Il patriarca ecumenico legge l’«Amoris laetitia»
di Bartolomeo
Quando parliamo di Dio, il linguaggio descrittivo che adottiamo è quello dell’amore. E quando parliamo di amore, la dimensione fondamentale attribuitagli è quella divina. Per questo l’apostolo dell’amore definisce Dio come amore (cfr. 1 Giovanni 4, 8).
Quando all’inizio dell’anno il nostro caro fratello e vescovo di Roma, Sua Santità Francesco, ha pubblicato l’esortazione apostolica Amoris laetitia, era più o meno il periodo in cui ci siamo recati insieme nell’isola di Lesbo, in Grecia, per manifestare la nostra solidarietà con i rifugiati perseguitati provenienti dal Medio oriente. Il documento papale sulla «gioia dell’amore», sebbene si occupi di questioni pertinenti alla vita familiare e all’amore, riteniamo che non sia scollegato da quella storica visita ai campi profughi. Di fatto, ciò che è subito apparso chiaro a entrambi mentre guardavamo i volti tristi delle vittime ferite della guerra è stato che tutte quelle persone erano singoli membri di famiglie, famiglie spezzate e lacerate dall’ostilità e dalla violenza. Ma come nostro Signore ci ha detto esplicitamente riguardo al rapporto tra potere e servizio (cfr. Matteo 20, 26), non dovrebbe essere così tra noi! L’immigrazione non è altro che il rovescio della stessa medaglia dell’integrazione, che certamente è responsabilità di ogni credente sincero.
Naturalmente Amoris laetitia tocca il cuore stesso dell’amore e della famiglia, proprio come tocca il cuore di ogni persona vivente nata in questo mondo. Ciò accade perché le questioni più delicate della vita familiare rispecchiano le questioni più fondamentali dell’appartenenza e della comunione. Sia che riguardino le sfide del matrimonio e del divorzio, sia che riguardino la sessualità o l’educazione dei figli, sono tutti frammenti delicati e preziosi di quel sacro mistero che chiamiamo vita.
Negli ultimi mesi sono stati numerosi i commenti e le valutazioni su questo importante documento. Le persone si sono chieste in che modo la dottrina specifica è stata sviluppata o difesa, se le questioni pastorali sono state modificate o risolte, e se norme particolari sono state rafforzate o mitigate. Tuttavia, alla luce dell’imminente festa dell’Incarnazione del Signore — tempo in cui commemoriamo e celebriamo il fatto che «il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Giovanni 1, 14) — è importante osservare che Amoris laetitia ricorda anzitutto e soprattutto la misericordia e la compassione di Dio, e non soltanto le norme morali e le regole canoniche degli uomini.
Indubbiamente, ad avere soffocato e ostacolato le persone è stata in passato la paura che un “padre celeste” in qualche modo detti la condotta umana e prescriva le usanze umane. È vero esattamente l’opposto e i leader religiosi sono chiamati a ricordare a loro stessi, e poi agli altri, che Dio è vita e amore e luce. Di fatto, sono queste le parole ripetutamente sottolineate da Papa Francesco nel suo documento, che discerne l’esperienza e le sfide della società contemporanea al fine di definire una spiritualità del matrimonio e della famiglie per il mondo attuale.
I padri della Chiesa non hanno paura di parlare apertamente e onestamente della vita cristiana. Tuttavia, il loro punto di partenza è sempre la grazia amorevole e salvifica di Dio, che risplende su ogni persona senza discriminazione o disprezzo. Questo fuoco di Dio — diceva nel VII secolo abba Isacco il Siro — porta calore e consolazione a quanti sono abituati alla sua energia, mentre brucia e consuma quanti si sono allontanati dal suo fervore nella loro vita. E questa luce di Dio — aggiungeva nel X secolo san Simeone il Nuovo Teologo — serve da salvezza per quanti l’hanno desiderata e permette loro di vedere la gloria divina, mentre porta condanna a chi l’ha rifiutata e preferito la propria cecità.
Nei primi mesi dell’anno giubilare della misericordia, è stato davvero opportuno che Papa Francesco abbia sia incontrato le famiglie dei rifugiati sconfortati in Grecia sia abbracciato le famiglie che sono sotto la sua cura pastorale in tutto il mondo. Così facendo ha non solo invocato l’infinita carità e la compassione incondizionata del Dio vivente sulle anime più vulnerabili, ma ha anche suscitato una risposta personale da parte di chi ha ricevuto e letto le sue parole, nonché di tutte le persone di buona volontà. Di fatto egli ha invitato la gente ad assumersi la responsabilità personale per la propria salvezza, cercando modi in cui poter seguire i comandamenti divini e maturare nell’amore spirituale.
La conclusione dell’esortazione papale è dunque anche la nostra conclusione e riflessione: «Quello che ci è stato promesso è più grande di quanto possiamo immaginare. Non scoraggiamoci mai a causa dei nostri limiti, e non cessiamo mai di cercare quella pienezza di amore e di comunione che Dio ci mostra».
(©L'Osservatore Romano, 3 dicembre 2016)