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L’esempio controcorrente dei giovani giapponesi

Esiste il diritto allo sballo?

da Tokyo Cristian Martini Grimaldi

È morto annegato nel Ticino a 20 anni, dopo aver fatto verosimilmente uso di droghe, mentre la festa è continuata ininterrottamente tutta la notte fino al mattino, come ha raccontato chi c’era e come hanno testimoniato i vicini della zona. Ma questa è solo l’ultima delle tragedie a sfondo di droghe che regolarmente avvengono in Italia.

In occidente pare che ci si stia abituando ormai all’idea che tutti quelli che una volta venivano considerati tabù, in un futuro prossimo diventeranno una banale consuetudine. Ci si immagina un mondo, ad esempio, dove l’uso di droghe leggere, o altre sostanze, oggi severamente proibite, saranno legalizzate. Non solo l’Uruguay e diversi stati americani, dove l’uso è già legale, ma ormai anche in Europa si avanzano proposte di legge a favore della legalizzazione delle droghe leggere per scopo ricreativo. Eppure, guardando da un altro punto di vista, il trend libertario non appare affatto inevitabile.

Ogni anno migliaia di ragazzi giapponesi arrivano per motivi di viaggio o di studio nei paesi occidentali: Australia, Stati Uniti, Europa, paesi dove fumare e fare uso di alcol, anche prima dell’età legale, è un fatto assolutamente comune. I giapponesi arrivano in questi paesi e sperimentano a loro volta lo stile di vita “occidentale”, ovvero party a base di alcol ma soprattutto droga: quella droga che nel loro paese è soggetta a una circolazione estremamente limitata. Insomma questi giovani asiatici hanno la possibilità di testare quella che ogni giovane occidentale considera nientemeno che un diritto assodato e mai messo in discussione: la “libertà di sballo”.

Ne potremmo dedurre che i giapponesi che hanno avuto questa più unica che rara occasione, ritornati nel Sol Levante, cominciano a denunciare la loro libertà mutilata da una cultura bacchettona e arretrata, o quantomeno a sostenere a gran forza con i loro conoscenti quanto sia immensamente superiore una cultura, quella occidentale, dove i giovani non vengono frustrati da leggi bigotte o retrograde consuetudini nel loro percorso verso l’emancipazione.

Sorprenderà, ma accade l’esatto contrario.

La “libertà occidentale” i giapponesi l’hanno vista, l’hanno sperimentata e non la desiderano minimamente.

La ragione è molto semplice. Secondo i giapponesi trattasi di un piacere indotto, di cui nessuno sente il bisogno.

Questi studenti o giovani viaggiatori hanno visto gli effetti della movida in Spagna, Francia e Italia e non solo se ne tengono bene alla larga, ma ritornano nel loro paese con la più che mai rinsaldata convinzione di vivere in una nazione con un senso di civiltà altissimo.

Un evento come la morte di un giovane durante un party a base di alcol e droghe, se accadesse in Giappone sarebbe sulle prime pagine di tutti i giornali, seguirebbero dibattiti televisivi per settimane, ma non sarebbe mai invitato in studio il solito personaggio “alternativo” per spiegare con bei paroloni come limitare la libertà “da rave” equivalga a una fondamentale restrizione alla libertà di espressione giovanile. Semplicemente un party a base di droghe e alcol in Giappone non è considerato un diritto e chiunque si trovasse ad esprimere un’opinione contraria, fosse un cantante, un artista o uno scrittore, non troverebbe più lavoro: ma non per motivi moralistici, semplicemente la gente lo riterrebbe un cretino. In Italia al contrario i patrocinatori del diritto al consumo di marijuana diventano immediatamente dei paladini della libertà tout court.

Ovviamente anche in Giappone esistono i luoghi dello sballo, ed esiste il giro delle droghe, ma guarda caso il monopolio di spaccio, in strada o nei locali, è quasi esclusivamente in mano agli stranieri.

Basta passeggiare la sera per Shinjuku o Rappongi (i quartieri della movida di Tokyo) per rendersene conto. E basta fare una piccola ricerca in rete ed ecco le confessioni di ex-spacciatori: «ho iniziato a coltivare erba di alta qualità e la vendevo a Tokyo e in alcune altre città ad altri stranieri», confessa anonimamente un ragazzo americano, «dopo alcuni anni ho deciso che il rapporto rischio/ricompensa era troppo basso e allora ho preso a coltivare la cannabis anche all’aperto durante l’estate» (per la cronaca è stato arrestato e rispedito negli Stati Uniti).

Sono i viaggiatori e i residenti stranieri che, previo indottrinamento circa tutte le curiosità dello stile di vita occidentale, le procurano a quei pochi giapponesi che ne rimangono sedotti. Solo che, una volta provata la leggendaria “canna”, anche il giapponese meno avvertito ne comprende immediatamente tutti i limiti e la sua escursione da sballo terminerà lì. Al contrario l’occidentale imbevuto sino al midollo dell’idea che l’uso di droghe leggere equivale a un’affermazione della propria libertà di coscienza, dunque un modo per convogliare il suo infinito spirito di indipendenza e malintesa ribellione, continua caparbiamente a crogiolarsi in questo modesto, ma alla lunga dannoso, passatempo. E quello che è peggio, continuerà a crogiolarsi nell’idea che la libertà di sballo sia davvero un segno di civiltà.

(© L'Osservatore Romano, 14 luglio 2017)