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Il Vangelo di domenica 10 marzo, I di Quaresima

Tutto sua madre

di Giovanni Cesare Pagazzi

Guidato dallo Spirito nel deserto, Gesù è tentato dal diavolo. Il secondo attacco ha per oggetto il potere: «Il diavolo lo condusse in alto, gli mostrò in un istante tutti i regni della terra e gli disse: “Ti darò tutto questo potere e la loro gloria, perché a me è stata data e io la do a chi voglio. Perciò se ti prostrerai in adorazione davanti a me, tutto sarà tuo”» (Luca, 4, 5-7). Innanzitutto il diavolo cita le Sacre Scritture, e precisamente la promessa di Dio al suo Messia: «Chiedimi e ti darò in eredità le genti e in tuo potere le terre più lontane» (Salmo 2, 8). Accettando la sua proposta, Gesù onorerebbe il proprio compito di messia. Il diavolo si presenta come il depositario del potere e a Gesù basta adorarlo. La risposta di Cristo è secca: «Sta scritto: Il Signore Dio tuo adorerai: a lui solo renderai culto» (Luca, 4, 8). Identificare la vittoria di Gesù nel suo rifiuto del potere, significa mancare completamente il bersaglio del testo, leggendolo col pregiudizio che considera il potere come demoniaco perciò da respingere. In tal modo, però, si dà ragione al diavolo: il potere è suo. Questa lettura dimentica che, come ogni uomo, anche il Figlio di Dio ha bisogno del potere, altrimenti non respirerebbe (“posso” respirare), né si muoverebbe (“posso” muovermi). Inoltre, senza “la potenza” Gesù non guarirebbe, non perdonerebbe, non risusciterebbe i morti. Sottoponendogli la questione del potere, il diavolo non tocca un argomento marginale alla vita di Cristo, ma colpisce la radice e la sorgente di tutto il suo essere. La vittoria del Signore non consiste quindi nel rifiuto del potere promessogli, in nome di chissà quale ascetica rinuncia a rilevanza e grandezza. Piuttosto il suo trionfo coincide col rifiuto di considerare il diavolo come potente. L’oggetto in questione non è il potere, ma chi realmente lo detiene e lo elargisce. Perciò Cristo compie esattamente il gesto individuato dal diavolo come condizione per ottenere potere: “adorare”, rivolgendolo tuttavia a un altro destinatario, il “Signore Dio”. Più che generica dichiarazione d’umiltà rinfacciata a chi promette rilievo e dominio, la replica di Gesù è una professione di fede nel Padre come esclusivo, sicuro, affidabile detentore del potere necessario per vivere. Luca aveva già preparato il suo lettore a questo momento, narrando dell’angelo Gabriele, “Potenza di Dio”, dell’incredulità di Zaccaria circa la possanza del Signore, della sua ritrovata fiducia nel Salvatore potente, della fede di Maria in colui che tutto può, del canto della ragazza di Nazaret, che esalta il Signore come l’unico potente. Non c’è che dire: rispondendo al diavolo, Gesù è “tutto sua madre”, riecheggiandone l’affidamento vibrante a colui che rovescia presunti potenti dai troni. E come quella di sua madre, anche la sua ha un tono polemico e contestatore, poiché l’ammissione di un unico depositario della possanza comporta la negazione di qualsiasi altro supposto detentore del potere. Nella propria irrinunciabile ricerca di potere, il Signore smaschera il diavolo. Infatti, egli scopre le sue millanterie: vanta un potere che non ha. Cedere alla tentazione non significa desiderare il potere, ma cercarlo dove non c’è, fidandosi di uno sbruffone impotente.

(©L'Osservatore Romano, 6 marzo 2019)