Le catechesi del Papa da Clemente Romano a Gregorio Magno

Tutti i colori di un tessuto senza rotture


Pubblichiamo la prefazione, scritta dal nostro direttore, al volume Catechesi sui Padri della Chiesa. Da Clemente Romano a Gregorio Magno (Roma, Città Nuova, 2008, pagine 232, euro 14) che raccoglie i testi pronunciati da Benedetto XVI nel corso delle tradizionali udienze del mercoledì.


Per Benedetto XVI la tradizione cristiana è una realtà viva e soprattutto aperta al futuro. Realtà fondamentale per coloro che credono in Gesù come rivelazione definitiva di Dio e che è importante anche per chi è lontano dal cristianesimo, perché forse lo ha dimenticato o addirittura non lo conosce.
Per questo motivo, una caratteristica di Joseph Ratzinger teologo e pastore, come ora una chiave di accesso del suo pontificato, è lo studio di questa tradizione.
Con un duplice intento:  mostrarne l'ininterrotta continuità e renderne comprensibile il senso - e dunque i contenuti della fede cristiana - nel nostro tempo. Grazie anche all'uso di un linguaggio semplice e chiaro, che mira sempre all'essenziale.
Non fu perciò una sorpresa la scelta del Papa di presentare il filo continuo della tradizione cristiana attraverso i suoi maggiori rappresentanti durante le udienze generali del mercoledì, una volta conclusi i temi che erano stati preparati per il suo predecessore e che Benedetto XVI, con fine delicatezza, aveva deciso di mantenere nel primo periodo del suo pontificato.
Esaurito questo ciclo, il vescovo di Roma ha dato corpo al nuovo progetto:  dapprima parlando degli apostoli e della loro cerchia immediata, quindi dei Padri della Chiesa, e poi delle principali figure del cristianesimo medievale e bizantino; con alcuni intervalli, dedicati al succedersi dei tempi liturgici, ai viaggi internazionali e a san Paolo, nell'anno a lui dedicato.
Il successo degli scritti di Ratzinger - sin da quello della sua Introduzione del cristianesimo, vero best seller teologico - e ora dei testi di Benedetto XVI ha indotto diversi editori a raccogliere non soltanto, come è consuetudine, alcuni dei documenti principali del pontificato, ma appunto anche questi discorsi del mercoledì, divenuto nella seconda metà del Novecento l'appuntamento più abituale del vescovo di Roma (insieme a quello della domenica per la preghiera mariana) con i fedeli di ogni parte del mondo.
Per i Padri della Chiesa è naturale che tra questi editori vi sia Città Nuova, che in Italia da decenni ha, per quanto riguarda l'ambito patristico, una posizione di speciale rilievo grazie alla pubblicazione e alla meritoria divulgazione di moltissimi testi degli antichi autori cristiani (in particolare, con l'edizione bilingue dei maggiori Padri:  Agostino, Ambrogio, Gregorio Magno, Origene, ma anche Pier Damiani, Bernardo di Chiaravalle, Bonaventura).
Non è stato facile per l'editore decidere dove concludere questa raccolta di testi, con una scelta, quella di arrivare a Gregorio Magno, che naturalmente è solo convenzionale.
Dove termina infatti l'età dei Padri? Se nel Seicento teologi ed eruditi, sia cattolici come Roberto Bellarmino sia luterani come Johann Gerhard, concordavano - il primo nel diffusissimo De scriptoribus ecclesiasticis (1613), il secondo nella fortunata Patrologia (1653) - nell'estensione delle loro trattazioni sino alla loro epoca, due secoli più tardi il genio appassionato di Jacques-Paul Migne, prete cattolico e impresario, realizzò nelle serie latina (1844-1855) e greca (1857-1866) del suo celeberrimo Patrologiae cursus completus quanto nessuno era mai riuscito a fare sino ad allora:  la raccolta di tutti i testi cristiani (in quanto tale non più sostituita), sino agli inizi del XIII secolo per quelli latini e alla metà del XV secolo per i greci. Con uno scopo chiarissimo, come lo stesso Migne sottolineò nel 1864:  "Al mondo avido di Progresso noi diamo la Tradizione del passato per camminare in avanti".
La progressiva specializzazione degli studi, che ha anche aspetti negativi a causa del restringersi dello sguardo storico, e il loro indubbio affinamento hanno in seguito ristretto i termini cronologici dell'età patristica, che si fa ora arrivare a metà dell'VIII secolo sia per quella greca che per la latina (ma non di rado anche prima, come in diffusi manuali che si arrestano al v secolo).
Ma di fatto è soprattutto indebolita la concezione unitaria e la stessa continuità della tradizione cristiana, ovviamente irrinunciabile e che Papa Ratzinger richiama in modo costante. La scelta di arrestare questa raccolta a Gregorio Magno è dunque solo convenzionale e pratica, anche se è suggestivo notare come il primo e l'ultimo dei Padri che vi sono compresi (Clemente Romano e, appunto, Gregorio) siano stati predecessori di Benedetto XVI.
I Padri della Chiesa compresi in questo libro sono 33, così suddivisi per quanto riguarda la lingua e la cultura:  16 greci, 15 latini e due siriaci.
I testi raccolti sono però 42; mentre infatti due autori (cioè Boezio e Cassiodoro) sono stati presentati in un unico discorso, a cinque Padri - i tre cappadoci (Basilio, Gregorio di Nazianzo, Gregorio di Nissa), Giovanni Crisostomo e Girolamo - sono stati dedicati due testi ciascuno, e sono addirittura cinque quelli che il Papa ha voluto riservare ad Agostino, la figura senza dubbio più famosa dell'antichità cristiana e suo autore prediletto sin dai tempi della sua tesi di dottorato (Popolo e casa di Dio in sant'Agostino), pubblicata nel 1954.
La ricchezza delle riflessioni racchiuse in questi testi è considerevole, e non finisce di stupire l'equilibrio sapiente tra informazione e capacità divulgativa.
Anche se questo equilibrio è facilmente spiegabile con la consuetudine che Benedetto XVI dimostra di avere con la tradizione cristiana e con l'abitudine ormai pluridecennale a spiegarla come teologo e pastore - binomio per Ratzinger indissolubile e che non di rado viene maliziosamente dimenticato da chi vuole presentarlo piuttosto come "il Papa teologo", nel senso di astratto e lontano dalla gente.
Proprio l'esigenza di farsi capire da tutti, già avvertita acutamente da un intellettuale e da un retore raffinato come Agostino, è all'origine di un fenomeno non infrequente nelle udienze del mercoledì, quando Benedetto XVI abbandona il testo scritto per improvvisare, semplificando e attualizzando l'insegnamento delle figure scelte per mostrare la continuità della tradizione cristiana, "ben diversa dal tradizionalismo" e limpidamente spiegata nella presentazione di Ireno. Come potrà riscontrare chi leggerà con attenzione queste pagine:  per esempio, l'introduzione a Efrem, che il Papa usò per richiamare la pluriformità culturale dell'unica fede della Chiesa.
Ma davvero molti sono i fili, cari a Benedetto XVI, che s'intrecciano in questa bellissima raccolta, che culmina nella trattazione pentapartita di sant'Agostino e include figure come Leone Magno (il predecessore a cui Papa Ratzinger è stato accostato) e Benedetto, del quale il Papa ha assunto il nome:  il tema della ragione aperta alla fede, quello del contenuto nascosto della storia, la vicinanza di Dio, solo per evocarne alcuni.
Fili di diversi colori che s'annodano a formare un tessuto senza rotture. Che vale la pena conoscere più da vicino.



(©L'Osservatore Romano 16-17 marzo 2009)
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