Città del Vaticano, 24 dicembre 2000 | Servizio sperimentale |
"A quanti hanno responsabilità politiche a tutti i livelli, vorrei chiedere, in questa solenne circostanza, di operare affinchè siano assicurate condizioni di vita e opportunità tali per cui la vostra dignità, cari Fratelli e Sorelle disabili, sia effettivamente riconosciuta e tutelata". (Giovanni Paolo II, 3 dicembre 2000)
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Prossimità, condivisione, accoglienza, integrazione. Riconoscimento, rispetto, liberazione. Fraternità, gratuità. In una parola, amore. La celebrazione giubilare di domenica 3 dicembre 2000 con i disabili è stata la celebrazione delle grandi parole di vita. Quelle che la comunità ecclesiale e civile è chiamata a tradurre ogni giorno in scelte concrete, visibili, coinvolgenti. È stata la celebrazione delle parole nuove. Delle parole che non sono di moda. Delle parole quasi sconosciute ad un mondo che parla unicamente di efficienza, di soddisfazione, di appagamento. È stata la celebrazione della grande parola: amore. Perchè - come ha ricordato Giovanni Paolo II - "la disabilità non è l'ultima parola dell'esistenza. È l'amore la parola ultima", quella che "dà senso alla vita". In essa ogni limite umano è riscattato. In essa i segni della sofferenza e della menomazione sono come trasfigurati. Non contano più la bellezza, la prestanza, l'intelligenza. Conta l'essere una persona - "unica e irripetibile nella sua eguale e inviolabile dignità" - nella quale risplende comunque una scintilla del volto di Dio. F.V. |
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