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In due appunti autografi del 15 giugno 1970 e del 21 novembre 1971

La preveggenza di Paolo VI


 

Pubblichiamo un articolo scritto dal nostro direttore e apparso nel 2004 con il titolo Montini e il divorzio trent'anni dopo sul terzo numero della rivista "Vita e Pensiero" dell'Università Cattolica del Sacro Cuore.

"Argentina Marchei ha vinto, Paolo VI ha perso":  così un cartello esibito davanti a Montecitorio da manifestanti radicali e laici - lo ha ricordato di recente Valter Vecellio sul "Corriere della Sera" - sintetizzava con provocatoria efficacia l'introduzione del divorzio nella legislazione italiana, contrapponendo a Papa Montini la donna romana, militante comunista e sostenitrice della Lega per l'istituzione del divorzio, che fu la prima beneficiaria della nuova legge. La vicenda - sfociata l'1 dicembre 1970 nella promulgazione del contrastato provvedimento - si era infatti aperta quasi agli inizi del pontificato di Paolo VI, nel 1964, quando partì la proposta legislativa, e culminò nel referendum che il 12 e 13 maggio 1974 respinse con un sorprendente 59,1 per cento dei voti il tentativo di abrogare la legge sul divorzio, mentre gli antidivorzisti raccolsero il 40,9 per cento di consensi. Fu una svolta, politica ma soprattutto sociale e ideologica, sulla quale a suo tempo molto si è discusso. Alla sua ricostruzione si aggiungono ora due appunti inediti di Papa Montini, consegnati ad Agostino Casaroli (allora segretario del Consiglio per gli affari pubblici della Chiesa) e conservati a Bedonia (Parma) nel centro intitolato al diplomatico vaticano.
I fatti di trent'anni fa sembrano lontani e superati, ma i suoi effetti perdurano, e il nodo costituito dall'opportunità di legislazioni ispirate a morali religiose appare non risolto. Evidente è oggi il contrasto di insegnamenti etici un tempo diffusi con l'affermazione esclusiva dei diritti individuali e con un laicismo aggressivo e intollerante. In Italia, dal divorzio si passò alla regolamentazione dell'aborto - introdotta nella legislazione e sottoposta anch'essa a un tentativo di abrogazione referendaria, sconfitto nel 1981 con percentuali ancora più distanti tra sostenitori e oppositori della legge - e ora a quella della fecondazione assistita.
Ma lo scontro sull'aborto non ebbe lo stesso impatto di quello che divise all'inizio degli anni Settanta il Paese. Nel 1974 infatti l'Italia sembrò all'improvviso prendere coscienza di una secolarizzazione che in realtà si era accelerata progressivamente dagli anni Sessanta, con effetti sociali sconvolgenti, dalla denatalità allo sfaldamento dei tradizionali nuclei familiari. E tuttavia una riflessione spassionata sull'introduzione del divorzio non è ancora stata tentata, né da parte laica né soprattutto da parte cattolica, benché ricostruzioni e documenti siano stati pubblicati da Sandro Magister nel volume La politica vaticana e l'Italia (Roma, Editori Riuniti, 1979) e quindi nel diario di Gian Franco Pompei (1915-1989), già consigliere diplomatico di Aldo Moro e allora rappresentante italiano presso la Santa Sede (Un ambasciatore in Vaticano. Diario 1969-1977, Bologna, Società editrice il Mulino, 1994), curato da Pietro Scoppola.
Nella vicenda il ruolo del Pontefice apparve emblematico al punto da divenire slogan nel cartello laicista ("Paolo VI ha perso"), così come la sua opposizione all'aborto lo fece rappresentare gravido e compiaciuto in una vignetta su "la Repubblica" dell'8 giugno 1978, tre settimane prima del bilancio del pontificato che Papa Montini pronunciò il 29, nelle sue ultime settimane di vita, richiamando tra l'altro la sua contestatissima enciclica Humanae vitae (1968) per il controllo naturale delle nascite:  "quel documento è diventato oggi di nuova e più urgente attualità per i vulnera inferti da pubbliche legislazioni alla santità indissolubile del vincolo matrimoniale e alla intangibilità della vita umana fin dal seno materno. Di qui le ripetute affermazioni della dottrina della Chiesa cattolica sulla dolorosa realtà e sui penosissimi effetti del divorzio e dell'aborto, contenute nel nostro magistero ordinario (...). Noi le abbiamo espresse, mossi unicamente dalla suprema responsabilità di maestro e di pastore universale, e per il bene del genere umano! Ma siamo stati indotti altresì dall'amore alla gioventù che sale, fidente in un più sereno avvenire, gioiosamente protesa verso la propria auto-realizzazione, ma non di rado delusa e scoraggiata dalla mancanza di un'adeguata risposta da parte della società degli adulti. La gioventù è la prima a soffrire degli sconvolgimenti della famiglia e della vita morale".
Il ruolo di Papa Montini fu importante nell'opposizione, ovvia e impopolare, a divorzio e aborto, ma anche nello scontro che divise il Paese - e in particolare il mondo cattolico e la Democrazia Cristiana, che ne era la principale espressione politica - sulla legge e poi sul referendum. La questione, già molto complicata, attraversò fasi diverse, condizionate dalle vicende interne ai partiti, innanzi tutto proprio quello democristiano, anche su questo diviso. Montini - che origini familiari e sensibilità intellettuale portarono a essere sacerdote, vescovo e Papa acutamente vicino alla modernità e altrettanto consapevole delle sue contraddizioni - visse dolorosamente la vicenda che spaccò il paese, turbò il mondo cattolico e sembrò riaprire la ferita di "una nuova Porta Pia. Anche Paolo VI, come Pio ix, ha voluto la sua", come scrisse Pompei la sera del 13 maggio 1974, aggiungendo dal suo punto di vista, vicino agli intellettuali cattolici contrari ad abrogare la legge:  "Speriamo solo che non ci vogliano alla Chiesa 59 anni per comprendere che questa, come quella, l'ha liberata da un peso temporale, dalle scorie" (Un ambasciatore, p. 376).
Le reazioni del Papa sarebbero invece state, nell'udienza generale del 15 maggio, "di stupore e di dolore, anche perché a sostegno della tesi, giusta e buona, dell'indissolubilità del matrimonio è mancata la doverosa solidarietà di non pochi membri della comunità ecclesiale". E l'8 giugno, parlando ai vescovi italiani, Paolo VI rivolse "un paterno appello agli ecclesiastici e religiosi, agli uomini di cultura e di azione, e a tanti carissimi fedeli e laici di educazione cattolica, i quali non hanno tenuto conto, in tale occasione, della fedeltà dovuta ad un esplicito comandamento evangelico, ad un chiaro principio di diritto naturale, ad un rispettoso richiamo di disciplina e comunione ecclesiale, tanto saggiamente enunciato da codesta Conferenza Episcopale e da noi stessi convalidato:  li esorteremo tutti a dare testimonianza del loro dichiarato amore alla Chiesa e del loro ritorno alla piena comunione ecclesiale, impegnandosi con tutti i fratelli nella fede al vero servizio dell'uomo e delle sue istituzioni, affinché queste siano internamente sempre più animate da autentico spirito cristiano".
I due appunti inediti di Papa Montini precedono il trauma del referendum, e anzi il primo, datato "15.6.70", addirittura l'approvazione della legge, quando ancora si sperava in un accordo con la Santa Sede. Il testo di Paolo VI si estende su due foglietti con lo stemma papale, interamente autografi e senza correzioni. Nel primo il Pontefice espone un'attenta valutazione delle conseguenze della legge:  "Non meno della retta interpretazione del Concordato e della sua valida conservazione, preme scongiurare l'introduzione del divorzio nella legislazione italiana (e in quali termini previsti!). Quale sfortuna sarebbe per l'Italia, per la sua tradizione giuridica, per la solidità dell'istituto familiare e della compagine sociale, per la pedagogia del costume e del concetto autentico dell'amore, per il senso del dovere, per la sorte di tanti figli-orfani di genitori infedeli alla loro responsabilità, per la divisione degli animi risultante e per l'obbligo della protesta doverosa per i cattolici e per la Chiesa. Sarebbe atto "politico" infelicissimo".
Sul secondo foglietto Montini elenca quanto doveva essere comunicato a Pompei dall'allora sostituto della Segreteria di Stato Giovanni Benelli e che l'ambasciatore annotò - intravedendo l'appunto, "che mi è sembrato della mano di Sua Santità" - ed espose al ministro degli esteri Moro in un dispaccio del 25 giugno, giorno dell'incontro (cfr. Un ambasciatore, pp. 86-87):  "A voce:  Far sapere all'Ambasciatore d'Italia che la promulgazione della legge sul divorzio produrrà vivissimo dispiacere al Papa:  per l'offesa alla norma morale, per l'infrazione alla legge civile italiana, per la mancata fedeltà al Concordato e il turbamento dei rapporti fra l'Italia e la Santa Sede, per il danno morale e sociale, facilmente progressivo, risultante a carico dell'istituto familiare, dei figli specialmente, per la posizione di contrasto che Clero e cattolici sono obbligati a prendere sopra così grave e permanente questione, nei riguardi del Paese". Cinque mesi più tardi la legge veniva approvata, mentre il Papa era in Australia per l'ultimo viaggio internazionale.
Più breve, su un semplice foglietto, è il secondo appunto, datato "21.xi.1971", quando ormai la legge era approvata e la situazione ingarbugliatissima, con le firme per il referendum depositate e le trattative per una revisione migliorativa della legge (che lo avrebbe evitato) vanificate anche dalla lotta intestina nella Democrazia Cristiana per l'elezione del nuovo presidente della Repubblica. Paolo vi scrive:  "Allo stato presente delle cose, penso che sia dovere e interesse attenersi alla difficile, ma lineare prova del referendum, anche se dubbio ne sia il risultato. È un rischio audace, ma che dà credito a chi lo affronta per lealtà democratica e cristiana, e che impegna ogni corrente di sana ispirazione morale a dare fiducia a chi lo affronta con franchezza politica, e obbliga la coscienza cattolica del Paese a ritrovare energia ed unità". Con lucidità e senza illusioni di vittoria, da molti coltivate sino alla vigilia della prova referendaria, ma senza incertezze. Su una questione che Montini, pontefice dalla spiccata sensibilità politica, riteneva - certo da un punto di vista morale, ma anche su un piano squisitamente laico e dunque politico - decisiva per il futuro dell'Italia. E soprattutto in coerenza con una predicazione cristiana sui temi della morale sessuale che lo rese impopolare.

g.m.v.

 (© L'Osservatore Romano 01 /12/2010)