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In un libro di Enzo Bianchi

Gesù “vedeva” le donne

 di Lucetta Scaraffia

 

Una delle novità più rivoluzionarie di Gesù è che “vedeva” le donne, in genere presenze talmente irrilevanti da non essere neppure percepite dagli uomini della sua epoca. Non solo: vedeva le vedove povere, le prostitute, le straniere, le impure, cioè proprio le più emarginate. Una vera rivoluzione della quale i vangeli danno testimonianza, ma che per più di mille anni è stata ignorata da una tradizione patriarcale.

Oggi, la scoperta delle donne nelle narrazioni evangeliche costituisce indubbiamente una delle novità più significative dell’esegesi: a riportare alla luce la loro presenza determinante sono state per prime le donne, poi sono arrivati anche degli uomini. Come Enzo Bianchi che in un bellissimo libro (Gesù e le donne, Einaudi) conduce il lettore non solo a riscoprirne la presenza, ma anche a leggerne i molteplici e profondi significati.

Come si coglie subito da un’osservazione ricorrente, che ricorda un fatto ovvio, ma che nessuno finora ha preso in considerazione: se noi abbiamo delle cronache complete della morte di Gesù è solo perché le donne sono rimaste ai piedi della croce, mentre gli apostoli si allontanavano impauriti. Sono loro la fonte degli evangelisti, «una memoria fondamentale per la formazione e la stesura dei vangeli». Così come sono loro — e in particolare Maria Maddalena — a essere le prime testimoni della resurrezione.

E già questo basterebbe a riconoscere il ruolo delle donne al cuore della narrazione evangelica. Ma poi ci sono quelle che, nel suo peregrinare, Gesù incontra, guarisce, con cui parla. Ci sono le discepole che lo seguono e lo assistono, lo sfamano e lo ascoltano con grande attenzione. Donne vere, piene di guai ma anche capaci di amore più degli uomini, capaci di capire il messaggio rivoluzionario di Gesù nella sua immediatezza, soprattutto di riconoscerlo quale egli è, senza remore. E questo avviene soprattutto nel quarto vangelo, quando Gesù si presenta per la prima volta con le parole «io sono» alla samaritana, cioè con il nome santo di Dio, e dove, nell’episodio della resurrezione di Lazzaro, Marta fa la confessione di fede nel figlio di Dio più completa dei testi sacri, anche più chiara di quella di Pietro.

Bianchi individua come tratto specifico femminile l’importanza del corpo nel rapporto fra Gesù e le donne che incontra, «tratti essenziali nell’amicizia tra uomini e donne». Le donne infatti, come Maria che lo asperge di prezioso profumo, hanno «la capacità di percepire la presenza fisica di Gesù in modo sconosciuto a molti, anche ai discepoli».

E — si potrebbe aggiungere — non è questione da poco in una religione come quella cristiana, fondata sull’incarnazione.

A questa speciale intensità con la quale le donne vivono il rapporto con Gesù, Bianchi contrappone costantemente la dimenticanza e l’emarginazione alla quale sono state ridotte nei secoli proprio nella vita della Chiesa. Anche se è stata Maddalena per prima a riunire in sé «le condizioni richieste per l’apostolato».

Sarebbe bello pensare che, dopo questo libro così illuminante, e per di più scritto da un uomo tanto stimato e conosciuto, nulla potrà più essere come prima per le donne nella Chiesa.

 

(© L'Osservatore Romano 16 novembre 2016)