Città del Vaticano, 28 giugno 1998 | Servizio sperimentale |
Novara per i bambini di Chernobyl Dal giugno a luglio, 316 ragazzi bielorussi, accompagnati da 12 interpreti, saranno ospitati da famiglie novaresi che fanno parte dell'associazione «Noi per Loro». «Ci sembra importante spiegano i responsabili di "Noi per loro" non offrire solo vitto e alloggio ma anche tanto affetto. Purtroppo la tragedia di Chernobyl continua. Quello che per noi a volte rischia di essere soltanto un ricordo lontano, per molte persone è una tragica realtà che si manifesta nel quotidiano: nel cibo che mangiano, nell'aria che respirano, sul suolo che calpestano». «Noi per Loro» è stata fondata a Cameri nel 1995 incominciando ad ospitare 38 bambini fino agli attuali 316. Un periodo di permanenza in territori non contaminati è in grado di migliorare le condizioni di salute di questi ragazzi facendo perdere parte della radioattività assorbita e riducendo così contemporaneamente il rischio dell'insorgere di forme tumorali. (giuliano temporelli, da L'OR del 17 giugno) Napoli: la «Settimana per l'anziano» |
la mobilitazione della solidarietà In Campania, attraverso la Caritas, la Chiesa si è fatta vicina alle vittime dell'alluvione e si sta adoperando perché «le famiglie colpite non vengano messe nei campi container, che nascono per pochi giorni e durano anni, ghettizzando intere popolazioni». «Stiamo sollecitando le amministrazioni locali dice fra' Terenzio Soldovieri, direttore della Caritas di NoceraSarno affinché, anche attraverso incentivi economici, spingano chi ha case sfitte a metterle a disposizione». Contemporaneamente mentre si attende l'avvio del «campo di lavoro» per i ragazzi che vogliono offrire parte del loro tempo a questa gente in difficoltà è stato avviato il progetto «famiglie solidali»: si chiede che uno o più nuclei familiari, o intere comunità, prendano in carico per tre mesi una famiglia alluvionata. «Stiamo avendo una certa risposta ma non è ancora abbastanza», spiega fra' Terenzio, il quale però tiene a precisare che gli unici aiuti finora realmente arrivati e distribuiti alla gente sono stati quelli della solidarietà ecclesiale. In Umbria l'emergenza è passata e tutti sono nei container. «Ora dobbiamo ricostruire il tessuto sociale», sottolinea don Lucio Gatti, direttore della Caritas di Perugia e delegato regionale. Grazie a lui a Case Rosse, frazione di Nocera Umbra (il Comune più colpito), è nata un'esperienza unica: un campo per i giovani volontari che in questi mesi hanno lavorato a fianco della popolazione. Finora ne sono passati 3000. Per l'estate se ne prevedono altri 6000. «La particolarità di questa esperienza spiega don Lucio è quella di aver coinvolto questi ragazzi anche in una esperienza formativa. Al campo partecipano ai momenti di preghiera e di catechesi e poi lavorano 8 ore al giorno, rispondendo ai bisogni della gente. L'idea è semplice: se non si vuole ridurre l'intervento ad assistenzialismo occorre testimoniare la carità attraverso un modo di vivere che diventi segno di speranza». Attualmente alcuni ragazzi sono in Irpinia, a Caposele e Teora: stanno smontando 50 case di legno usate dopo il sisma dell'80 che lì non servono più e che sarebbero andate distrutte: «Le daremo a quanti non possono stare nei container per motivi di salute». Ad Otranto la Caritas è impegnata nell'accoglienza soprattutto di albanesi, anche se sulle coste a gruppi di 50100 persone ogni giorno arrivano insieme egiziani, cinesi, curdi. Don Giuseppe Colavero non usa giri di parole per criticare le istituzioni. «Siamo costretti ad accogliere questa gente in un disumano "centro di accoglienza" formato da quattro container senza alcun comfort; e mentre ci poniamo il problema se vengano realmente rispettati i diritti umani in queste condizioni, continuiamo a chiedere che venga realizzato il centro di accoglienza di cui si parla dal '94, previsto dalla legge, finanziato e con un'area già indicata. La Chiesa di Otranto si è rifiutata di offrire strutture proprie, per non fornire un alibi allo Stato». Ma non ci si è tirati indietro; si è solo rigettato un metodo ghettizzante e criminalizzante per adottarne uno nel segno dell'accoglienza vera. «Nel '97 spiega infatti il sacerdote abbiamo attivato 10 centri con criteri ben precisi: non più di 50 persone, raggruppate comunque per nuclei familiari; i bambini sono stati mandati a scuola perché è previsto dalle leggi anche per gli irregolari; le donne sono state coinvolte nella gestione dei centri, perché non passasse l'idea dell'"albergo". Ci siamo posti il problema degli uomini aggiunge perché non si può tenerli per lungo tempo senza far nulla; per questo è bene sapere quanto deve durare l'accoglienza, in modo da organizzare corsi scolastici e di formazione al lavoro per impegnarli. Abbiamo affrontato con chiarezza il problema delle convezioni con le istituzioni, altrimenti finisce che agli alberghi si rimborsano 80.000 lire al giorno mentre alla Caritas se ne danno 30.000 e in ritardo». Sul fronte della disoccupazione «a Cagliari si sta avviando un progettopilota partendo dal presupposto che opportunità di lavoro esistono e vanno cercate laddove ci sono disoccupati», riferisce la direttrice diocesana, Maruccia Cocco. «Attraverso la Comunità montana racconta abbiamo individuato 9 comuni nei quali avviare una ricerca per trovare, a seconda delle vocazioni territoriali, quei settori in cui possono esserci possibilità occupazionali. Pensiamo che si possano creare almeno 50 posti in ogni Comune e tale iniziativa potrebbe diventare davvero un segno cristiano di speranza che si trasforma in aiuto concreto». (Gaetano Vallini, da L'Osservatore Romano del 19 giugno 1998) |
Coloro che desiderano segnalare iniziative di solidarietà possono inviare una email alla redazione. |
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