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Le raccomandazioni del rapporto dell’Unctad

Per un commercio multilaterale regolato

di Carlo Triarico

Negli ultimi dieci anni abbiamo registrato l’incapacità di fronteggiare gli squilibri e le disuguaglianze da parte di un mondo iper-globalizzato. È questo il monito del rapporto 2018 «Potere, piattaforme e disillusione del libero scambio» della Commissione dell’Onu sul commercio e lo sviluppo (Unctad), presentato il 26 settembre a Palazzo Pio dall’Unctad e dal Dicastero per il servizio dello sviluppo umano integrale.

Il documento mostra i dati della progressiva crescita delle disuguaglianze e dell’indebitamento globale. Spiega Richard Kozul-Wright, primo autore del rapporto, che questi due fenomeni sono interconnessi e dipendono dall’influenza crescente dei mercati finanziari. L’iper-globalizzazione non ha portato i benefici promessi. Dopo la crisi del 2008, il debito globale è aumentato del 50 per cento, arrivando alla cifra colossale di 247 trilioni di dollari, tre volte il prodotto interno lordo mondiale. Il commercio è sempre più dominato dalle grandi multinazionali, che hanno assunto il controllo delle catene del valore: l’uno per cento delle compagnie esportatrici gestisce ormai più della metà delle esportazioni mondiali, secondo una spirale in cui gli utili generati servono a sottomettere le istituzioni, controllare il potere politico e generare ulteriori utili.

L’aumento degli scambi non corrisponde più al miglioramento economico delle comunità. Al contrario, i dati del rapporto indicano che l’incremento dei volumi commerciali, ha rafforzato le disuguaglianze. Alla crescita non corrisponde lo sviluppo e il valore aggiunto va sempre meno alla produzione e meno ancora al lavoro, in favore delle grandi aziende, che gestiscono beni e attività immateriali. Sono aumentati vertiginosamente i profitti sui brevetti e le rendite di posizione, che spesso riescono a sottrarsi alla fiscalità dei paesi dove si svolge la produzione, collocandosi in paradisi fiscali.

I dati del rapporto mettono in crisi la retorica prevalente per cui i benefici dei flussi commerciali vanno a tutti e svela che i vincitori della partita costituiscono un’élite dominante. Grandi accusati sono strumenti come la maggioranza dei trattati bilaterali del commercio, che erodono i margini politici dei governi e favoriscono l’accumulo di rendite dei grandi esportatori attraverso norme che sostengono la proprietà intellettuale, i flussi internazionali di capitale, la risoluzione delle controversie degli investitori contro gli stati, l’armonizzazione dei regolamenti, la selezione delle merci.

La stessa rivoluzione digitale ha accumulato su pochi operatori e paesi i benefici da cui sono escluse le fasce più deboli, mancando adeguati interventi antitrust sulle concentrazioni. Delle venticinque grandi aziende del settore quattordici sono negli Stati Uniti e solo una nel continente africano. Il rapporto tra profitti e vendite è raddoppiato per Amazon in dieci anni e triplicato per Alibaba in cinque anni. Bisognerebbe invece portare risorse sui progetti infrastrutturali diffusi, specie nei paesi del sottosviluppo. Troppo spesso le infrastrutture diventano solo occasione di business e non strumento per le trasformazioni strutturali sul territorio.

Se è vero che l’applicazione dogmatica del libero scambio ha indotto a ridurre le opportunità dei paesi del sottosviluppo, dei lavoratori, degli agricoltori e delle piccole imprese e a incrementare le rendite delle grandi multinazionali, tuttavia il ritorno al nazionalismo e al protezionismo non pare la via per garantire il cambiamento necessario. Le guerre commerciali che, dopo anni di libero scambio, vogliono correggere le storture con l’introduzione di barriere tariffarie doganali, non intervengono sui fattori strutturali, tantomeno sulla povertà e sulla scarsa disponibilità di denaro, di occupazione, di risorse e persino di cibo di tanta parte della popolazione mondiale. Il mondo interdipendente ci impone dunque di percorrere la via del multilateralismo contro l’egoismo e di far ripartire l’economia con il recupero alla vita economica delle categorie emarginate.

Il rapporto dell’Unctad impone ora una riflessione sulla Carta dell’Avana, il primo tentativo di istituire un sistema commerciale multilaterale regolato. In luogo di trattati bilaterali, o di fughe unilaterali, serve una cooperazione internazionale salda su tre cardini per il commercio e lo sviluppo dei nostri tempi: gli accordi commerciali vincolati all’occupazione e a garanzie di reddito per tutta la popolazione, le regole certe sui comportamenti predatori delle grandi compagnie, l’integrazione dei paesi secondo gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Onu.

(©L'Osservatore Romano, 27 settembre 2018)