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Nella «Gaudete et exsultate»

I santi che si possono incontrare

di Catherine Aubin

«Da qualche parte ho letto: “Dio c’è, io l’ho incontrato!”. Questa poi! La cosa mi sorprende! Che Dio esista, è fuori discussione! Ma che qualcuno l’abbia incontrato prima di me, questo sì che mi sorprende! Perché io ho avuto il privilegio d’incontrare Dio proprio nel momento in cui dubitavo di lui! In un paesino della Lozère, abbandonato dagli uomini. Passavo davanti alla vecchia chiesa e sono entrato... E lì sono rimasto abbagliato... da una luce intensa... insostenibile! Era Dio... Dio in persona... Dio che pregava! Mi sono detto: Chi prega? Mica pregherà se stesso? No! Pregava l’uomo. Pregava me! Diceva: “O uomo! Se ci sei, dammi un segno!”. Ho detto: “Dio mio, eccomi qui!”. Lui ha detto: “Miracolo! Un’umana apparizione!”. Gli ho detto: “Ma Dio mio... come puoi dubitare dell’esistenza dell’uomo, visto che sei tu che l’hai creato?”. Mi ha detto: “Sì... ma era da così tanto tempo che non ne vedevo uno nella mia chiesa... che mi sono chiesto se non fosse una fantasia!”. Gli ho detto: “Eccoti rassicurato, mio Dio!”. Mi ha detto: “Sì! Ora potrò dire a loro lassù: l’uomo c’è, l’ho incontrato”» (Raymond Devos).

L’esortazione apostolica di Papa Francesco c’invita a parafrasare o a completare questo grande umorista francese, aggiungendo: «Un uomo, un sant’uomo, c’è, io l’ho incontrato». Gaudete et exsultate ci offre chiarimenti su ciò che fa santo questa o quella persona, uomo o donna che sia. Ma nulla sostituisce il contatto diretto con un testimone, un missionario o una persona umile e gioiosa. Sia essa sposata, celibe, divorziata, disabile, vedova, risposata, omosessuale, donna d’affari o senza fissa dimora, o ancora vittima di abusi. Come si manifesta la loro santità specifica e unica? Corre, si dilata e si diffonde nelle loro anime semplici e sopraffatte (Margherita Porete, Lo specchio delle anime semplici). Come se, in ogni momento, le loro vite fossero ispirate e ispiratrici, come se le loro decisioni fossero sempre prese in funzione di un Altro o degli altri, come se fossero possedute dall’umiltà, dalla gioia, dalla compassione, dalla misericordia, e come se nulla più avesse importanza.

Questi santi ignorati, passati inosservati, quasi invisibili, vivono con gioia e forza interiore, una beatitudine, la loro propria beatitudine, che non hanno necessariamente scelto, ma che si è imposta loro attraverso la forza della loro vita. Per esempio, quella madre di famiglia che conosco, vedova da qualche mese, con sette figli, nonna di una ventina di nipoti e bisnonna di pronipoti di cui ormai si è perso il conto. La sua beatitudine è semplice: «Beato chi, come il padre del figliol prodigo, sa attendere, vegliare e pregare, e correre per abbracciare chi ritorna mortificato, abbattuto e confuso» (cfr. Luca 15, 20). L’ho vista agire così con qualcuno. Dalla sua bocca non esce mai una parola cattiva, ma solo parole di gratitudine, di comprensione, di scusa e di apertura. Non c’è da parte sua alcun giudizio, ma la scelta rinnovata ogni giorno di cercare di capire quella situazione negativa o distruttiva. La sua casa sperduta tra i campi della Champagne è aperta, nel vero senso della parola. Non chiude a chiave la porta, neppure quella del suo cuore. Avendo vissuto con loro diversi giorni, ho potuto condividere il semplice momento mattutino: insieme abbiamo letto i testi della messa del giorno, così, senza commenti, poi abbiamo recitato una decina di rosari inframezzati da nomi di persone in difficoltà vicine o lontane, ancora senza commenti. Era lì il segreto della sua santità, in quella ricerca continua e quotidiana di coerenza tra ciò che era annunciato la mattina nella Parola e il vissuto della giornata. Nulla di complicato, solo una semplicità gioiosa sempre in fase di adattamento e di apertura.

L’altra testimone che mi fa venir voglia di camminare in questa santità è una religiosa anziana, la cui beatitudine s’iscrive in ogni poro del suo cuore, del suo corpo e del suo sguardo. La sua beatitudine è: «Beate le prostitute e i pubblicani perché ci precederanno nel Regno dei cieli» (cfr. Matteo 21, 31). Di nuovo, nulla la differenzia esteriormente dagli altri: questa dimensione di misericordia e di compassione la esprime con atteggiamenti e gesti quasi invisibili e pervasi da grande dolcezza. Non rinchiude mai questa o quella in un giudizio, in un’accusa o una decisione definitiva. Ogni giorno il suo sguardo vede al di là delle apparenze, come se i suoi occhi fossero diventati quelli di Cristo sulla croce quando dice al ladrone: «Oggi sarai con me in paradiso». Nella sua vita, questa donna ha avuto molte responsabilità ed è sempre andata incontro a situazioni o persone difficili, tendendo la mano, mettendo a rischio la sua reputazione e riuscendo spesso e quasi sempre a far guadagnare la carità (o il paradiso…).

Concludo con Jean Vanier. Ecco un uomo che sarebbe potuto diventare un politico, un filosofo o anche un eminente docente universitario. La beatitudine che mi fa vedere attraverso il suo impegno è: «Beato chi riceve lo Spirito Santo e si lascia inviare» (cfr. Giovanni 20, 22). Vanier è la dolcezza, la gioia profonda, l’ascolto, l’impegno senza millanteria tra i più piccoli, è il senso dell’umorismo, è la comprensione profonda delle situazioni, è l’audacia ispirata che ha ispirato tante e tante persone tra i più bisognosi. In lui non c’è alcuna ostentazione, nessuna lezione di morale, né grandi discorsi, ma gesti e parole che vengono da un cuore abitato dalla Forza dello Spirito santo e da atteggiamenti che sarebbero potuti sembrare quasi ridicoli agli occhi del mondo, ma che sono diventati profetici per tutta l’umanità.

Nell’ultima esortazione apostolica si legge: «ogni santo è una missione» (cfr. Gaudete et exsultate, 19), ogni uomo è una missione; è anche un missionario. In effetti una missione senza missionario rischia di essere un ramerisonante. A rendere il missionario «attraente» sono la beatitudine, il volto, lo sguardo o una parola di Cristo che lui incarna fino in fondo, ogni giorno, senza far rumore e con gioia. Quando abbiamo la fortuna d’incontrare uno di questi uomini o una di queste donne, essi producono in noi una sorta di scossa della terra o del cuore. Di fatto ci lavorano e ci smuovono, ci affascinano e ci attirano, ci illuminano e ci sconvolgono. È allora che ci è dato vivere un sano dispiacere: «C’è una sola tristezza nella vita, quella di non essere santi».

(©L'Osservatore Romano, 14 aprile 2018)