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La vita dalla pietra

«La storia umana non finisce davanti a una pietra sepolcrale, perché scopre oggi la “pietra viva” (cfr. 1 Pt 2, 4): Gesù risorto. Noi come Chiesa siamo fondati su di Lui e, anche quando ci perdiamo d’animo, quando siamo tentati di giudicare tutto sulla base dei nostri insuccessi, Egli viene a fare nuove le cose, a ribaltare le nostre delusioni». Nella veglia pasquale il Papa ha ricordato l’essenza della Chiesa, questa realtà viva fondata su Gesù risorto che in virtù di quel fondamento non crolla quando tutto sembra franare, quando l’animo si perde. Questa è anche l’essenza della fede. L’affermazione di Francesco trova origine e aderisce perfettamente al testo biblico in cui campeggia il termine ebraico תמא (’emeth) che sta a significare appunto sia “verità” che “fede” nel senso di “fedeltà”, «affidabilità», «stabilità», «permanenza».

Ancora una volta il vescovo di Roma, successore di Pietro, esercita il suo mandato di “confermare i suoi fratelli”, un con-fortare che non è esercizio di un potere dall’alto, non è l’autocelebrazione del proprio carisma, l’esibizione trionfalistica della propria forza ma è il sostenere per mano le pecorelle affidate chiamandole per nome e indicando, ricordando, il vero fondamento della Chiesa che non è “di” qualcuno se non di Cristo. Come affermò Benedetto XVI nella sua ultima udienza come Papa: «Ho sempre saputo che la barca della Chiesa non è mia, non è nostra, ma è sua. E il Signore non la lascia affondare; è Lui che la conduce». Ricordare l’amore di Dio come fonte originaria, è questo il compito del pastore della Chiesa universale e Francesco lo ha fatto nella stessa omelia di sabato notte: «La fede ha bisogno di riandare in Galilea, di ravvivare il primo amore con Gesù, la sua chiamata: di ri-cordarlo, cioè, letteralmente, di ritornare col cuore, a Lui. Ritornare a un amore vivo col Signore è essenziale, altrimenti si ha una fede da museo, non la fede pasquale». La pietra che fonda la Chiesa è viva, non è una pietra da museo. E la Chiesa, popolo di Dio, con il suo sensus fidei, sente l’amore del suo pastore che è un amore “suo” ma solo perché lo ha a sua volta ricevuto e ritrasmesso: anche il Papa come ogni cristiano e ogni figlio di Dio è stato guardato dagli occhi misericordiosi di Gesù ed è qui la sua forza. «Dio ci chiede di guardare la vita come la guarda Lui, che vede sempre in ciascuno di noi un nucleo insopprimibile di bellezza» ha affermato il Papa ed è questo che “conferma” i fratelli, questa fiducia filiale, questo sentirsi e riconoscersi amati e perdonati, proprio come Pietro.

La sera prima, al termine del rito della Via crucis al Colosseo, il popolo dei cristiani ha sentito l’amore del suo pastore in quelle parole dedicate a quei cristiani che sono fedeli alla propria vocazione cristiana e «che cercano instancabilmente di portare la Tua luce nel mondo e si sentono rifiutati, derisi e umiliati» ma anche a quelli che «strada facendo, hanno dimenticato il loro primo amore». L’amore del Papa è per tutta la Chiesa, per la «Tua Chiesa che, fedele al Tuo Vangelo, fatica a portare il Tuo amore perfino tra gli stessi battezzati» e per la Chiesa «la Tua sposa, che si sente assalita continuamente dall’interno e dall’esterno». E il pensiero, il cuore, va alle vittime dello Sri Lanka. C’è un mistero grande in questa morte e risurrezione, in questo seme che morendo germoglia, essenza della fede cristiana. Un’intuizione di questo mistero traspare da una pittura di Caravaggio (forse questo è il privilegio dell’arte), quando nella sua Deposizione, mostra Cristo morto che con il dito tocca la pietra del sepolcro, come se da lì, attraverso quella pietra, riuscisse a ritrovare la vita, come a indicare anche a noi che vediamo la scena che per quella pietra dobbiamo passare ma che «La storia umana non finisce davanti a una pietra sepolcrale».

di Andrea Monda

(© L'Osservatore Romano, 24-25 aprile 2019)