«La salvezza che il Signore ci dona è un invito a partecipare a una storia d’amore che si intreccia con le nostre storie». Così ha cominciato il Papa il suo discorso alla veglia con i giovani di sabato, evento clou della Giornata mondiale della gioventù di Panamá. Una storia d’amore, questa è la definizione migliore per dire con parole umane il mistero della vita: una storia, un’avventura nella quale vale la pena buttarsi, proprio come ha fatto Maria con il suo “sì”, che è la risposta, ha detto il Papa davanti a più di mezzo milione di giovani assiepati nel campo del Metro Park intitolato a san Giovanni Paolo II, «di chi vuole coinvolgersi e rischiare, di chi vuole scommettere tutto, senza altra garanzia che la certezza di sapere di essere portatrice di una promessa». Quella risposta di Maria — «sia fatto di me secondo la tua parola» — è il motto di questa Gmg ed è un invito alla fortezza, a quello slancio che ci fa superare la paralisi a cui spesso la paura, la tristezza e la solitudine conducono tanti giovani.
È proprio l’amore il tema centrale di questa terza giornata, la parola-chiave su cui ruotano gli interventi di Papa Francesco che la mattina ha celebrato la messa nella basilica di Santa Maria la Antigua rimessa a nuovo e di fatto consegnata all’arcivescovo di Panamá, José Domingo Ulloa Mendieta, attraverso il rito della dedicazione dell’altare maggiore. Anche qui una storia d’amore: prima ancora di cominciare l’omelia il Papa ha esordito, suscitando il sorriso della folta assemblea, con queste parole fuori programma: «Prima di tutto voglio congratularmi col Signor Arcivescovo, che per la prima volta, dopo quasi sette anni, ha potuto incontrare la sua sposa, questa chiesa, vedova provvisoria per tutto questo tempo. E congratularmi con la vedova, che oggi cessa di essere vedova, incontrando il suo sposo». E per questi “sposi” il Papa stesso ha predisposto il “talamo”: il lungo momento in cui il Santo Padre si è prodigato nell’unzione dell’altare è stato di grande intensità emotiva. Lo splendido, potente, coro in sottofondo, l’incenso che avvolgeva la scena, il profumo dell’olio che ha invaso tutta la chiesa e poi soprattutto il gesto del Papa: con le maniche rimboccate impegnato a cospargere d’olio ogni centimetro quadrato del grande altare di marmo, con la cura di una vecchia massaia che impasta la farina, un gesto, energico e solenne nella sua semplicità antica, d’amore. Un grande amore quello del Papa per la sua Chiesa, per i suoi sacerdoti, di cui già aveva parlato con grande affetto il giorno prima raccomandandoli alle cure dei vescovi sudamericani, quella Chiesa che può essere spesso affaticata, proprio come Gesù nel brano del Vangelo scelto per la celebrazione: il dialogo con la donna di Samaria al pozzo di Giacobbe. Quando arriva la fatica e si è stanchi e assetati allora è il momento di chiedere da bere a qualcun altro. Lo stesso invito che rivolgerà ai giovani durante la veglia: non aver paura di chiedere aiuto, soprattutto quando si cade durante il cammino della vita sapendo che «la vera caduta, quella che può rovinarci la vita, è rimanere a terra e non lasciarsi aiutare».
Quella richiesta di Gesù alla samaritana, «dammi da bere», è la chiave di volta della nostra vita, il passaggio obbligato per dare una svolta decisiva alla nostra «stanca speranza» e per «tornare senza paura al pozzo fondante del primo amore, quando Gesù è passato per la nostra strada, ci ha guardato con misericordia, ci ha chiesto di seguirlo». Il Papa parla ai suoi sacerdoti, ai suoi giovani, ma parla a sé prima ancora, parla di sé: è lui quel “peccatore su cui si è posato lo sguardo di misericordia di Cristo”, è lui che ha scelto come motto episcopale “miserando atque eligendo” riferendosi alla chiamata di san Matteo. Può far paura ma si deve avere il coraggio di riandare a quel primo incrocio di sguardi tra noi e il Signore, si deve «ritornare al luogo del primo amore». Ancora una volta quell’immagine della storia d’amore. C’è qualcosa di poetico in questa immagine, non nel senso “ornamentale” del termine ma nella dimensione primordiale, originaria: cos’altro è la poesia se non l’esperienza di ritrovare le parole “prime”, quelle in cui si avverte ancora il fremito della sorgente della bellezza? Non a caso il Papa conclude la sua omelia parlando di “canto”: «La speranza stanca sarà guarita e riuscirà ad incontrare, nelle periferie e nelle sfide che oggi ci si presentano, lo stesso canto, lo stesso sguardo che suscitò il canto e lo sguardo dei nostri padri. Così eviteremo il rischio di partire da noi stessi e abbandoneremo la stancante autocommiserazione per incontrare gli occhi con cui Cristo oggi continua a cercarci, a chiamarci e a invitarci alla missione».
Non è, per l’appunto, “poetico” il discorso del Papa ma, come sempre, molto concreto. Lo si capisce quando dialoga con i variopinti giovani di tutto il mondo riuniti per la veglia. Qui la storia d’amore di cui parla il Papa ha un nome e un volto preciso: Maria. È Maria la giovane di Nazareth sorpresa da Dio che «la invitò a far parte di questa storia d’amore». Oltre l’amore non c’è altra novità, nella vita degli uomini e del mondo, è solo l’amore che smuove il mondo, che lo rovescia nei suoi schemi ripetitivi e così lo rivitalizza. È quello che succede a Nazareth quel giorno del “sì” di Maria, una ragazza che «non compariva nelle “reti sociali” dell’epoca, non era una influencer, però senza volerlo né cercarlo è diventata la donna che ha avuto la maggiore influenza nella storia. Maria, l’influencer di Dio. Con poche parole ha saputo dire “sì” e confidare nell’amore e nelle promesse di Dio, unica forza capace di fare nuove tutte le cose». Al Papa piace questa immagine, Maria influencer di Dio, e la spiega pure: «Essere un “influencer” nel secolo XXI significa essere custodi delle radici, custodi di tutto ciò che ci permette di sentirci parte gli uni degli altri, di appartenerci reciprocamente». Messa così, con il linguaggio dell’amore, questa immagine inedita di Maria piace anche ai giovani che ridono e rispondono alle sane provocazioni del Santo Padre, anche lui grande influencer, se l’amore poi non è altro che un sano contagio, quel contagio che sembra diffondersi a macchia d’olio nella sterminata radura del Metro Park in cui i ragazzi passeranno la notte in attesa della messa di domenica mattina.
Andrea Monda
(© L'Osservatore Romano, 28-29 gennaio 2019)