L'epistolario di Gregorio Barbarigo

Un cardinale tra lettere cifrate
e riunioni di famiglia


Presso il Collegio Sacro di Padova è stato presentato il volume Gregorio Barbarigo alla corte di Roma (1676-1680). Lettere familiari e di governo (Padova, Istituto per la storia ecclesiastica padovana, 2009, pagine 790, euro 50), curato da Pio Pampaloni.

di Pierluigi Giovannucci

Partecipò a cinque conclavi e nel 1691 sfiorò l'elezione al Soglio Pontificio; Gregorio Barbarigo fu una delle figure più significative della Chiesa cattolica del secondo Seicento. Nato a Venezia nel 1625, svolse la propria carriera ecclesiastica sotto la protezione di Papa Alessandro vii Chigi (1655-1667), che lo nominò vescovo di Bergamo nel 1657, lo creò cardinale nel 1660, trasferendolo infine a Padova nel 1664, città in cui morì nel 1697, dopo trentatré anni di governo episcopale, in fama di santità.
A Padova il cardinale si impegnò nella costruzione di un solido sistema di governo diocesano, connotato da una particolare sensibilità religiosa e pastorale, che lo impose all'attenzione dei contemporanei; al momento della morte, si segnalava sia come membro eminente del Sacro Collegio, sia come prestigioso e autorevole vescovo veneto.
Le lettere raccolte e pubblicate da Pampaloni si riferiscono a un periodo molto particolare della vita del Barbarigo, ovvero quello trascorso a Roma presso la corte del neoeletto Papa Innocenzo XI Odescalchi (1676-1689) del quale il veneziano condivise, almeno in una prima fase, lo sforzo riformatore, inteso sia a razionalizzare l'amministrazione pontificia - e in primo luogo a risanarne le disastrate finanze - sia a moralizzare la corte romana.
Si tratta dunque di un periodo di quasi quattro anni, compresi tra il 1676 e il 1680, durante i quali il vescovo veneziano si trovava lontano dalla propria sede episcopale, diviso tra molteplici incarichi e obblighi curiali, e contemporaneamente impegnato a cercare di risolvere dal privilegiato punto di snodo del "centro" romano tutta una serie di problemi di continuo emergenti in diocesi:  una stagione densa di occupazioni e di incontri, dunque, che funge da vero e proprio spartiacque all'interno della carriera ecclesiastica del prelato veneziano, precedendo la fase più matura, creativa e feconda dell'episcopato padovano, apertasi con il rientro del vescovo in diocesi dopo la lunga e mal sopportata assenza.
Chiarito così il senso del titolo Gregorio Barbarigo alla corte di Roma (1676-1680), resta da spiegare perché il volume curato da Pampaloni rechi il sottotitolo Lettere familiari e di governo.
In realtà, gran parte delle lettere indirizzate dal vescovo ai familiari nel corso dei due episcopati - di Bergamo (1658-1664) e di Padova (1664-1697) - vanno considerate come lettere "di governo", dal momento che il carteggio trova la propria ragion d'essere principale nel quadro di una direzione diocesana che si avvale dell'apporto attivo e concreto dei parenti, chiamati a collaborare sistematicamente all'azione pastorale, tanto da risultare essi - e non gli ufficiali di curia - i primi consiglieri e cooperatori del vescovo.
Il ruolo della "casa Barbarigo" in questo senso appare assolutamente centrale, non per il fatto che il governo diocesano venga trattato dal vescovo e dai suoi parenti come un affare di famiglia, di natura privatistica e sostanzialmente funzionale agli interessi propri del casato - come documentato da altri casi coevi, primo fra tutti quello dei veneziani Ottoboni, protesi a favorire in tutti i modi la carriera ecclesiastica del cardinale Pietro, futuro Papa Alessandro VIII (1689-1691) - bensì nell'ottica di un complessivo coinvolgimento di tutto l'entourage familiare nell'elaborazione di strategie, progetti e iniziative episcopali del primogenito Gregorio.
Il Barbarigo appare quindi sistematicamente affiancato dal padre Gianfrancesco, nonché dal fratello Antonio, senatore veneto, sia nella gestione ordinaria degli affari diocesani - dall'amministrazione economica ai rapporti con le autorità veneziane, dall'organizzazione della curia vescovile alle scelte pedagogiche e culturali relative al seminario - sia in rapporto alla conduzione di una serie di questioni conflittuali e di vertenze giurisdizionali (prima fra tutte quella, annosa e tormentatissima, con il Capitolo della cattedrale patavina) di continuo emergenti tra Padova e Venezia, questioni e vertenze rispetto alle quali il cardinale necessitava di sostegno e mediazione presso le magistrature veneziane, e più in generale di relazioni e di alleanze in seno al patriziato della Dominante, alla tessitura delle quali erano chiamati a collaborare di volta in volta un po' tutti i congiunti.
In quest'ultima ottica, peraltro, l'epistolario del Barbarigo si rivela una fonte assai utile per penetrare all'interno di processi e percorsi di ridefinizione dei poteri entro l'istituzione ecclesiastica così come nell'ambito della società, con le tensioni e lacerazioni che vi erano connesse, e senz'altro uno dei filoni di ricerca che può trarre maggiore vantaggio dall'esame della fonte è quello rappresentato dall'elevato tasso di conflittualità che accompagna la tentata valorizzazione - specie in seno all'istituzione ecclesiastica secentesca - degli episcopati.
Nel caso particolare della sezione dell'epistolario barbariciano pubblicata da Pampaloni, tuttavia, il carattere relativo al "governo" sotteso al carteggio si precisa poi in un senso più specifico e si caratterizza in modo peculiare, per il fatto che nella corrispondenza del cardinale assume un rilievo notevolissimo il cosiddetto "negozio pubblico", ovvero la gestione in via ufficiosa del raccordo politico e diplomatico veneto-pontificio, in seguito alla rottura dei rapporti diplomatici ufficiali fra Roma e Venezia, intervenuta a partire dal gennaio 1679:  il Barbarigo da allora, e per circa un anno, fu impegnato in un difficile e poco gratificante tentativo di mediazione fra le parti, che si concluse con un sostanziale insuccesso, ma che trova ampio e circostanziato riscontro nel carteggio, che per questa fase vede il continuo intrecciarsi e sovrapporsi alle lettere private delle lettere pubbliche intercorse con l'autorità veneziana, sia di quelle inviate che di quelle ricevute nel corso della delicata trattativa, e che opportunamente sono state edite in modo unitario da Pampaloni in quanto facenti parte di una medesima correlata corrispondenza.
L'edizione dei testi - 393 lettere, con cinque allegati, per un totale di 398 documenti - è corredata da un duplice apparato di note esplicative, paleografiche e storico-erudite, attraverso le quali il curatore ha cercato di chiarire, per quanto possibile, circostanze, persone, luoghi ed enti cui si fa cenno nelle lettere:  sforzo quanto mai improbo, stante il fatto che spesso i riferimenti testuali presenti nelle missive appaiono piuttosto vaghi, quando non volutamente "coperti" come nel caso delle numerose lettere in cui per ragioni di riservatezza compaiono elementi di comunicazione cifrata.
L'edizione delle lettere è preceduta poi da un ampio saggio introduttivo di carattere storico-monografico, nel quale Pampaloni entra nel merito dei contenuti della fonte, affrontando nell'ambito di quattro articolati capitoli le principali questioni che ne emergono, e fornendo così un fondamentale supporto alla comprensione globale dei testi pubblicati, che al di là della oggettiva difficoltà di chiarificare negli aspetti di dettaglio tutte le vicende cui le singole missive si riferiscono, offre indicazioni essenziali in ordine alla contestualizzazione dei vari argomenti, aspetti e problemi oggetto dello scambio epistolare.



(©L'Osservatore Romano 6-7 luglio 2009)
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