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L’Esaltazione della croce secondo Romano il Melodo 

Un albero

riapre il paradiso

di Manuel Nin

La tradizione innografica dell’oriente cristiano adopera spesso il genere letterario del dialogo o della disputa. Di Romano il Melodo, morto nel 555, abbiamo due inni dedicati alla croce di Cristo, e il primo presenta appunto la discussione tra l’Ade e il diavolo presentato sotto la forma del serpente. È un testo che sviluppa il tema della redenzione di Cristo per mezzo della sua croce; è un poema che in alcune strofe raggiunge una profondità e una bellezza uniche nel suo genere. Il filo conduttore è il ritorno di Adamo in paradiso grazie alla croce di Cristo, chiave per la sua riapertura.I tre primi tropari introducono e situano tutto il poema: «La spada di fuoco non custodisce più la porta dell’Eden, perché al suo posto è sopraggiunto il legno della croce. Il pungiglione della morte e la vittoria dell’Ade sono stati inchiodati. E in essa inchiodato tu ci hai redenti, o Cristo Dio nostro. Le creature celesti e terrestri gioiscono con Adamo, perché è stato chiamato di nuovo nel paradiso». L’inizio descrive quasi fisicamente il Golgota e l’Ade sconfitto: «Tre croci piantò Pilato sul Golgota, due per i ladroni e una per il datore di vita; l’Ade la vide e disse a quelli di laggiù: O miei ministri e miei eserciti, chi ha conficcato un chiodo nel mio cuore? Una lancia di legno mi ha  trafitto all’improvviso, e sono costretto a rigettare Adamo e i nati da lui che a me mediante un albero erano stati dati: un albero li introduce di nuovo nel paradiso».

La disputa inizia con il rimprovero del diavolo all’Ade che si accorge di essere sconfitto dalla croce, rimprovero originato dalla cecità del serpente di fronte alla forza della croce: «Ade che hai? Perché piangi a vuoto? Ho architettato io lassù per il figlio di Maria questo legno che ti ha spaventato. È la croce sulla quale ho fatto inchiodare Cristo, perché con un legno voglio distruggere il secondo Adamo. Non ti turbare, continua a tenere stretti i tuoi prigionieri». E la risposta dell’Ade rimproverato diventa quasi una professione di fede nella redenzione: «Corri e apri bene i tuoi occhi, e guarda la radice del legno dentro la mia anima: mi è scesa fin nel profondo per portare in alto Adamo ed essere ricondotto in paradiso».

Seguono i rimproveri tra l’Ade e il diavolo, descritti come orbo l’uno e cieco l’altro. L’Ade presenta al serpente la forza della croce di Cristo: «Per te la croce è stoltezza, ma da tutto il creato è ammirata come un trono, inchiodato sul quale Gesù ascolta il ladrone e gli dice: Oggi, povero uomo, con me entrerai di nuovo nel paradiso». La promessa fatta da Cristo al ladrone fa reagire e aprire gli occhi al diavolo cieco che confessa la sua sconfitta: «Sbigottito e battendosi il petto diceva: Parla con un ladrone e non risponde  agli accusatori? Neanche di una parola ha degnato Pilato, e adesso si rivolge a un assassino?».

Sconfitto, il diavolo cerca rifugio presso l’Ade e nella sua disfatta descrive la salvezza che sgorga dalla croce di Cristo: «Accoglimi, Ade: presso di te è il mio rifugio! Ho visto anch’io il legno che ti ha spaventato, e arrossato di sangue e acqua. L’uno prova l’uccisione di Gesù, l’altro prova che egli è vivo, poiché la vita è sgorgata dal suo fianco, ed è stato il secondo Adamo a far rifiorire Eva, la madre dei viventi, di nuovo nel paradiso».

Lungo tutto il testo si succedono immagini di notevole profondità poetica e teologica: «Aspetta, Ade sciagurato, disse piangendo il demonio, taci, sopporta. Sento una voce annunciatrice di gioia, un sussurro mi è giunto che porta buone notizie, un brusio come di foglie dall’albero della croce. Sul punto di morire Cristo ha detto: Padre, perdona loro, non sanno quel che fanno. Noi però sappiamo che colui che soffre è il Signore della gloria, che vuol riportare Adamo di nuovo nel paradiso».

La croce quindi diventa luogo di conversione, non più albero di condanna, vigna dai tralci amari, bensì luogo della dolcezza e della vita: «Piangiamo ora, o Ade, vedendo l’albero che avevamo piantato trasformato in un tronco sacro! Ai suoi piedi hanno preso dimora e fra i suoi rami hanno nidificato briganti e  assassini, esattori e meretrici, per cogliere il frutto della dolcezza da quello che pareva un albero secco. Abbracciano la croce come pianta della vita, si aggrappano a essa per compiere a nuoto la traversata col suo aiuto e approdare di nuovo nel paradiso!».

Romano verso la fine mette in bocca all’Ade il tema del «furto» del ladrone che nella croce «ruba» la sua salvezza: «Nessuno di noi dovrà più far violenza alla stirpe di Adamo, perché è stata segnata dal sigillo della croce, come un tesoro che dentro un fragile scrigno ha una perla inviolabile, che l’accorto ladrone sulla croce è riuscito a sottrarre, e per questo furto è stato chiamato di nuovo nel paradiso!».

(© L'Osservatore Romano 14 settembre 2016)