La biblioteca del Führer

Da Shylock al «Mein Kampf»


di Gaetano Vallini

Walter Benjamin era convinto che si possa dire molto di un uomo in base ai libri che possiede. Partendo da tale premessa Timothy Ryback si è messo alla ricerca dei libri appartenuti al Führer. Il risultato è l'interessante La biblioteca di Hitler (Milano, Mondadori, 2008, pagine 264, euro 19), un volume dal quale emerge un inedito ritratto del dittatore che in qualche modo dà ragione a Benjamin, anche se ovviamente bisogna guardarsi da facili sillogismi. Perché non mancano sorprese.
Il Führer considerava Don Chisciotte, Robinson Crusoe, La capanna dello zio Tom e I viaggi di Gulliver tra i capolavori della letteratura mondiale. Possedeva le opere di Shakespeare - era solito citare frasi tratte da Amleto o Giulio Cesare - e giudicava lo scrittore inglese superiore a Goethe e a Schiller sotto ogni aspetto. E con un certo rammarico, tanto da chiedersi perché mai l'illuminismo tedesco avesse prodotto Nathan il saggio, la storia di un rabbino che riconcilia cristiani, musulmani ed ebrei, mentre Shakespeare aveva offerto al mondo Il mercante di Venezia e il perfido Shylock.
Hitler era un lettore onnivoro. Nei libri vedeva, come scrive Ryback, la "sorgente di conoscenza e di ispirazione. Da quella fonte bevve a grandi sorsi, placando la sua insicurezza intellettuale e nutrendo le sue fanatiche ambizioni". Leggeva velocemente; si vantava di divorare un libro a notte. Ma era anche un lettore disordinato. Ammucchiati sugli scaffali delle sue abitazioni i romanzi popolari su indiani e cowboy di Karl May convivevano con i saggi filosofici di Fichte e Schopenhauer; le profezie di Nostradamus con le biografie di sovrani tedeschi e prussiani; i gialli di Edgar Wallace con trattati di occultismo, astrologia e magia; libelli inneggianti all'odio antiebraico con manuali di architettura e pittura; trattati di religione con testi di alimentazione vegetariana; prontuari vari, compreso un libretto intitolato L'arte di diventare oratore in poche ore, con i resoconti delle esplorazioni di Sven Hedin, del quale tuttavia apprezzava in particolare L'America nella battaglia dei continenti, del 1942, nel quale si esaltano gli sforzi di Hitler per preservare la pace prima del 1939 (sic!).
Tra i suoi libri preferiti figurava la traduzione tedesca del pamphlet antisemita dell'industriale statunitense Henry Ford L'ebreo internazionale, che riprendeva un sentimento d'odio nutritosi con un falso storico, I protocolli dei savi anziani di Sion. Ma c'era anche una ristampa del 1934 di Deutsche Schriften "Scritti tedeschi" di Paul de Lagarde, una serie di saggi in cui si invoca il sistematico sradicamento della popolazione ebraica dalla Germania. Sicuramente Hitler lesse un manuale del 1931 sui gas tossici, con un capitolo in cui vengono minuziosamente descritti gli effetti dell'acido prussico, il mortale gas denominato Zyklon B, che sarebbe diventato tragicamente noto per essere stato usato nei campi di sterminio. Eppure sul comodino teneva una copia delle vignette di Max e Moritz, un duo creato da Wilhem Busch.
Secondo alcune testimonianze credibili, pare che la biblioteca, suddivisa nelle varie residenze di Monaco, Berlino e sull'Obersalzberg, contasse circa sedicimila volumi. Un dato interessante per uno noto più per aver bruciato libri che per averli collezionati. E si scopre, così, che nella protetta sicurezza della biblioteca di Hitler, sopravvisse ai roghi del 1933 la sua copia personale di Berlin, scritta dall'ebreo Max Osborn, che figurava nella lista dei libri proibiti ma che l'allora ignoto caporale austriaco aveva utilizzato nelle sue visite a Berlino durante la convalescenza in seguito alla ferita riportata al fronte nell'autunno del 1916.
Al crollo del Terzo Reich, di quei sedicimila volumi ne sopravvissero 1.200:  attualmente sono allineati nell'oscurità climatizzata della Rare books division della Library of Congress, a Washington. Erano stati scoperti - con altri 1.800 volumi andati purtroppo perduti - nella miniera di sale a Berchtesgaden. Altri ottanta volumi sono conservati "nelle stesse condizioni di benevola trascuratezza", scrive Ryback, alla Brown university di Providence, nel Rhode Island:  furono prelevati tra le macerie incenerite del bunker di Berlino nella primavera del 1945 da Albert Aronson, uno dei primi americani a entrarvi.
I sovietici si portarono via l'intera biblioteca della Cancelleria del Reich; non se n'è saputo più nulla. Volumi sparsi  l'autore  li  ha  rinvenuti  in  archivi privati e pubblici negli Stati Uniti e in Europa. Altre migliaia di libri probabilmente se ne stanno nelle soffitte o sugli scaffali di qualche veterano. Ogni tanto un volume torna alla luce. "Parecchi anni fa - annota lo studioso - una copia di Gottes Reich und Weltlage "Il regno di Dio e il mondo contemporaneo" di Peter Maag venne scoperta nel contenitore dei libri da 50 centesimi alla svendita di una libreria nel nord dello Stato di New York".
Ryback, cofondatore e condirettore dell'Institute for historical justice and reconciliation dell'Aja, non si limita a una mera elencazione dei libri collezionati da Hitler - che li corredava con personali ex libris - ma li sfoglia alla ricerca di annotazioni, sottolineature, glosse, tutti indizi che consentono di arricchire il ritratto interiore dell'uomo divenuto l'incarnazione del male assoluto. "È in questi interventi - sottolinea l'autore - che ho scoperto un uomo, noto per non ascoltare mai nessuno e per il quale la conversazione non era che un'implacabile filippica, un monologo ininterrotto, che si prendeva il tempo di confrontarsi con il testo, di sottolineare parole e affermazioni, di evidenziare interi paragrafi, di porre un esclamativo accanto a un determinato passaggio, un punto di domanda a fianco a un altro e, abbastanza di frequente, in occasione di particolari frasi, un'enfatica serie di righe parallele sul margine. Come impronte sulla sabbia, queste sottolineature ci consentono di individuare il percorso che ha attirato e fermato la sua attenzione, ma non necessariamente di capirne il motivo".
Da questi indizi sicuramente emerge il tratto caratteristico dell'autodidatta che è alla ricerca di conferme di teorie e di idee che non hanno possibilità di essere confutate. Così, privo di riferimenti, di persone competenti e capaci, di maestri di pensiero con cui confrontarsi viso a viso, Hitler dà libero sfogo alle sue fantasie insane e farneticanti nell'interpretazione dei testi che legge. Interpretazioni che finiscono nei suoi scritti - primo fra tutti il Mein Kampf - e nei suoi deliranti discorsi.
"Quando una persona dà, deve anche prendere. E io dai libri prendo ciò che mi serve", disse una volta. Ecco, allora, la difficoltà nel cogliere la reale essenza del pensiero di Fichte, il filosofo che ritiene a lui più vicino, più di Schopenhauer e di Nietzsche, dal quale estrapola, per ampliarli a dismisura, il concetto dell'eccezionalità del popolo tedesco e lo spiccato antisemitismo, dando così basi filosofiche a quella "miscela tossica di singolarità teutonica e di feroce nazionalismo" che avrebbe incendiato l'Europa. Allo stesso modo da Thomas Carlyle riesce a cogliere solo l'esaltazione della brama di dominio di Federico ii di Prussia, ignorando i dubbi che lo stesso storico inglese insinua nella teoria del grande leader, che diventerà a lui tanto cara.
Ma l'eclettismo culturale, se così si può dire, di Hitler, va oltre le personali interpretazioni filosofiche, antropologiche e storiche. La sua mediazione non sempre è consequenziale e lineare. Così, sebbene conosca i trattati sulla guerra di von Clausewitz, stanco degli "eterni dubbi" dei generali sulle sue "grandi idee" e della mancanza di immaginazione, incredibilmente chiede loro di leggere i libri di May affinché facciano proprie le tattiche usate dal guerriero indiano Winnetou, l'impavido protagonista di quei romanzi sul West. A tal fine fa persino pubblicare una speciale edizione da campo dei testi in questione da distribuire ai soldati al fronte.
Non conosciamo, e probabilmente non sapremo mai, quali fossero i libri che il Fürher stava leggendo o aveva accanto a sé il giorno in cui si tolse la vita. Di sicuro nel bunker c'erano volumi acquisiti recentemente, come Zur Vorgheschichte des Roosevelt-Krieges "Gli antefatti della guerra di Roosevelt" di Hans Dietrich Dieckhoff, pubblicato nel 1943. Ma, sottolinea Ryback, c'erano anche volumi acquistati in gioventù, come un trattato del 1913 sul Parsifal di Wagner e un'edizione economica del 1921 di Weissagungen des Nostradamus "Le profezie di Nostradamus" di Carl Loog. Tuttavia il rapporto, classificato, stilato dall'intelligence americana che entrò nel bunker, identifica solo tre volumi con il rispettivo titolo:  Il principe di Niccolò Machiavelli, le Critiche di Immanuel Kant e La genesi della guerra mondiale dello storico revisionista americano Harry Elmer Barnes. Una trilogia a suo modo sinteticamente rivelatrice.
Su Hitler è stato scritto molto, ma questo singolare viaggio fra i libri della sua biblioteca privata è un ulteriore e originale contributo alla comprensione dell'uomo, perché - attraverso le suggestioni letterarie, filosofiche e storiche da cui trasse ispirazione - svela qualcosa in più di quelle radici da cui si originò una delle ideologie più aberranti della storia.



(©L'Osservatore Romano 20 maggio 2009)
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