per superare la cultura del provvisorio, perché "Gesù non ci ha salvato provvisoriamente ma definitivamente", e quella dello scarto, perché i poveri non sono scarti. E questo annuncio deve favorire la vocazione del "custodire" attraverso la rivoluzione della tenerezza e della misericordia. L'esperienza del carcere e della guerra avevano portato san Francesco, come scrisse il primo biografo, Tommaso da Celano, "a vivere nella gioia di poter custodire Gesù Cristo nell'intimità del cuore". La vocazione del "custodire" oggi non riguarda soltanto i cristiani, ma ha una "dimensione che precede" ogni convincimento laico o religioso, "è semplicemente umana, riguarda tutti". Perché tutti siamo chiamati a essere custodi del creato e dell'intera umanità, chinandoci con amore materno e spirito paterno verso i più poveri e i più deboli, perché in loro si trova sempre il volto di Cristo.