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Il cambio di strategia delle potenze dotate di arsenali atomici

Se si banalizzano gli armamenti nucleari

di Antonio Zanardi Landi

La pace nel mondo dalla fine della seconda guerra mondiale si è paradossalmente retta su un equilibrio del terrore rappresentato dalla cosiddetta Mad (Mutual Assured Destruction), la capacità cioè di cui dispongono gli Stati Uniti e la Federazione Russa di distruggere l’avversario, anche se fossero colpiti da un primo attacco nucleare. Gli arsenali in possesso di Washington e di Mosca sono dunque talmente grandi, diversificati e distribuiti tra poligoni di lancio terrestri, sommergibili, navi e bombardieri strategici che sarebbe comunque impossibile neutralizzarli mediante un attacco nucleare, per quanto massiccio ed esteso.

L’immagine di un mondo che uscisse da un simile scenario sarebbe quella di un pianeta in larga parte inabitabile, pesantemente contaminato dalle radiazioni e dalle ricadute al suolo del materiale nucleare determinate dalle bombe. Ipotesi così catastrofiche e orride che, nonostante le gravissime crisi internazionali verificatesi nella seconda metà del Novecento, alle armi nucleari non si è mai fatto ricorso e il mondo ha conosciuto tante tragedie, ma non quella di una virtuale scomparsa della razza umana.

Da qualche anno il principio della Mad mostra crepe profonde, ma sarebbe fuori luogo rallegrarsene, a meno che non si formasse quel consenso, oggi improbabile, per il bando totale delle armi nucleari invocato dal Papa e che pochi mesi fa ha costituito l’argomento di un convegno internazionale organizzato dalla Santa Sede, con la partecipazione di premi Nobel e dei rappresentanti di alcuni paesi che dispongono di armi nucleari, oltre che della Nato.

I primi sviluppi che hanno messo in forse l’efficacia della Mad sono stati rappresentati dall’installazione di batterie antimissile in Polonia e nei paesi baltici, che hanno fatto ritenere a Mosca che la propria parità strategica con gli Stati Uniti ne fosse compromessa e che hanno concorso, ancora prima della crisi ucraina, a un progressivo deterioramento nei rapporti con gli Stati Uniti e di quelli con la Nato e l’Unione europea. Analoghe reazioni negative si sono avute dalla Repubblica Popolare Cinese, e ancora una volta dalla Russia, in occasione dell’installazione di batterie antimissile in Corea del Sud, per difendersi da possibili colpi di testa del regime nordcoreano. Così come Mosca ha fortemente protestato per analoghe installazioni in Giappone.

D’altra parte la proliferazione nucleare rende di per sé stessa obsoleta la Mad, in quanto i paesi con gli arsenali nucleari meno potenti non sarebbero in grado di rispondere efficacemente a una delle grandi potenze. Di conseguenza, gli stati maggiori hanno in corso complessi processi di studio e di aggiornamento per prevedere il futuro degli arsenali nucleari, tenendo conto della situazione internazionale, molto mutata, che vede non solo l’aumento del numero dei paesi dotati dell’atomica, ma anche quello di attori non statuali e di minacce asimmetriche, potenzialmente gravissime.

In particolare sono allo studio vettori e ordigni di potenza inferiore a quella raggiunta nei decenni scorsi, ma questo non deve rallegrare. Al contrario! Armi nucleari meno devastanti divengono più facilmente utilizzabili, sono in qualche modo banalizzate e si fa più sottile la linea di distinzione tra guerra atomica e conflitto con armamenti tradizionali, che hanno raggiunto capacità distruttive un tempo esclusive del nucleare.

Di recente l’«Economist» titolava Not so Mad (con gioco di parole basato sul significato dell’aggettivo inglese mad, che significa “matto”) per rilevare i profondi cambiamenti in atto nei piani per l’utilizzazione delle armi nucleari da parte delle maggiori potenze. Cambiamenti che si fanno evidenti a causa dell’indebolimento del trattato Inf (Intermediate Range Nuclear Forces), che aveva messo al bando i missili nucleari con gittata da 500 a 5000 chilometri, e per le scarse possibilità di un nuovo Start (Strategic Arms Reduction Treaty), reso quasi impossibile dal livello delle attuali tensioni russo-americane.

(© L'Osservatore Romano, 22 febbraio 2018)