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Per una nuova politica agricola in Europa

Capovolgere

il paradigma economico

 

di Carlo Triarico

 

Resterà aperta fino al 2 maggio la consultazione pubblica della Commissione europea sul futuro della sua politica agricola (Pac). Occorre aprire un ampio dibattito sul futuro dell’agricoltura. Già nel 2004 uno studio della Fao denunciava che il 90 per cento delle varietà coltivate al mondo è andato perduto e che il 75 per cento degli alimenti proviene ormai solo da 12 specie di piante e 5 di animali.

Eurostat, l’ufficio statistico dell’Unione europea (Ue), registra un aumento del consumo di pesticidi, arrivato in Europa, già nel 2014, a 400.000 tonnellate. Si tratta, purtroppo, di un incremento progressivo, nonostante il crescente abbandono delle aree rurali. In soli dieci anni, per Eurostat è andata perduta un’azienda agricola europea su quattro. Contemporaneamente, almeno 88 milioni di tonnellate di cibo nell’Ue vanno sprecati, mentre 43 milioni dei suoi cittadini accedono a un pasto di qualità solo a giorni alterni. Il dato compare in uno studio del progetto Fusions, commissionato dalla Commissione europea, ma di questi poveri intorno a noi poco si parla. D’altro canto, secondo l’Agenzia tedesca dell’ambiente, l’impronta alimentare europea grava per il 40 per cento su suoli extraeuropei. Significa che per mantenere il modello agricolo e lo stile alimentare degli europei si occupano anche le terre e le risorse di altri esseri umani. Troppi suoli, dentro e fuori l’Europa, sono ormai sottratti ai bisogni locali o resi infertili da un’agricoltura di rapina. La siccità e la sterilità sono connesse alle pratiche agronomiche di sfruttamento e ai cambiamenti climatici indotti. Secondo il Consiglio d’Europa, il 10 per cento delle emissioni di gas serra dell’Unione proviene proprio dalla sua agricoltura.

Per ottenere risultati così poco lusinghieri vengono spese risorse enormi. La Pac assorbe il 38 per cento del bilancio dell’Ue. Troppo spesso i finanziamenti distribuiti di fatto sostengono la sopravvivenza delle proprietà fondiarie, non portano benefici all’ambiente, né indirizzano a un’agricoltura sostenibile o a una migliore nutrizione.

Questa inaccettabile crisi alimentare, che opprime oggi centinaia di milioni di esseri umani nel mondo e spopola le aziende agricole, attende chi voglia prendere la leadership ideale di un movimento di rinnovamento agricolo e ambientale e di una riforma agraria su scala mondiale. Non ci sono molti concorrenti per questo posto, a fronte dei tanti contendenti in lotta per una leadership agricola giocata su oligopoli di sementi e mezzi tecnici, accaparramenti di terre e acque, protezionismi, barriere anti uomo e canali privilegiati per il commercio delle commodity alimentari. Eppure saranno proprio i paesi che sapranno assumere la leadership morale del rinnovamento agricolo ad avere in mano le carte più importanti della partita alimentare. Potrebbe fare questo l’Unione europea, progettando da subito una Pac che dal 2020 abbia come obiettivo l’umanizzazione dell’agricoltura e la creazione di un modello agricolo solidale ed ecologico a carattere esemplare.

Per questo da 25 paesi, oltre 150 organizzazioni agricole e ambientali hanno portato ai ministri europei dell’Agricoltura la richiesta di riformare la Pac, accusata di «portare la maggior parte dei vantaggi economici a una minoranza a scapito della maggioranza degli agricoltori, delle persone e dell’intero pianeta». In Italia hanno già aderito numerose organizzazioni ambientaliste. Se il dibattito sarà allargato, potrà venirne un grande slancio che coinvolga altri paesi, emergenti e poveri, in una riforma di sistema. Anche su questo verte la campagna #cambiamoagricoltura, con cui diverse organizzazioni italiane mirano a una riforma radicale e a una redistribuzione delle risorse.

Quest’anno il Treno verde di Legambiente ha portato in Europa la proposta di un’economia circolare. La presidente, Rossella Muroni, chiede giustamente che si incentivino le buone pratiche per il riuso e la lotta allo spreco. Sappiamo però che anche l’economia circolare, che costituisce un passaggio cruciale, potrebbe essere declinata nella paura e per egoismo da un mondo in crisi. L’economia circolare, la sharing o la green economy, sarebbero niente senza la centralità della caritas. L’economia ha proprio nella solidarietà il motore più potente, che consiste nel lavorare per l’altro. Si tratta di capovolgere, con tecnica morale, un paradigma economico: le condizioni per la ricchezza di una comunità cresceranno quanto più il singolo non lavorerà per se stesso, ma per soddisfare le aspirazioni del prossimo e tanto più egli troverà i propri bisogni soddisfatti dalle opere altrui. La riforma agricola dovrà essere fondata proprio sulla circolarità della fratellanza economica. Allora le agricolture marginali saranno ricchezza e gli ultimi i primi. Allo stesso tempo le comunità alimentari e agricole saranno forti se sapranno esse per prime far tesoro del grido di vita e di rinnovamento che viene dalle parti più remote ed emarginate del pianeta, per costruire le basi di una riforma agraria.

(© L'Osservatore Romano, 7 aprile 2017)