Fede e impegno politico

Un dovere morale
non può essere una cosa sporca


di Michele Pennisi
Vescovo di Piazza Armerina
Presidente della Commissione storica
per la causa di canonizzazione di don Luigi Sturzo

Don Luigi Sturzo, nato all'indomani del Vaticano I e morto prima che fosse annunciato il Vaticano II, è un personaggio scomodo. All'inizio del processo di beatificazione qualcuno si chiese perfino come si potesse ardire di proporre, per gli onori degli altari, un prete che si è occupato di politica, ritenuta se non proprio "cosa sporca" certamente ambigua e ingombrante.
Il paradosso di don Luigi Sturzo è proprio quello di essere un sacerdote testimone della carità pastorale nella politica. Per lui il messaggio cristiano comporta la salvezza non solo di tutti gli uomini, nei quali egli vedrà operante l'azione invisibile della grazia, ma anche di tutto l'uomo:  anima e corpo. Il cristianesimo non può ridursi a una vaga elevazione alle cose dello spirito che serva a dare afflato mistico alla vita morale dell'individuo, né all'incerta scommessa su una vita ultraterrena che lasci immutata la vita temporale; ma è un messaggio di salvezza che influisce nella vita morale sia pubblica che privata e che riguarda l'uomo sia nella sua vita presente che in quella futura.
Il riferimento costante alla croce di Cristo e alla dimensione escatologica del cristianesimo, servì a liberare Sturzo dalla volontà di affermazione e di successo a ogni costo e impedì che la sua "utopia politica" venisse presentata come la "panacea" di tutti i mali.
Luigi Sturzo avvertì come sua missione quella di introdurre la carità nella vita pubblica nella convinzione che la carità cristiana non può ridursi solo alla beneficenza o all'assistenza, ma deve essere l'anima della riforma della moderna società democratica ove le persone sono chiamate a partecipare responsabilmente alla vita sociale per realizzare il bene comune.
La carità cristiana, per Sturzo non può essere dissociata dalla ricerca della giustizia la quale è determinata dall'amore verso il prossimo, che a sua volta è generato dall'amore verso Dio. Da queste premesse egli concepirà la politica come dovere morale e atto d'amore. L'amore, considerato come il cemento che dà coesione e armonia alla vita sociale, non sopprime per Sturzo la dialettica politica, ma la corregge, la eleva e la perfeziona.
Egli concepisce la sua attività sociale e politica come esigenza e manifestazione dell'amore cristiano strettamente collegato con la giustizia:  non valore astratto, ma principio ispiratore dell'azione concreta.
L'amore di Sturzo per i poveri non è un epidermico sentimento di filantropia, né è dettato da un superficiale sentimentalismo, ma è un fatto consapevolmente cristiano fondato sulla "fratellanza comune per la divina paternità".
L'amore cristiano per Sturzo non è però dissociato dalla ricerca della giustizia. Il popolo ha diritto alla rivendicazione della giustizia attraverso l'organizzazione politica e la difesa giuridica dei suoi legittimi interessi violati.
La funzione sociale del cristianesimo consiste, per il prete calatino, nel richiamare, sia i capitalisti che i lavoratori, al principio della giustizia e ai loro doveri morali per superare la logica, basata sulla sopraffazione del più forte, presente nella società moderna:  "Invocar la religione è invocare la giustizia; e la giustizia è bilaterale. Il dovere delle classi borghesi e capitaliste è quello di venir in aiuto alle classi lavoratrici e di cessare lo sfruttamento individuale e sociale; il dovere delle classi lavoratrici è quello di osservare i giusti patti, di rispettare l'ordine sociale, di non violare l'altrui proprietà".
Per Sturzo è impossibile rompere la spirale dell'odio e dell'egoismo e praticare una vera giustizia sia nei rapporti individuali che in quelli sociali, senza un profondo sentimento religioso che spinga all'amore del prossimo.
"Predicare la giustizia e non destare vivo il sentimento della religione in tutte le classi è inutile, è tempo perso, è un'irrisione.
"E non basta la giustizia; carità ci vuole, amore vicendevole, amore e non odio. La religione predica l'amore fra gli uomini, ma l'amore fra gli uomini è legge bilaterale, è l'unione dei fratelli, è il celebre non fare agli altri, quello che non vorresti che fosse fatto a te stesso".
Egli quindi non solo non dissocia la carità dalla giustizia, ma collega queste due virtù. Per Sturzo la giustizia è precisata e determinata dall'amore verso il prossimo, che, a sua volta, è generato dall'amore verso Dio. Egli collega l'ordine naturale con quello soprannaturale e vede nella giustizia e nell'amore non degli ideali astratti ma dei valori che i cristiani, con l'aiuto e l'esempio di Cristo, hanno il compito di realizzare nella storia.
Sturzo assegna alla Chiesa una missione universale di ordine soprannaturale che include anche la missione civile di farsi portatrice di un messaggio di riconciliazione nella giustizia e nell'amore, nell'intento di liberare dall'idolo dell'egoismo e dal mito della violenza sia gli oppressi come gli oppressori e a ristabilire i valori fondamentali della giustizia e dell'amore. In occasione degli scioperi del 1901 scrive a proposito dell'invito alla carità e alla giustizia rivolto dalla Chiesa alle parti in lotta:  "Questa parola è ripetuta oggi con insistenza dalla Chiesa a tutti; essa no, non fa da carabiniere o da custode ai ricchi, perché potenti; né promuove le sommosse delle classi lavoratrici, perché oppresse; essa predica la giustizia e l'amore, perché queste due virtù sono il fondamento dell'ordine soprannaturale e naturale".
Il compito di "informare" cristianamente la vita sociale e politica, per Sturzo, appartiene soprattutto ai laici cristiani che, attraverso il proprio impegno vissuto attuano gli insegnamenti sociali della Chiesa, elaborando una sintesi creativa fra fede e storia, che trova il suo fulcro nell'amore naturale vivificato dalla grazia divina.
In un articolo del 1925, in polemica con quanti sostenevano un "dualismo fra etica e politica, tra Vangelo e società umana" e limitavano la "legge dell'amore" alla vita privata, scrive:  "La politica è per sé un bene:  il far politica è, in genere, un atto di amore per la collettività; tante volte può essere anche un dovere per il cittadino.
"Il fare una buona o cattiva politica, dal punto di vista soggettivo di colui che la fa, dipende dalla rettitudine dell'intenzione, dalla bontà dei fini da raggiungere e dai mezzi onesti che si impiegano all'uopo.
"Il successo e il vantaggio reale possono anche mancare, ma la sostanza etica della bontà di una tale politica rimane.
"Così ragionano i cristiani di ogni tempo e di ogni paese. E con questo spirito, l'amore del prossimo in politica deve stare di casa, e non deve essere escluso come un estraneo:  né mandato via facendolo saltare dalla finestra, come un intruso.
"E l'amore del prossimo non consiste nelle parole, né nelle moine:  ma nelle opere e nella verità".
Sturzo che aveva invitato a iniziare "la crociata dell'amore nella politica", rispondendo poi all'obiezione che l'introduzione dell'amore cristiano avrebbe dovuto sopprimere la dialettica della vita politica, scriveva:  "Qualcuno sorriderà a queste parole, pensando che anch'io sono un uomo politico; e crederà che l'amore cristiano dovrebbe far cadere i partiti politici. Ma i partiti politici rimangono, quando sono prodotti di idee, di tendenze, di correnti e di interessi. Forse l'amore fraterno sopprime le giuste accuse avanti ai tribunali, ovvero le controversie scientifiche, o le discussioni perfino nei concili dei vescovi?
"Il cristianesimo non sopprime la vita; la corregge, la eleva, la perfeziona. Si può essere di partito diverso, di diverso sentire, anche sostenere le proprie tesi sul terreno politico o economico, e pure "amarsi cristianamente". Perché l'amore è anzitutto "giustizia" ed "equità", è anche "eguaglianza", è anche "libertà", è "rispetto" degli altrui diritti, è esercizio del proprio "dovere", è "tolleranza", è "sacrificio"".
Così Sturzo scrive in un articolo del 1942 che s'intitola:  "È la politica cosa sporca?"
"La politica non è una cosa sporca. Pio XI, parlando dieci anni fa a dei giovani belgi, la definì "un atto di carità del prossimo". Infatti lavorare al bene di un Paese, o di una provincia, o di una città, o di un partito, o di una classe (secondo il rango politico che uno assume) è fare del bene al prossimo riunito in uno Stato, o città, o provincia, o classe, o partito. Tutto sta nel modo di lavorare, nello scopo e nei mezzi. In ogni nostra attività noi incontriamo il prossimo:  chi mai può vivere isolato? E i nostri rapporti con il prossimo sono di giustizia e di carità. La politica è carità".
Luigi Sturzo concepì la sua attività sociale e politica come esigenza e manifestazione dell'amore cristiano strettamente collegato con la giustizia, considerato non come un valore astratto, ma come il principio ispiratore dell'azione concreta.
A proposito della militanza dei cattolici nella vita politica don Sturzo non elabora teorie astratte e valide per tutti i tempi e in tutti i luoghi, ma storicizza il problema dell'appartenenza dei cristiani nei vari partiti in riferimento alle varie e mutevoli situazioni concrete. Egli constata che nei regimi costituzionali si sono percorse tre vie:  o quella di costituire un partito di ispirazione cristiana separato dall'Azione Cattolica e indipendente dall'episcopato, come in Belgio, in Olanda e in Italia; o quello di entrare nei partiti legali continuando ad avere gruppi di animazione cristiana all'interno dei vari partiti, come per esempio in Francia; o quello di aderire indifferentemente ai vari schieramenti politici caratterizzati non su basi ideologiche ma su impostazioni pragmatiche, come negli Stati Uniti e in Inghilterra.
Sturzo, con molto realismo, vede anche i rischi che i cattolici possono correre nelle varie circostanze storiche.
A proposito di quelli che si inseriscono in partiti cosiddetti "laici" egli scrive:  "La mia esperienza mi ha sempre provato che i cattolici che entrano in partiti strettamente politici, non solo perdono il senso dell'apostolato sociale che si trova nei partiti di ispirazione cristiana, ma si attaccano troppo agli aspetti materiali e utilitari della politica (...) questi cattolici diventano spesso una minoranza isolata e senza influenza in mezzo a una maggioranza troppo materialista e realista".
Don Luigi Sturzo vede però anche i rischi che possono correre i cattolici militanti nei partiti di ispirazione cristiana:  "I partiti di ispirazione cristiana, come gli altri, anche se sono costituiti con un nobile programma e con la volontà di servire il loro Paese, corrono il rischio di diventare una camarilla e di ispirarsi a poco a poco a uno spirito partigiano né più né meno di qualunque altro gruppo umano". Egli aggiunge:  "Bisogna uscirne appena ci si accorge di esserne prigionieri, bisogna che i cattolici mettano gli interessi della nazione al di sopra di quelli del partito".
Il contesto attuale - anche in Italia - è molto diverso da quello descritto da Sturzo. In molti tende a prevalere sull'impegno politico come luogo di "apostolato sociale" una impostazione pragmatica e utilitaristica che spesso rischia di censurare i valori fondamentali derivanti dalla presenza dell'esperienza cristiana in campo culturale, sociale e civile o in uno sterile moralismo, che considerando la politica "cosa sporca" si rifugia in una malintesa "scelta religiosa" o al massimo in un impegno sociale di corto respiro in quanto staccato da un progetto politico e culturale di alto profilo. Il rischio è che i cattolici si disperdano in una frammentazione che travolge assieme all'unità partitica, anche quella culturale ed ecclesiale, col risultato di farli sparire come soggetto sociale.
A proposito dell'unità politica dei cattolici sembra interessante l'insegnamento, derivato dalla lunga esperienza di don Luigi Sturzo. Egli pur riconoscendo come, in casi eccezionali - nei quali siano in gioco fondamentali valori religiosi e civili - sia necessaria l'unità organizzativa dei cattolici, non pensa che questa debba essere la soluzione normale, anche perché c'è il rischio che l'intenzione di realizzare una unità politica dei cattolici possa mettere a repentaglio l'unità religiosa  e  la collaborazione pastorale nell'azione propria della Chiesa, molto più importante della prima.
Del rapporto fra morale e politica Sturzo tratta in tutti i suoi scritti a partire dai primi articoli che il giovane sacerdote pubblicava sul giornaletto da lui fondato a Caltagirone "La croce di Costantino". Una trattazione più specifica di questo tema la affronta in sue due opere teoretiche:  Politica e Morale del 1938 e Coscienza e Politica del 1953.
Sia la moralità come la politica per Sturzo rientrano nella sfera della coscienza intesa come atto che unisce la conoscenza razionale con l'azione libera.
Don Luigi afferma l'assolutezza dei valori morali, ma insiste anche sulla impoliticità della immoralità politica. Per lui l'economia e la politica, senza morale, sono sempre antieconomiche e impolitiche. Sia la politica che l'economia sono intrinsecamente sociali, perciò razionali e morali. Il fine della politica consiste nel bene comune che per essere a vantaggio di tutti non può prescindere dal bene morale. Per Sturzo quindi non esiste il dilemma fra l'utile e il bene perché quando l'utile è veramente l'utile di tutti esso coincide con il bene comune.
Per il sacerdote calatino la moralità presuppone la maturazione di una coscienza che deve essere educata, illuminata, formata dalla riflessione razionale in un clima di libertà per discernere con convinzione e con sicurezza il bene dal male.
Nella necessaria socialità dell'etica umana e nella necessaria eticità della civiltà si inserisce il ruolo della religione in generale e del cristianesimo in particolare.
I principali punti cardini dell'antropologia sociale sturziana sono il primato della persona sulla società, della società sullo Stato e della morale sulla politica; la centralità della famiglia; la difesa della proprietà con la sua funzione sociale come esigenza di libertà; l'importanza del lavoro come diritto e dovere di ogni uomo; la costruzione di una pace giusta attraverso la creazione di una vera comunità internazionale.
Questi valori si basano sul presupposto che il cristianesimo è un messaggio di salvezza che si incarna nella storia, si rivolge a tutto l'uomo, influisce positivamente sulla vita morale sia privata che pubblica.
Nella concezione cristiana vanno coniugati insieme autorità e libertà, giustizia e carità, anzi la carità diviene il cardine della vita morale e quindi anche della vita politica.
Una impostazione corretta dell'impegno politico esige non la conflittualità, ma l'armonia fra politica e morale, che garantisce una società ordinata e una democrazia autentica.
Don Luigi Sturzo non si fermò a denunce generiche e astratte, ma intervenne spesso e puntualmente in alcuni nodi cruciali della storia italiana con analisi spietate, non prive di attualità. Egli denunciò in modo particolare quelle che chiamò le tre male bestie della democrazia:  lo statalismo, la partitocrazia, l'abuso del denaro pubblico.
In un articolo del 1958 parla di "mani pulite" e scrive:  "Pulizia! Pulizia morale, politica e amministrativa - solo così potranno i partiti presentarsi agli elettori in modo degno per ottenere i voti; non mai facendo valere i favori fatti a categorie e a gruppi; non mai con promesse personali di posti e promozioni; ma solo in nome degli interessi della comunità nazionale, del popolo italiano, della Patria infine - perché la moralizzazione della vita pubblica è il miglior servizio che si possa fare alla Patria nostra" (gennaio 1958).
Don Luigi Sturzo in appendice all'opera Coscienza e politica afferma che la politica è un'arte che riescono a esercitare solo poco artisti, mentre altri si accontentano di esserne artigiani e molti si riducono a essere mestieranti della politica.
Egli da politico vero, anche se scomodo, non manca di dare anche dei suggerimenti di natura pratica a chi vuole apprenderne l'arte ed evitarne il mestiere. Il perseguimento del bene pubblico non può essere separato dalle virtù individuali.
Tra le virtù dei politici egli cita la franchezza; la sincerità; la fermezza nel sapere dire anche "no"; l'umiltà da cui scaturisce il senso del limite; il non attaccamento al denaro e alla fama; la competenza; la progettualità politica; la capacità di programmazione nel discernere i tempi politici - quelli parlamentari, quelli burocratici e quelli tecnici.
La moralizzazione della vita pubblica è legata per Sturzo soprattutto a una concezione religiosa della vita dalla quale deriva il senso della responsabilità morale e della solidarietà sociale.
L'amore considerato come il cemento che dà coesione e armonia alla vita sociale - non sopprime la dialettica politica, ma la corregge, la eleva e la perfeziona - sarà il motivo ispiratore dell'attività e del pensiero di Luigi Sturzo, che cercò di realizzare una "ortoprassi" cristiana della politica, basata su un corretto rapporto fra etica e vita teologale.



(©L'Osservatore Romano 21 gennaio 2009)
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