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Bernardo Tolomei (1272-1348)  

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BERNARDO TOLOMEI  nacque a Siena  il 10 maggio 1272. Ricevette al battesimo il nome di Giovanni. Fu educato dai Frati Predicatori, nel Collegio di S. Domenico di Camporeggio, in Siena; fu promosso cavaliere (miles) dall’imperatore Rodolfo I d’Asburgo († 1291). Studiò materie giuridiche nella sua città di origine, dove fece anche parte della Confraternita dei Disciplinati di Santa Maria della Notte, attivi nell’ospedale della Scala al servizio dei ricoverati. Una progressiva quasi totale cecità provocò la rinuncia ad una carriera pubblica.

In un’epoca di lotte fra le fazioni cittadine, per realizzare in modo più assoluto il proprio ideale cristiano ed ascetico, nel 1313, ormai quarantenne, insieme a due concittadini impegnati nella mercatura e nel commercio (il Beato Patrizio Patrizi † 1347 e il Beato Ambrogio Piccolomini † 1338), nobili senesi anch’essi appartenenti alla predetta Confraternita, allontanandosi da Siena, si ritirò nella solitudine di Accona, a circa 30 km. a sud-est della città. In quella regione Giovanni (che nel frattempo aveva assunto il nome di Bernardo, per venerazione nei confronti del santo abate cistercense), insieme con i suoi compagni condusse vita eremitica in alcune grotte scavate nel tufo. La vita penitente di questi laici eremiti era caratterizzata dalla preghiera, dalla lectio divina, dal lavoro manuale e dal silenzio. Altri compagni venuti da Siena, da Firenze e dalle regioni circostanti, si unirono presto a loro; il loro modello era la forma di vita degli Apostoli e dei primi monaci della Tebaide.

Verso la fine del 1318 o all’inizio del 1319, mentre un giorno era immerso nella preghiera, egli ebbe la percezione oculare di una scala sulla quale vide salire, aiutato dagli angeli, monaci vestiti di bianco, attesi da Gesù e Maria. Questa reminiscenza biblica costituisce un tema noto nella tradizione monastica, ma il cronista olivetano Antonio da Barga (nel 1450 ca.) assicura che Bernardo chiamò gli altri fratelli ed essi pure videro il segno della volontà divina nei loro riguardi, nella visione della “scala di Giacobbe”. Non erano sacerdoti, tuttavia, in base alla testimonianza di Antonio da Barga, “essi facevano celebrare i divini misteri da presbiteri devoti da loro conosciuti”.

Il cardinale Bertrando di Poyet, legato di Giovanni XXII allora residente in Avignone, venne a controllare l’osservanza del gruppo (tra il 1316 e il 1319). In ottemperanza alla Costituzione 13 del IV Concilio Lateranense (1315) che proibiva la fondazione di nuovi Ordini religiosi fino ad allora non approvati, per consolidare la posizione giuridica del nuovo gruppo, Bernardo, con Patrizio Patrizi, si recò dal vescovo di Arezzo Guido Tarlati di Pietramala, nella cui giurisdizione si trovava in quel tempo Accona. Ne ottenne un decreto di erezione per il futuro monastero di S. Maria di Monte Oliveto, da istituire “sub regula sancti Benedicti” (26 marzo 1319), con alcuni privilegi ed esenzioni; il vescovo accolse, tramite un legato (il presbitero Restauro, affiliato alla Confraternita dei Fustigati presso la chiesa della SS. Trinità in Arezzo), la loro professione monastica. Scegliendo la Regola di S. Benedetto, Bernardo dovette temperare la primitiva scelta eremitica, con l’adozione del cenobitismo benedettino; per il desiderio di onorare la Madonna, i fondatori indossarono un abito bianco: questa devozione mariana rimase in eredità alla spiritualità della Congregazione.

Il 1 aprile 1319 nacque dunque il monastero di Santa Maria di Monte Oliveto Maggiore, con la posa della prima pietra della chiesa, evento registrato da regolare documento steso dal notaio senese Giovanni del fu Ventura: il deserto di Accona era diventato “Monte Oliveto”, a ricordo del Monte degli Ulivi, su cui il Signore amava ritirarsi con i suoi discepoli e dove pregò prima della sua passione, e sito tradizionale dell’Ascensione. Gli eremiti divennero monaci secondo lo spirito della Regola di S. Benedetto, pur con alcuni mutamenti istituzionali, in un’epoca di relativa decadenza dell’Ordine monastico. L’elemento più caratteristico dell’evoluzione istituzionale fu la temporaneità della carica di abate: all’abate che doveva durare per sempre (semel abbas, semper abbas), il Capitolo Generale deliberò che il governo dell’abate dovesse durare solo un anno; inoltre l’eletto doveva essere confermato dal vescovo di Arezzo (documento del vescovo, 28 marzo 1324). Quando fu necessario eleggere un abate, Bernardo riuscì ad allontanare da sé la scelta dei monaci a causa della propria infermità visiva; pertanto fu eletto Patrizio Patrizi il 1° settembre 1319. Per altre due volte una scelta analoga fu ripetuta con l’elezione di Ambrogio Piccolomini, il 1° settembre 1320, e il 1° settembre 1321 con quella di Simone di Tura, da Siena († 1348). Il 1° settembre 1322, Bernardo non poté opporsi al desiderio dei suoi confratelli e divenne abate del monastero di cui era fondatore, funzione di governo che ricoprì fino alla morte. Un atto del 24 dicembre 1326 attesta che il Cardinale Giovanni Caetani Orsini († 1339), legato della Sede Apostolica, dispensò dal difetto visivo l’abate Bernardo, eletto nel 1322 a succedere a Simone di Tura.

Da Avignone, Clemente VI approvò la Congregazione allora formata da 10 monasteri, con due bolle (Vacantibus sub religionis: approvazione formale e canonica del nuovo Istituto; Sollicitudinis pastoralis officium: facoltà di erigere nuovi monasteri in Italia) del 21 gennaio 1344; per quella necessità, Bernardo non si era recato personalmente in Avignone, ma vi aveva inviato i monaci Simone Tendi e Michele Tani. Le direttive pontificie, emanate dalla bolla Summi magistri (20 giugno 1336) dal papa cistercense Benedetto XII, per riformare i monasteri benedettini, furono pienamente recepite dai Capitoli Generali olivetani.

Una prova significativa della eccezionale personalità spirituale di Bernardo consiste nel fatto che i monaci, pur avendo stabilito di non rieleggere l’abate al termine del suo mandato annuale, misero da parte tale disposizione, e per ventisette anni consecutivi fino alla morte, lo vollero nell’ufficio abbaziale, rieleggendolo alla scadenza di ogni anno: anzi, un atto estremo di fiducia nella paternità abbaziale si ebbe nel Capitolo Generale del 4 maggio 1347, quando i monaci gli concessero ampia facoltà di disporre di tutto senza dover previamente consultare il Capitolo e i fratelli, confidando nella sua santità che avrebbe disposto tutto in conformità alla volontà di Dio e per la salvezza di tutti. Ormai il cenobio di S. Maria di Monte Oliveto era diventato il centro di una Congregazione monastica guidata da un solo abate, mentre i singoli monasteri stavano sotto l’autorità di un prior. Bernardo tentò almeno due volte di lasciare l’ufficio abbaziale, nel 1326 e nel 1342, dichiarando al legato pontificio e ad esperti di diritto (Giovanni di Andrea e Arnoldo da Siena, poi Paolo de Hazariis, Andrea de Guarnariis e l’arcivescovo di Pisa, Dino da Radicofani) di non essere sacerdote per aver ricevuto soltanto gli Ordini minori, e adducendo inoltre l’avvenuta dispensa - per svolgere la funzione abbaziale - motivata da una persistente infermità visiva; ma il suo governo fu dichiarato pienamente legittimo anche secondo le norme canoniche di allora. Il suo misticismo ci è raccontato dalla tradizione dei suoi colloqui con il Crocifisso e da apparizioni di santi (per esempio San Michele).

Durante il suo abbaziato molti accorsero nel nuovo monastero da varie città. Il numero crescente dei monaci permise di accogliere le richieste di vescovi e di laici che volevano questi monaci bianchi nelle loro città e contadi, per cui Bernardo poté fondare altri dieci monasteri, strettamente legati all’abbazia principale, dalla quale ripetevano il nome, e retti da un priore. Per assicurare l’avvenire alla sua opera, Bernardo ottenne dal papa Clemente VI, il 21 gennaio 1344, l’approvazione pontificia di una nuova Congregazione benedettina, detta “S. Maria di Monte Oliveto”. In questo modo, Bernardo è l’iniziatore di un movimento monastico benedettino.

Bernardo lasciò ai suoi monaci un esempio di vita santa, di pratica delle virtù in grado eroico e un’esistenza dedita al servizio degli altri e alla contemplazione. Durante la Grande Peste del 1348, Bernardo lasciò la solitudine di Monte Oliveto per recarsi nel monastero di S. Benedetto a Porta Tufi, in Siena. Qui, assistendo i suoi concittadini e i monaci colpiti dall’infezione altamente contagiosa, morì egli stesso vittima della peste, con 82 monaci, in una data che la tradizione fissò al 20 agosto 1348. Questo eroe di penitenza e martire di carità non passò inosservato, come constatò Pio XII in una Lettera inviata all’Abate Generale D. Romualdo M. Zilianti l’11 aprile 1948, in occasione dell’imminente sesto centenario della morte del Beato. Da giovane, Bernardo aveva servito gli infermi in un ospedale di Siena; da anziano, a 76 anni, aiutò gli appestati senza temere un contagio che si rivelò fatale: una tale generosità non si improvvisa. Il venerato abate fu sepolto nelle vicinanze della chiesa del monastero senese. Tutti i cadaveri degli appestati furono deposti in fosse comuni, nella calce viva, fuori della chiesa; gli scavi successivi non hanno consentito di identificare le reliquie di Bernardo.

Di Bernardo rimangono frammenti di 48 lettere e una omelia. Le lettere emanano la fragranza di una sapienza letteraria e spirituale, rivelano il suo temperamento e lo definiscono implicitamente un uomo che della regola di S. Benedetto si era fatto seguace sincero; consentono di percepire la sua umiltà, la sua sensibilità, il suo spirito ecclesiale e comunitario, e di valutare la sua conoscenza della Sacra Scrittura.

Della sua devozione mariana sono segno la dedicazione alla Natività di Maria Vergine della chiesa di Monte Oliveto Maggiore e l’abito bianco.

Le soppressioni degli Ordini religiosi, nella Repubblica veneta nel 1771, poi nel Granducato di Toscana e nel regno di Napoli, e in seguito nella nuova Repubblica cisalpina nel 1808 e nel Regno d’Italia (periodo napoleonico, 1797-1814), e altrove nel secolo XIX, non consentirono di condurre a termine il Processo di canonizzazione. La restaurazione della Congregazione olivetana, dalla seconda metà del secolo XIX, culminò in un nuovo sviluppo e nella ripresa della Causa nel secolo XX.  

Omelia del Santo Padre Benedetto XVI (26 aprile 2009)

  

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