Le incisioni di Giorgio Morandi in mostra a Ferrara

Tutto il mondo
nel manico di una brocca


di Massimo Marchetti

L'idea di affrontare una mostra costituita da sole incisioni potrebbe generare il timore della monotonia, tanto più se si tratta di un artista che in tutta la sua carriera ha trattato ossessivamente non più di tre o quattro tipi di soggetti.
Ma come certi grandi registi che ci hanno abituati a tempi dilatati e immagini statiche per tuffarci in un turbine di esperienze ineffabili, Giorgio Morandi sembra possedere un dono miracoloso, per cui una volta che l'osservatore anche meno esperto concede alla visione un istante in più, ecco che un universo di vibrazioni e di silenzi scaturisce dall'essenzialità e dal rigore, una dimensione in cui la più piccola variazione compositiva o cromatica  genera  un'eco  inimmaginabile.
È questo il tipo di esperienza offerta dalla mostra ferrarese "Morandi. L'arte dell'incisione" curata da Luigi Ficacci (fino al 2 giugno a Ferrara a Palazzo dei Diamanti; catalogo Ferrara Arte), in opportuna coincidenza con la retrospettiva pittorica in corso al Mambo di Bologna:  oltre centotrenta incisioni, soprattutto acqueforti, che vanno dai primi esperimenti del 1910-1911 fino alle ultime realizzate negli anni Sessanta, poco prima della morte avvenuta nel 1964.
L'efficacia della rassegna sta nel fatto di mettere in luce la piena centralità della pratica dell'incisione nella definizione della poetica di Morandi. Anche se questo tipo di produzione ha vissuto un drastico diradamento dopo gli intensi anni Venti, resta evidente come l'esercizio di riduzione, a cui una sensibilità pittorica viene obbligata dal bianco e nero dell'incisione, abbia permesso a Morandi di esplorare i profili delle cose con un'intensità particolare, costringendolo ad agire in profondità nella grammatica dell'espressione.
I soggetti trattati sono ovviamente i suoi classici:  nature morte, paesaggi, fiori, più qualche ritratto. Ancor più che nella pittura, nell'incisione è leggibile come la sperimentazione messa in atto consista in un lavorìo millimetrico, una costante e mai esausta assolutizzazione delle forme - con inevitabili risonanze emotive - di oggetti  o  vedute  così  banali  da impedire in partenza ogni tipo di evocazione.
In questa produzione Morandi è in grado di esaltare al meglio la propria intelligenza spaziale a partire dalla necessità tecnica della precisione, per cui la tessitura che incide la lastra diviene quasi una lente per penetrare nelle molecole degli oggetti e ristrutturarli dall'interno.
Si vedano dunque le serie in cui il medesimo gruppo di bottiglie o di case viene trasformato non solo da leggeri aggiustamenti del punto di vista - leggermente più lontano o più vicino - ma da una riscrittura del tratteggio  che nella sua intensificazione  viene  utilizzato  come fosse una  valvola  che  si  apre  o  si chiude  a seconda delle necessità luministiche.
Nella sequenza di nature morte del 1931, ad esempio, passiamo dalle bottiglie di plastica concretezza, rese da un chiaroscuro denso e finissimo, quasi setoso, alle sagome più evanescenti e inondate da luce in cui il tratteggio si dirada come se ogni segno rivendicasse un proprio destino, per terminare con la folgorante visione dei fantasmi della Natura morta di vasi su un tavolo, dove i protagonisti in primo piano sono sostanzialmente assenti, ritagliati nel bianco assoluto della carta, silouhette prosciugate di ciò che era ma che continua ad oscurare ciò che ancora è, ossia i vasi nella penombra del secondo piano.
Sono immagini che sembrano sconfinare nell'architettura, in una concezione complessiva di spazi interni ed esterni che dialogano fra loro in tensione e senza distrazioni.
Questi percorsi espressivi vengono ribaditi nei paesaggi, soprattutto quelli di Grizzana, dove nelle vibrazioni del tratteggio viene da ravvisare l'azione atmosferica di consunzione delle cose, risultati che sembrano invece meno efficaci nei soggetti floreali, più limitanti nella difficoltà di rintracciare nei piani ristretti di petali e fiorellini delle forme definite da modulare.
In un mondo figurativo così trattenuto, il manico di una brocca girato verso l'osservatore, in Natura morta con cinque oggetti (1956), può bastare per creare una difficilissima delucidazione spaziale che ci porta ad un grado di comprensione quasi fisica, palpabile, di questi oggetti. Una composizione ieratica e decantata in cui le modeste cose quotidiane paiono sul punto di essere sacralizzate per andare a delineare minime cattedrali silenziose.



(©L'Osservatore Romano 30 maggio 2009)
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