Costantino e la fondazione della basilica Vaticana

Quando San Pietro era ancora
una collina da spianare


di Timothy Verdon

Tra i segni di potere nel mondo romano, particolare importanza avevano le maestose costruzioni che lo Stato mise a disposizione dei cittadini. Ancor oggi, tra i resti di città d'epoca imperiale dall'Africa alla Germania, i grandiosi complessi civili e religiosi in cui si svolgeva la vita pubblica dell'impero ci colpiscono; tra gli esempi della stessa urbe ricordiamo la basilica Ulpia fatta costruire da Traiano nei primi anni del II secolo, con cinque navate suddivise da colonnati. Nella sua pianta, nelle dimensioni e nella generica ricchezza degli arredi era quasi il prototipo delle colossali basiliche cristiane erette dai successori di Traiano a partire dal IV secolo.
La più grande di queste era l'aula cimiteriale iniziata dall'imperatore Costantino tra il 319-324 sul sito della tomba di san Pietro. Un affresco cinquecentesco raffigurante l'interno della basilica sottolinea la vastità dello spazio e la nuova focalizzazione, diversa dall'impianto delle basiliche civili, sull'area absidale contenente l'altare per la celebrazione eucaristica. Ma l'originaria funzione della basilica non era in primo luogo liturgica bensì onorifica, e nell'area absidale doveva dominare il Trofeo di Gaio, rinchiuso da Costantino in uno splendido involucro marmoreo e ricoperto da un ciborio. Questa sistemazione trionfale esplicitava il senso della basilica stessa, costruita su una piattaforma sopra il cimitero e su parte del Circo di Nerone.
La piattaforma era l'elemento più stupefacente dell'impresa e ne segnala chiaramente l'importanza. Sebbene Costantino fosse imperatore e pontefice massimo, tecnicamente al di sopra delle leggi riguardanti le aree sacre, anche per lui la manomissione e l'interramento di un'intera necropoli non potevano che essere un'operazione rischiosa sul piano politico e sociale, atta a provocare il risentimento dei ceti dirigenti ancora pagani. L'inviolabilità dei sepolcri era infatti un principio assoluto del mondo antico.
Sul piano tecnico, poi, la cosa fu estremamente difficile. Sul terreno digradante da nord verso sud, Costantino voleva far emergere il Trofeo di Gaio al punto centrale del pavimento di una basilica larga, al transetto, 90 metri! Tale volontà imperiale, presumibilmente in costante colloquio con l'allora capo della comunità cristiana di Roma, il vescovo Silvestro (314-335), obbligava a titanici lavori di livellamento del colle con sbancamenti verso nord, dove il terreno era troppo alto, e con l'innalzamento di una piattaforma verso sud, dove il terreno scendeva.
L'operazione ricordava le epiche imprese dei Cesari di altri tempi:  di Traiano, per esempio, il quale aveva fatto rimuovere un promontorio alto 100 metri - la sella che un tempo collegava il Palatino col Quirinale - per creare l'area dove sorge la basilica Ulpia. Nel caso di San Pietro la piattaforma, destinata a ospitare altre strutture oltre alla basilica, doveva avere una superficie di 240 per più di 90 metri!
Le campagne di scavi tra il 1949 e il 1957 hanno messo in luce l'imponenza di questa vasta piattaforma, le cui fondazioni raggiungono uno spessore di due metri e mezzo, scendendo fino a 11,50 metri di profondità sul versante meridionale prima di congiungersi col declivio del colle.
Gli scavi hanno anche rivelato l'apparente rapidità con cui i lavori vennero eseguiti:  gli strati di malta tra i mattoni, come in altre costruzioni paleocristiane, sono piuttosto alti, suggerendo una certa fretta. È infatti probabile che sia Costantino che la comunità cristiana abbiano chiesto agli architetti di portare a termine il progetto in tempi relativamente brevi, e forse l'edificio era strutturalmente ultimato intorno al 329, anche se la documentata interruzione del culto pagano al vicino tempio di Cibele dal 319 fino al 350 induce a pensare che l'intera zona sia rimasta un cantiere aperto per molti anni ancora, probabilmente al servizio dei lavori di decorazione.
La basilica eretta dagli architetti di Costantino era una chiesa a cinque navate, di cui quella centrale molto più alta delle laterali. Era preceduta da un portico d'ingresso, a est, e completata a ovest da un'abside separata dalle navate da un transetto. Le dimensioni erano impressionanti:  la facciata era larga circa 64 metri, e il portico profondo oltre 12! Le navate erano lunghe 90 metri e quella centrale larga 23,50 con un'altezza di 32,50 metri, mentre le navatelle laterali avevano altezze, rispettivamente, di 18 e 14,80 metri.
Il transetto, più basso della navata centrale, era separato da essa da un arco trionfale sorretto da colonne colossali, e terminava a nord e a sud con esedre similmente introdotte da grandi colonne; su capitelli corinzi, le due teorie di colonne della navata centrale sorreggevano una trabeazione orizzontale, mentre le altre due, tra le navatelle laterali, sostenevano arcate; molti dei fusti di marmo pario, mischio e granito - e forse anche i capitelli - erano di riutilizzo.
Undici finestre per lato al livello inferiore, fino a otto per lato nella parte alta della navata maggiore, altre finestre ancora nel transetto e cinque nell'abside riempivano di luce questo spazio immenso e solenne; la pavimentazione in grandi lastre di marmo bianco simili a quelle del portico e del sagrato estendeva all'interno la luminosità dell'esterno; e il soffitto a lacunari dorati raccoglieva la luce riflessa dal pavimento.
Al punto culminante, poi - all'imbocco dell'abside e al centro, in linea con la porta principale - c'era il Trofeo, e sotto il Trofeo la tomba terragna. Tutto infatti era stato concepito per condurre precisamente qui:  anche l'allineamento della basilica, dall'est verso l'ovest, era in funzione dell'arrivo del pellegrino al modesto appezzamento nei pressi del Circo di Nerone dove Pietro era stato sepolto.
Ma, nonostante i calcoli degli ingegneri imperiali, la quota del pavimento era leggermente sfalsata e il Trofeo risultò interrato di 35-40 centimetri; il resto del piccolo monumento, emergente di poco meno di tre metri venne poi rinchiuso in un casamento marmoreo aperto verso la navata centrale per lasciar intravedere il Trofeo.
E, come sappiamo da un reliquiario eburneo del IV-V secolo conservato al Museo archeologico di Venezia, intorno alla nuova "Memoria" vennero sistemati quattro colonne vitinee - due davanti e due dietro - a sostegno delle stanghe di una tettoia aperta; queste, con altre due colonne vitinee agli angoli dell'abside, sorreggevano una continua trabeazione, con l'effetto di recintare interamente l'abside e la Memoria, mentre stoffe pregiate sospese dalla trave tra gli angoli dell'abside e il ciborio centrale focalizzavano ancora l'attenzione sulla Memoria, delimitando una sorta di area presbiteriale dietro di essa. Sopra il presbiterio, il catino dell'abside fu ricoperto di fogli d'oro.
Sembra non esserci stato un altare permanente in questa parte della basilica, anche se possiamo immaginare che in alcune occasioni venisse allestito un altare ligneo davanti alla Memoria; forse c'erano altari invece nelle esedre del transetto. Ma la funzione principale dell'edificio, come già detto, era commemorativa, non liturgica, e tutta la basilica aveva il carattere di un titanico martirium a soddisfazione dell'esigenza cristiana di "fare memoria" di un eroico testimone della fede della comunità. Non a caso, l'area davanti al Trofeo e alla tomba verrebbe in seguito denominata la "Confessione", in allusione alla testimonianza di Pietro, "Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente". I cristiani del IV secolo vennero a San Pietro per pregare alla tomba dell'Apostolo e per attingere alla sua fede; vennero anche per commemorare i loro morti - sepolti sotto il pavimento e in mausoleo lungo le mura - con pranzi funebri; una lettera di Paolino da Nola ricorda il sontuoso banchetto celebratovi dal senatore Pammachio nel 396 per onorare la moglie defunta:  così numerosi furono gli invitati che riempirono sia la basilica che il portico e l'antistante campus (Epistola, 13).
Oltre allo splendore dell'edificio stesso, Costantino dotò la basilica Vaticana di ornamenti principeschi e di ricchezze calcolate a garantirne sia l'ulteriore abbellimento che la manutenzione ordinaria. Il reliquiario eburneo con l'immagine del presbiterio fa vedere, appeso alle curve stanghe incrociate del ciborio, un candelabro in forma di corona che dobbiamo supporre di oro o argento, e il Liber Pontificalis parla di una croce d'oro puro del peso di 150 libbre che l'imperatore, insieme alla madre sant'Elena, avevano donato; dice anche che Costantino fece rivestire la tomba dell'Apostolo con lastre di bronzo.
Il dono poi di vaste proprietà in Italia, Sicilia, Sardegna e nell'Africa settentrionale nonché - dopo la vittoria sui rivoltosi delle province orientali riportata nel 324 - in Egitto, Siria e Cilicia, fruttò alla Chiesa romana introiti annui di 25.000 solidi d'oro, di cui 3.700 per la sola basilica Vaticana:  una cifra globale assai elevata, calcolata da Richard Krautheimer nel 1980 come 160 milioni di dollari all'anno, di cui ben 25 per San Pietro. L'intenzione di Costantino era, chiaramente, di assicurare alla Chiesa e ai suoi principali luoghi di rappresentanza e di culto una magnificenza "imperiale", anche in segno di gratitudine:  sull'arco di trionfo tra la navata e il transetto, oltre alla decorazione musiva, l'imperatore fece apporre una dichiarazione del suo riconoscimento per la vittoria ottenuta nel 312, Quod duce te mundus surrexit / in astra triumphans / hanc Constantinus victor tibi condidit aulam ("Poiché sotto la tua guida [o Cristo? O Pietro?] il mondo è risorto trionfante fino alle stelle, il vittorioso Costantino ti ha allestito quest'aula").



(©L'Osservatore Romano 3 settembre 2009)
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