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11 febbraio

 

“Un’altra cosa dovremo rilevare: tutta questa ricchezza dottrinale è rivolta in un’unica direzione: servire l’uomo. L’uomo, diciamo, in ogni sua condizione, in ogni sua infermità, in ogni sua necessità”. Con queste espressioni Paolo VI, parlando ad una assemblea conciliare ormai alla conclusione, indicava sinteticamente un profilo tra i più significativi dell’apporto offerto al mondo contemporaneo dal Concilio Vaticano II. Un apporto che trovò nella costituzione pastorale Gaudium et spes chiara ed organica manifestazione, in un atteggiamento di rispetto, di attenzione, di simpatia, di solidarietà nei confronti della società contemporanea; di benedizione e di sostegno dei suoi sforzi per il perseguimento e la tutela di quanto è proprio dell’uomo e della sua dignità.

Quelle parole di cinquant’anni fa, dalla evangelica trasparenza, possono essere una peculiare chiave di riflessione per la annuale ricorrenza della firma dei Patti del Laterano, con i quali terminò il dilacerante dissidio tra Stato e Chiesa, apertosi in Italia nella seconda metà dell’Ottocento; con i quali si venne a realizzare la Conciliazione che era stata attesa, grande speranza di molti, da una parte e dall’altra del Tevere. Si tratta di espressioni non a caso richiamate da Papa Francesco nella bolla Misericordiae vultus, con cui ha indetto il Giubileo straordinario della misericordia, perché il piegarsi verso l’uomo, verso ogni uomo, nelle sue sofferenze spirituali e materiali, tocca l’essenza della missione di una Chiesa chiamata quotidianamente a farsi buon samaritano.

A ben vedere, i due accordi che costituiscono i Patti possono essere riguardati come eccellenti strumenti che hanno consentito – e continuano a consentire – alla Santa Sede ed alla Chiesa che è in Italia di esercitare liberamente, fra le proprie competenze, quella missione caritativa di cui la misericordia è uno dei volti.

Innanzitutto la Santa Sede, di cui le vicende risorgimentali italiane avevano toccato autonomia e libertà, beni essenziali per un davvero indipendente e proficuo esercizio del munus petrinum. Il Trattato del Laterano, con il complesso di garanzie personali, reali e funzionali assicurate alla Sede Apostolica, ha consentito a questa non solo il pieno svolgimento del servizio ecclesiale a tutta la Chiesa, sparsa nel mondo, ma le ha anche permesso di offrire al meglio il suo peculiare contributo alla crescita dell’intera comunità umana, chinandosi – per dir così – sui dolori e sulle privazioni, materiali e morali, che la affliggono. Il riconoscimento della figura e del ruolo internazionale contenuto nel Trattato ha favorito, nel rispetto di una sana laicità e delle competenze proprie delle autorità temporali, l’impegno per la pace, per la dignità della persona umana e per la tutela dei suoi diritti, per la garanzia della eguaglianza fra le nazioni, per i rapporti solidaristici fra i popoli e gli Stati, per una sollecitudine ecologica nella conservazione della casa comune. La crescita esponenziale, nel tempo, dell’impegno  della Santa Sede nella comunità internazionale, con una neutralità non meramente passiva ma attiva ed animatrice, sta eloquentemente a testimoniare i frutti positivi della soluzione data a suo tempo alla “Questione romana”.

E poi la Chiesa che è in Italia. Il Concordato del 1929, revisionato nel 1984 per armonizzarlo con i principi della Costituzione italiana e con i deliberati del Vaticano II, ha consentito un crescere della sua presenza – nelle sue diverse componenti: istituzionali, associative, personali – là dove è sofferenza e bisogno. Questo vale non solo negli ambiti più tradizionali ed esplicitamente consacrati nel testo pattizio: si pensi all’assistenza spirituale negli ospedali, nelle case di cura o di assistenza pubbliche, negli istituti di prevenzione e di pena. Questo vale anche per le forme inedite di intervento caritativo che le rinnovate disposizioni concordatarie hanno permesso o facilitato: così rispetto alle nuove povertà, al dramma dell’immigrazione, alla piaga dell’usura, al recupero dalle tossicodipendenze, alla disoccupazione giovanile, al sostegno di forme sociali elementari, ma necessarie ed insostituibili per la coesione e la crescita della società.

In quest’ultimo contesto va ricordato, in particolare, il sostegno alla famiglia fondata sul matrimonio tra un uomo ed una donna, aperta alla procreazione, vocata alla solidarietà intergenerazionale. Educando al matrimonio, che è seminarium rei publicae, e sostenendo le famiglie che per ragioni diverse sono in difficoltà, la Chiesa dà il suo contributo nell’ aiuto alla persona e per la crescita della società

Certo: i Patti di cui oggi celebriamo la ricorrenza si pongono nell’ordine degli strumenti; ma l’esperienza storica dimostra come anche questi siano necessari onde rinnovare nel tempo – sono ancora parole di Paolo VI – “l’antica storia del Samaritano”.

(© L'Osservatore Romano, 11 febbraio 2016)