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Concludendo la terza assemblea straordinaria del Sinodo dei vescovi il Papa beatifica Giovanni Battista Montini 

 

Nella comunione dei santi

 

 

di Lucetta Scaraffia

 

In questi mesi, finalmente, Paolo VI è tornato al centro di studi, riflessioni, commenti: quasi tutta questa abbondante produzione si concentra però sugli anni del pontificato, e soprattutto sul suo ruolo nel concilio. Non si possono ovviamente sminuire la decisiva importanza di Papa Montini e la necessità di questo lavoro di ricerca e di interpretazione storica, ma il rischio è che passino in secondo piano la statura spirituale e la capacità di riflessione di un uomo che fu anche vero scrittore.

Un piccolo libro che raccoglie i suoi Scritti spirituali (Studium) ci restituisce invece, in poche intense pagine, la dimensione interiore di un cristiano che ha saputo riflettere e osservarsi fin dagli anni giovanili, e che ha dedicato attenzione e amore al tempo in cui è vissuto. Il suo sguardo verso la modernità infatti è sempre profondo, e mai negativo. Se nel suo tempo individua una mancanza - "noi moderni abbiamo perduto la virtù della contemplazione. Siamo abili a leggere, a pensare, a parlare; ma non sappiamo farlo senza aderire pesantemente alle immagini sensibili" - subito cerca di trovare un modo di rovesciare di segno questa stessa mancanza: "Ma se potessi interpretare con i miei occhi miopi di moderno, con i miei occhi avidi di moderno, l'alfabeto materiale dello spirito immateriale, la gioia tornerebbe, la fiducia".

Montini riconosce nell'egocentrismo, frutto di un individualismo senza limiti, il più grave problema del suo tempo: la tendenza a fare della religione una pura esperienza spirituale. In questo modo - scrive - ognuno mira a costruirsi una religione individuale, in contrapposizione a quella della Chiesa e, "invece dell'infallibilità del papa", proclama "quella della propria capacità emotiva". Da questo stato diffuso di eccitazione riemerge, e torna "di moda", un antico peccato, "così antico che nessuno più non solo sapeva commettere, ma neppure spiegarsi", cioè "l'idolatria", fissata "oggi in sentimenti propri, con un'indebita appropriazione dell'assoluto".

La sua idea di fede è moderna e dinamica: "Chi Tu sia, lo so nel moto: man mano che la mente pensa alla natura di Dio, sostare non può", perché "Dio è conoscibile ma è ineffabile". Montini è tuttavia ben consapevole che nella cultura moderna si è imposta l'idea che solo il dubbio sia fonte di moto, mentre invece "è la certezza che muove e che feconda lo spirito".

Se la via facile dell'emozione, del sentimento, è preclusa al cristiano, Montini sa però quanto questo rigore sia difficile: "Ma che Dio in me, il Dio della Rivelazione e della Grazia, ancora resti nascosto, questo mi è duro comprendere". Si tratta tuttavia di una sofferenza che deve essere accettata, perché la legge suprema del regno di Dio "è di cercare Dio, e non noi; anzi, di cercarlo mortificandoci".

Ricco di consigli per crescere nella vita spirituale a partire dalla propria esperienza, arriva a sintetizzare in poche parole il dovere di un vero cristiano: "Molto aderenti e molto indifferenti alle proprie occupazioni bisogna essere". Perché l'uomo spirituale deve vivere consapevolmente nel proprio tempo: "Bisogna avere l'intelligenza delle cose, degli uomini, dei fatti; bisogna saper leggere nei segni dei tempi; bisogna dal libro passare alla vita senza perdere l'esercizio del pensiero".

Nell'amore intelligente per il suo tempo, nell'adempimento rigoroso e attento della propria missione, egli traccia il modello che poi seguirà durante il suo pontificato e che apparirà chiaro in tutto il suo splendore negli ultimi scritti, quando Paolo VI riflette con parole profonde e nuove sulla morte. Qui egli, passando da una meditazione valida per tutti gli esseri umani a quella specifica sul suo ruolo di Papa, rivela in poche dense frasi quale immenso amore per la Chiesa, in tutti i suoi aspetti, abbia guidato il suo operare.

"Prego pertanto il Signore - scrive - che mi dia grazia di fare della mia prossima morte dono d'amore alla Chiesa (…) Vorrei finalmente comprenderla in tutta la sua storia, nel suo disegno divino, nel suo destino finale, nella sua complessa, totale e unitaria composizione, nella sua umana e imperfetta consistenza, nelle sue sciagure e nelle sue sofferenze, nelle debolezze e nelle miserie di tanti suoi figli, nei suoi aspetti meno simpatici, e nel suo sforzo perenne di fedeltà, di amore, di perfezione e di carità. Corpo mistico di Cristo. Vorrei abbracciarla, salutarla, amarla, in ogni essere che la compone, in ogni Vescovo e sacerdote che la assiste e la guida, in ogni anima che la vive e la illustra; benedirla. Anche perché non la lascio (…) la morte è un progresso nella comunione dei santi".

 

(© L'Osservatore Romano 19 ottobre 2014)