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L’urgente bisogno di un’ecologia integrale

 

Una nuova sintesi teologica

di Robert Imbelli

 

Nel suo recente messaggio per il centenario della facoltà teologica dell’Università cattolica argentina (Uca), Papa Francesco ha parlato della sfida insita nella vocazione stessa del teologo. Elaborando questa sfida, il Papa ha elencato tre caratteristiche dell’identità del teologo: egli abita in mezzo al santo popolo di Dio come un figlio grato, è un fervente credente in Gesù Cristo e ha una responsabilità profetica per il mondo.

Vorrei soffermarmi sulla seconda di queste caratteristiche. Il teologo, sottolinea Francesco, «è qualcuno che ha fatto esperienza di Gesù Cristo e ha scoperto che senza di Lui non può più vivere». La sua vocazione deriva da un incontro donatore di vita con Gesù Cristo, un’esperienza che dà un senso e uno scopo alla sua vita e al suo ministero nella Chiesa.

Come se tale affermazione non fosse già abbastanza radicale, il Papa prosegue spiegando ulteriormente questa esperienza che trasforma la vita. «Il teologo è colui che sa di non poter vivere senza l’oggetto-soggetto del suo amore e consacra la sua vita per poterlo condividere con i suoi fratelli». Sono l’esperienza dell’amore di Gesù e il desiderio di comunicare questo amore ad animare e a sostenere la vocazione del teologo.

Sant’Anselmo di Canterbury ha dato una ben nota definizione della teologia. La teologia, secondo Anselmo, è fides quaerens intellectum, ovvero fede che cerca di comprendere. Tuttavia, alla luce dell’intuizione del Papa, potremmo completare l’affermazione di Anselmo e dire che la teologia è amore in cerca della comprensione. Il teologo cerca di conoscere più pienamente «l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità» dell’amore di Cristo (cfr. Efesini, 3, 18).

Ora, è vero che ovviamente tutti i discepoli sono chiamati a crescere sempre più pienamente nell’amore di Cristo, «che sorpassa ogni conoscenza» (Efesini, 3, 19). Dopotutto, san Paolo si sta rivolgendo all’intera comunità cristiana. Ma la vocazione particolare del teologo è di articolare, al meglio delle proprie capacità, le implicazioni e la portata di tale amore, non solo a livello individuale, ma anche a livello comunitario e sociale, allargandosi perfino all’universo.

E qui si può con profitto mettere in relazione il messaggio del Papa all’Università cattolica argentina alla Laudato si’.

Infatti, uno dei temi portanti dell’enciclica è che tutto è interconnesso, correlato. Per questo, nel quarto capitolo Francesco parla del bisogno urgente di «una ecologia integrale»: un’ecologia in cui gli uomini, la società e la natura stessa siano ognuna rispettata e ricevano ciò che giustamente spetta loro. Questa ecologia integrale comporterà «una visione più ampia della realtà» (n. 138). Per sostenere ed elaborare questa visione, Francesco postula la necessità di sviluppare «una nuova sintesi» (n. 121).

Il teologo innamorato di Gesù cercherà di spiegare tale amore, cercherà di articolare in modo più esplicito e preciso come una eco-logia (eco-logia) autenticamente cattolica sia fondata sul Logos incarnato, che è all’origine della creazione e che, attraverso il mistero pasquale, porta la creazione alla pienezza nella comunione amorevole.

Perché il Logos non è un qualche principio cosmico impersonale. Papa Francesco, insieme con l’intera tradizione, dà testimonianza della professione tipicamente cristiana dell’Incarnazione di Dio: il Verbo si è fatto carne. Così, ai teologi riuniti a Buenos Aires ribadisce: «la dottrina cristiana ha volto, ha carne, si chiama Gesù Cristo». Perciò li ammonisce con semplice fervore, «c’è un solo modo di fare teologia: in ginocchio».

E dove il teologo si mette più opportunamente in ginocchio? Soprattutto nell’Eucaristia, come atto non semplicemente di adorazione personale, bensì di celebrazione comunitaria che incarna un significato cosmico. Scrive Francesco nella Laudato si’: «Nell’Eucaristia il creato trova la sua maggiore elevazione». E prosegue: «Nell’Eucaristia è già realizzata la pienezza, ed è il centro vitale dell’universo, il centro traboccante di amore e di vita inesauribile. Unito al Figlio incarnato, presente nell’Eucaristia, tutto il cosmo rende grazie a Dio» (n. 236).

Ritengo degno di nota che nel capitolo conclusivo della sua enciclica il Papa citi san Bonaventura (n. 233). Di fatto, nessun altro teologo nella tradizione occidentale ha reso Gesù Cristo il centro della sua sintesi teologica in modo così decisivo e creativo come il santo francescano.

Forse la sfida alla quale il Papa gesuita sta audacemente convocando i teologi è quella di elaborare, per il nostro tempo, una nuova sintesi teologica francescana. Se così fosse, Bonaventura sarebbe una guida valida e saggia per un’avventura teologica tanto fondamentale.