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Dopo le legislative in Olanda

Ma l’Ue

resta con il fiato corto

 

di Giuseppe Fiorentino

Cosa succederà adesso? La domanda che avrebbe dominato i commenti sul voto olandese nel caso di una vittoria della destra populista, è valida anche ora, dopo la certa affermazione del partito liberale del premier uscente Mark Rutte. Un’affermazione accolta con grande sollievo della cancellerie e dai mercati europei, ma che suscita, appunto,  qualche interrogativo.

All’indomani delle elezioni olandesi viene infatti da chiedersi quale  insegnamento trarranno dal voto le istituzioni europee, che per il momento si sono “limitate” a celebrare la vittoria di Rutte, definendola un’argine contro la deriva anti-europeista. Il pericolo della  Nexit (l’uscita dei Paesi Bassi dall’Unione) è scongiurato e l’Ue può raccogliere le idee in attesa delle presidenziali francesi e delle legislative tedesche, appuntamenti che costituiranno un vero banco di prova per la stabilità europea.

Perché una cosa è certa e la Brexit è lì a dimostrarlo: il processo di integrazione continentale è tutt’altro che irreversibile. A minacciarlo, tuttavia, non sono i partiti cosiddetti sovranisti che predicano l’uscita dei rispettivi paesi dall’Unione e il conseguente ritorno alle vecchie monete nazionali. La debolezza del progetto europeo è in primo luogo dovuta alla distanza che le istituzioni hanno accumulato rispetto alla cittadinanza ed è proprio su questa distanza che le forze politiche populiste fanno leva per mietere consensi.

Il rischio è quindi che il voto olandese possa costituire una sorta di alibi per l’Ue che, mentre ai avvia a celebrare il sessantesimo anniversario dei Trattati di Roma, potrebbe essere indotta a pensare che il peggio è passato. Invece non è così. L’Unione resta fragile  non solo a motivo del fossato scavato tra essa e le persone, ma per la cronica mancanza  di un  progetto comune sui grandi temi. Come quello dell’accoglienza ai profughi e ai migranti che ha davvero visto dividere l’Europa.

È stata proprio l’assenza di una visione condivisa a spingere verso la definizione di un accordo con la Turchia, la quale, in cambio di molto denaro, ha accettato di “accogliere” nel suo territorio i profughi che altrimenti avrebbero affollato la rotta balcanica. Ora il governo di Ankara, in aperta polemica proprio con l’Olanda,  minaccia di rivedere quell’intesa. Se così fosse verrebbero messi in discussioni equilibri fragilissimi in seno all’Ue, equilibri raggiunti dopo mesi e mesi di difficili trattative.

Comunque vadano le cose resta l’amara constatazione di un’Unione dal fiato corto,  fragile a tal punto da far dipendere la propria stabilità dalle decisioni di un paese terzo.

(© L'Osservatore Romano, 17 dicembre 2017)