Eugenio Pacelli agli occhi di un bambino che diventerà cardinale

Pio XII spiegato da mio nonno


di Camillo Ruini
Vicario generale emerito di Roma

Gli eventi della giovinezza hanno una qualità particolare e rimangono particolarmente vivi in noi. Così è accaduto anche per i miei ricordi del primo Pontefice di cui ho personalmente memoria, Pio XII. La sua elezione, avvenuta quando avevo solo otto anni, è legata per me alla figura del mio nonno materno:  vivevamo insieme e io ero, per così dire, il suo interlocutore preferito, il bambino al quale egli cercava di trasmettere la sua esperienza di vita. L'elezione del nuovo Pontefice doveva stargli molto a cuore, perché me ne ha parlato più volte, all'inizio pronosticando che il nuovo Papa sarebbe stato o il cardinale Eugenio Pacelli oppure il cardinale arcivescovo di Firenze, Elia Dalla Costa. Il nonno mi spiegava quelle che a suo parere erano le differenze tra i due, sottolineando però che erano comunque i due uomini più adatti a reggere la Chiesa.
Poi la mia memoria di Pio XII si riferisce soprattutto ai suoi radiomessaggi del periodo bellico. A eccezione del nonno, i miei familiari non erano particolarmente attenti alle vicende della Chiesa, ma ricordo bene che quei radiomessaggi erano attesi, ascoltati con grande attenzione e accolti con ammirazione e condivisione da mio padre come dai miei zii, sebbene avessero idee politiche assai diverse tra loro. A me personalmente ponevano un unico problema:  come mai idee così giuste e così chiare erano di fatto ignorate e lasciate cadere dai responsabili delle nazioni?
Finita la guerra incominciai ad avere un'esperienza più diretta e coinvolgente della vita della Chiesa, nella mia parrocchia di San Giorgio a Sassuolo. L'amore per il Papa, l'accoglienza della sua parola, l'impegno e l'entusiasmo nel sostenerlo erano un tratto unificante e caratterizzante delle varie componenti della comunità parrocchiale:  o meglio, erano qualcosa di naturale e di ovvio che ci accomunava e che anche per me fu del tutto spontaneo, a differenza di qualche altro aspetto della vita della parrocchia, che mi metteva un poco a disagio.
Erano anni di forti contrapposizioni, particolarmente in Emilia-Romagna, e la figura di Pio XII non ne fu certo risparmiata. Perciò, avendo assunto molto presto un ruolo attivo nel sostenere pubblicamente le ragioni della Chiesa, mi trovai spesso a "difendere il Papa". Ho però nitido il ricordo del rispetto che traspariva verso di lui anche negli oppositori:  riflettendo oggi sulle esperienze di allora, direi che nell'animo popolare egli rimaneva padre e maestro, che per passione politica si poteva criticare e contestare, ma in fondo si continuava a rispettare e anche ad amare.
Nell'ottobre 1949 entrai in seminario a Roma, al Collegio Capranica. Fu per me un cambiamento di ambiente di vita molto grande e all'inizio difficile da metabolizzare. Cambiava anche, e non poco, l'esperienza di Chiesa. Un elemento di continuità che ho subito apprezzato e che mi ha parecchio aiutato è stato però il legame con il Papa. Pio XII era stato alunno del collegio e i cardinali che erano di casa al Capranica e il vicegerente di Roma monsignor Traglia, nostro quasi quotidiano commensale, avevano con lui un forte rapporto personale. Perciò il Papa anche da noi alunni era in qualche modo "visto da vicino" - per riprendere il titolo del volume di monsignor Carlo Confalonieri su Pio XI - e da un angolo visuale molto diverso rispetto a quello della parrocchia di Sassuolo. Eppure l'adesione a lui e l'affetto per la sua persona rimanevano un tratto essenziale dell'atmosfera del collegio e della nostra stessa esperienza ecclesiale e spirituale. Le voci discordanti, che in seguito non furono poche anche tra coloro che erano stati miei compagni di collegio, rappresentarono per me un'autentica sorpresa, dato che per tutto il periodo in cui sono stato alunno - fino al 1957, quando Pio XII venne in visita al Capranica - le indubbie differenze di sensibilità e di opinioni che esistevano tra noi non sembravano affatto mettere in causa il rapporto con il Papa.
Aggiungo due osservazioni più puntuali. La prima riguarda la questione tanto discussa dell'atteggiamento di Pio XII nei confronti degli ebrei e in particolare della Shoah. Posso ben dire che nei miei anni giovanili, prima a Sassuolo e poi a Roma, mai ho percepito critiche al Papa sotto questo profilo, ma al contrario ammirazione e gratitudine. In particolare al Capranica era vivissimo il ricordo di quello che Pio XII aveva fatto per salvare il maggior numero possibile di ebrei, mentre nessuno sollevava il problema di un suo "silenzio". Era ovvio, infatti, nel clima e nella prassi ecclesiale di allora, che se il Laterano, tanti sacerdoti e comunità religiose, e lo stesso Vaticano, avevano accolto e messo in salvo molti ebrei perseguitati, ciò, come ogni altra importante scelta della Chiesa di Roma, non poteva essere avvenuto senza il consenso e l'incoraggiamento del Papa. Ed era troppo recente il ricordo delle condizioni concrete del periodo di occupazione nazista per ipotizzare che Pio XII avrebbe dovuto formulare pubbliche condanne. Davvero allora non avrei potuto immaginare la polemica che non molti anni dopo è divampata.
La seconda osservazione ha a che fare con la teologia e con la Pontificia Università Gregoriana. Vi ho studiato in anni intensi, nei quali insegnavano vari autentici maestri, con orientamenti anche vivacemente differenziati:  comune era però la profonda adesione al Magistero e in particolare ai pronunciamenti di Pio XII. Ne ricordo soltanto uno, l'enciclica Humani generis del 1950, perché è stata poi oggetto di molte riserve e specialmente perché una sua affermazione, quella della "gratuità" dell'ordine soprannaturale, che richiede che Dio possa creare esseri intelligenti senza ordinarli e chiamarli alla visione beatifica, fu difesa con grandissimo impegno dai teologi della Gregoriana. In questo contesto la mia tesi per il dottorato fu dedicata a riscontrare il fondamento storico di tale affermazione nella teologia di san Tommaso d'Aquino. Qui vorrei soltanto notare, come segno del clima ecclesiale di quegli anni, che dopo la pubblicazione dell'enciclica anche un teologo come Karl Rahner sviluppò una teoria del soprannaturale che accoglieva senza incertezze il suo insegnamento, pur cercando al tempo stesso di fare spazio all'immanenza della grazia della nostra natura.
Il concilio Vaticano ii ha aperto prospettive nuove, o forse meglio più conformi alla tradizione antica, per la comprensione del servizio dei Successori di Pietro. A questo proposito vorrei segnalare le pagine illuminanti scritte da Joseph Ratzinger poco dopo la conclusione del concilio, nel saggio Primato ed episcopato nel volume Il nuovo popolo di Dio. Il pontificato di Pio XII si iscriveva in un contesto precedente, come sa per esperienza chi ha vissuto entrambi i periodi, ma ha anche preparato gli sviluppi nuovi, come ugualmente sa per esperienza chi si è nutrito, nella propria giovinezza, del suo Magistero e della sua testimonianza di dedizione a Cristo e di sollecitudine per il genere umano.



(©L'Osservatore Romano 28 maggio 2009)
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