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ALLA RICERCA DI UN’ETICA UNIVERSALE

 

«Esistono valori morali oggettivi in grado di unire gli uomini e di procurare ad essi pace e felicità?»: con questo interrogativo si apre il recente documento della Commissione Teologica Internazionale (CTI) intitolato «Alla ricerca di un'etica universale: nuovo sguardo sulla legge naturale» (cfr Civ. Catt. 2009 II 341-398), che vogliamo qui presentare. «I grandi problemi che si pongono agli esseri umani – prosegue il n. 1 – hanno ormai una dimensione internazionale, planetaria, poiché lo sviluppo delle tecniche di comunicazione favorisce una crescente interazione tra le persone, le società e le culture. Un avvenimento locale può avere una risonanza planetaria quasi immediata. Emerge così la consapevolezza di una solidarietà globale, che trova il suo ultimo fondamento nell’unità del genere umano. Questa si traduce in una responsabilità planetaria», che comporta la ricerca di valori etici comuni. Ma gli sforzi compiuti in tal senso possono avere successo soltanto se le buone intenzioni si fondano su un valido accordo di base circa i beni e i valori.

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Non mancano i tentativi contemporanei per delineare un’etica universale. Dopo la fine della seconda guerra mondiale, la comunità delle nazioni ha definito nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo (1948) alcuni diritti inalienabili della persona umana; essi non sono semplicemente concessi dal legislatore, ma sono «dichiarati», poiché la loro esistenza è anteriore alla decisione del legislatore. La Dichiarazione – secondo Giovanni Paolo II (1995) – «rimane una delle espressioni più alte della coscienza umana nel nostro tempo», ma i risultati non sempre sono stati all’altezza delle speranze, giacché emerge sempre più una tendenza a reinterpretare i diritti dell’uomo separandoli dalla dimensione etica e razionale, che costituisce il loro fondamento e il loro fine, «a profitto di un puro legalismo utilitarista» (cfr n. 5).

L’etica mondiale indica l’insieme dei valori obbligatori fondamentali che da secoli formano il tesoro dell’esperienza umana, la quale si trova in tutte le grandi tradizioni religiose e filosofiche. Quattro sono i princìpi contenuti nella Dichiarazione per un’etica planetariaformulata da alcuni esponenti del Parlamento delle religioni del mondo, nel 1993, la quale afferma che esiste tra le religioni un consenso suscettibile di fondare un’etica planetaria, un consenso minimo che riguarda valori obbliganti, norme irrevocabili e tendenze morali essenziali: 1) Nessun nuovo ordine del mondo senza un’etica mondiale; 2) Ogni persona umana sia trattata umanamente; 3) La Dichiarazione enuncia quattro direttive morali: non-violenza e rispetto della vita; solidarietà; tolleranza e verità; uguaglianza dell’uomo e della donna; 4) Riguardo ai problemi dell’umanità è necessario un cambiamento di mentalità, affinché ciascuno prenda coscienza della propria responsabilità.

Purtroppo da decenni, con il pretesto che ogni pretesa di verità oggettiva e universale sarebbe fonte di intolleranza, e che soltanto il relativismo potrebbe salvaguardare il pluralismo dei valori e la democrazia, si fa l’apologia del positivismo giuridico, che rifiuta di riferirsi a un criterio oggettivo del giusto. In tale prospettiva, l’ultimo orizzonte del diritto e della norma morale sarebbe la legge in vigore, considerata giusta per definizione, poiché è espressione della volontà del legislatore. Ma questo significa aprire la via all’arbitrio del potere, alla dittatura della maggioranza aritmetica e alla manipolazione ideologica. La conseguenza è che — come afferma Benedetto XVI — «si tenta di trasformare in diritti interessi o desideri privati che si oppongono ai doveri derivanti dalla responsabilità sociale» (n. 7).

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In tale contesto, nel quale il riferimento a valori oggettivi assoluti universalmente riconosciuti è diventato problematico, alcuni raccomandano un’etica della discussione nella linea di una comprensione «dialogica» della morale. Questa etica consiste nell’usare, nel corso di un dibattito etico, soltanto le norme a cui tutti i partecipanti, rinunciando a comportamenti tesi a imporre i propri punti di vista, possano dare il proprio assenso. L’etica della discussione si interessa soprattutto del metodo con cui, grazie al dibattito, i princìpi e le norme etiche possono divenire obbligatori per tutti i partecipanti. Essa quindi è un’etica formale, che non riguarda gli orientamenti morali di fondo e corre anche il rischio di limitarsi a una ricerca di compromesso.

Il documento della CTI afferma in sostanza «che le persone e le comunità umane sono capaci, alla luce della ragione, di riconoscere gli orientamenti fondamentali di un agire morale conforme alla natura del soggetto umano e di esprimerlo in modo normativo sotto forma di precetti o di comandamenti. Nel corso della sua storia, nell'elaborazione della propria tradizione etica, la comunità cristiana, in dialogo critico con le tradizioni sapienziali che ha incontrato, ha assunto, purificato e sviluppato tale insegnamento sulla legge naturale come norma etica fondamentale, ma il cristianesimo non ha il monopolio della legge naturale (cfr n. 9).

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La legge morale naturale assume numerosi elementi comuni dalle grandi sapienze religiose e filosofiche, perciò il documento della CTI dedica il cap. I alle «convergenze». Ad esempio, la «regola d'oro» («non fare a nessuno ciò che non vuoi che sia fatto a te»: Tb 4,15) si ritrova, sotto una forma o un’altra, nella maggior parte delle tradizioni sapienziali. Da parte sua l'insegnamento morale dell’induismo contiene anche un equivalente pratico della regola d'oro: l'uomo «non farà all’altro ciò che considera nocivo per se stesso». Inoltre diversi precetti della tradizione indù si possono mettere in parallelo con le esigenze del Decalogo (cfr n. 13). Anche l’altruismo della tradizione buddista che si traduce in un atteggiamento di non-violenza, con la benevolenza amichevole e la compassione, raggiunge così la regola d’oro. Afferma pure Confucio: «“Mansuetudine” non è forse la parola chiave? Ciò che tu non vorresti fosse fatto a te, non infliggerlo agli altri». La pratica di questa regola indica la via del Cielo (cfr n. 15).

L'etica africana si rivela antropocentrica e vitale: gli atti ritenuti suscettibili di favorire l’aprirsi della vita, di conservarla, di proteggerla, di svilupparla o di accrescere il potenziale vitale della comunità sono perciò considerati buoni; ogni atto considerato dannoso alla vita degli individui o della comunità è giudicato cattivo. L’islàm si considera la restaurazione della religione naturale originale. La legge islamica — comunitaria, morale e religiosa — è intesa come una legge data direttamente da Dio. L’etica musulmana è quindi fondamentalmente una morale dell’obbedienza. La ragione umana interviene per riconoscere il carattere rivelato della Legge e ricavarne le implicazioni giuridiche concrete. Tra le prescrizioni di questa legge divina positiva, molte riprendono i grandi elementi del patrimonio morale dell’umanità e si possono mettere in relazione con il Decalogo (cfr n. 17).

Il testo della CTI riprende quindi le fonti greco-romane della legge naturale, secondo le quali l’idea che esista un diritto naturale anteriore alle determinazioni giuridiche positive si trova già nella cultura greca classica con la figura esemplare di Antigone, la figlia di Edipo. Secondo Platone e Aristotele le leggi della città sono in genere buone e costituiscono l’attuazione, più o meno riuscita, di un diritto naturale conforme alla natura delle cose. Nello stoicismo è buono e dev’essere compiuto ciò che corrisponde alla natura, intesa in un senso psico-biologico e insieme razionale. La Legge del Sinai comporta precetti etici fondamentali che definiscono il modo con il quale il popolo eletto deve rispondere con la santità della vita alla scelta di Dio. Ma questi comportamenti etici valgono anche per gli altri popoli, tanto che Dio chiede conto alle nazioni straniere che violano la giustizia e il diritto (cfr Am 1-2). Gesù riprende la regola d’oro in forma positiva: «Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro» (Mt 7,12).

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Il modello razionalista moderno della legge naturale, evoluzione della concezione medievale sino alla secolarizzazione del XIX secolo, è caratterizzato: 1) dalla credenza essenzialista in una natura umana immutabile e a-storica, di cui la ragione può cogliere perfettamente la definizione e le proprietà essenziali; 2) dal mettere tra parentesi la situazione concreta delle persone umane nella storia della salvezza, segnata dal peccato e dalla grazia, il cui influsso sulla conoscenza e sulla pratica della legge naturale è però decisivo; 3) dall’idea che è possibile per la ragione dedurre a priori i precetti della legge naturale a partire dalla definizione dell’essenza dell’essere umano; 4) dalla massima estensione data ai princìpi così dedotti, tanto che la legge naturale appare come un codice di leggi già fatte che regola la quasi-totalità dei comportamenti. Questa tendenza a estendere il campo delle determinazioni della legge naturale è stata all’origine di una grave crisi quando, in particolare con il progresso delle scienze umane, il pensiero occidentale ha preso maggiormente coscienza della storicità delle istituzioni umane.

Oggi la Chiesa si rifà alla legge naturale in quattro contesti.

Innanzitutto, dinanzi al dilagare di una cultura che limita la razionalità alle scienze positive e abbandona al relativismo la vita morale, insiste sulla capacità naturale che hanno gli uomini di cogliere con la ragione il messaggio etico contenuto nell’essere. La legge naturale risponde così all’esigenza di fondare sulla ragione i diritti dell'uomo e rende possibile un dialogo interculturale e interreligioso.

In secondo luogo, dinanzi all’individualismo relativista, il quale ritiene che ogni individuo sia la fonte dei propri valori e che la società risulti da un contratto stipulato tra individui che scelgono di fissarne essi stessi tutte le norme, ricorda il carattere non convenzionale ma naturale e oggettivo delle norme fondamentali che regolano la vita sociale e politica.

In terzo luogo, dinanzi a un laicismo aggressivo che vuole escludere i credenti dal dibattito pubblico, la Chiesa fa notare che gli interventi dei cristiani nella vita pubblica, su argomenti che riguardano la legge naturale (difesa dei diritti degli oppressi, giustizia nelle relazioni internazionali, difesa della vita e della famiglia, libertà religiosa e libertà di educazione...), non sono di per sé di natura confessionale, ma derivano dalla cura che ogni cittadino deve avere per il bene comune della società.

In quarto luogo, dinanzi alle minacce di abuso di potere, e anche di totalitarismo, che il positivismo giuridico nasconde e che certe ideologie trasmettono, la Chiesa ricorda che le leggi civili non obbligano in coscienza quando sono in contraddizione con la legge naturale, e chiede il riconoscimento dell’obiezione di coscienza, come pure il dovere della disobbedienza in nome dell’obbedienza a una legge più alta (cfr n. 35).

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Ogni essere umano fa l’esperienza di una chiamata interiore a compiere il bene. «Bisogna fare il bene ed evitare il male»: su questo precetto si fondano tutti gli altri precetti della legge naturale. Questo primo principio è conosciuto naturalmente, con la ragione pratica, così come il principio di non contraddizione. In altri termini, il bene che così si impone alla persona è un bene morale, cioè un comportamento che va nel senso della realizzazione autentica di quell’essere che è la persona umana. Il bene morale corrisponde al desiderio profondo della persona umana, che tende spontaneamente verso ciò che la realizza pienamente. Purtroppo il soggetto può sempre lasciarsi trascinare da desideri particolari e scegliere beni o porre gesti che vanno contro il bene morale. Spetta alla ragione del soggetto esaminare se questi beni particolari possono integrarsi nella realizzazione autentica della persona: in tal caso saranno giudicati moralmente buoni.

Quest’affermazione fonda la possibilità di un dialogo con le persone appartenenti ad altri orizzonti culturali o religiosi. L’obbligo morale riconosciuto dal soggetto non proviene dunque da una legge che gli sarebbe esteriore, ma si afferma a partire da lui stesso. Il bene morale «si impone» al soggetto, «deve» essere compiuto. Riveste un carattere di obbligazione e di legge. Ma il termine «legge» qui non rinvia né alle leggi scientifiche, che si limitano a descrivere le costanti di fatto del mondo fisico o sociale, né a un imperativo imposto arbitrariamente dall’esterno al soggetto morale. La legge designa qui un orientamento della ragione che indica al soggetto morale quale tipo di agire sia conforme al dinamismo innato e necessario del suo essere.

Per giungere a una corretta valutazione delle cose da fare, il soggetto morale dev’essere dotato di un certo numero di disposizioni interiori che gli consentano di essere aperto alle richieste della legge naturale e insieme ben informato sui dati della situazione concreta. La morale non può dunque limitarsi a produrre norme. Deve anche favorire la formazione del soggetto, affinché questo sia in grado di adattare i precetti universali della legge naturale alle condizioni concrete dell’esistenza nei diversi contesti culturali. Tale capacità è assicurata dalle virtù morali, in particolare dalla prudenza, che deve guidare l’azione concreta. La prudenza è indispensabile al soggetto morale a motivo della flessibilità richiesta dall’adattamento dei princìpi morali universali alle diverse situazioni. Ma tale flessibilità non autorizza a vedere nella prudenza una sorta di facile compromesso nei confronti dei valori morali.

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Per rendere senso e forza alla nozione di legge naturale come fondamento di un’etica universale, bisogna rivolgere uno sguardo di ordine metafisico capace di abbracciare simultaneamente Dio, il cosmo e la persona umana per riconciliarli nell’unità analogica dell’essere. È anzitutto essenziale partire da un’idea non concorrenziale dell’articolazione tra la causalità divina e la libera attività del soggetto umano. Il soggetto realizza se stesso inserendosi liberamente nell’azione provvidenziale di Dio, e non opponendosi ad essa. Deve scoprire con la ragione e poi liberamente realizzare i dinamismi profondi che ne definiscono la natura. Questa viene definita come un insieme di dinamismi, di tendenze, di orientamenti all’interno dei quali nasce la libertà. Ma oggi bisogna tenere presenti insieme due verità. Da una parte, il soggetto non è una unione o una giustapposizione di inclinazioni naturali diverse e autonome, ma un tutto sostanziale e personale chiamato a rispondere all’amore di Dio e ad unificarsi mediante un orientamento riconosciuto verso un fine ultimo, che gerarchizza i beni parziali manifestati dalle varie tendenze naturali. D’altra parte, in questo tutto organico, ogni parte conserva un significato proprio e irriducibile, di cui la ragione deve tener conto nell’elaborazione del progetto globale della persona.

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Nella conclusione, il documento della CTI riafferma il proprio desiderio di condividere con le religioni, con le sapienze e con le filosofie del nostro tempo le risorse del concetto di legge naturale. «Chiamiamo legge naturale — afferma il n. 113 — il fondamento di un'etica universale che cerchiamo di ricavare dall’osservazione e dalla riflessione sulla nostra comune natura umana. [...] Questa legge naturale non ha niente di statico nella sua espressione; non consiste in una lista di precetti definitivi e immutabili. E una fonte di ispirazione che zampilla sempre nella ricerca di un fondamento obiettivo a un'etica universale».

I cristiani sono convinti che Cristo rivela la pienezza dell'umano, realizzandola nella sua persona. Ma tale rivelazione raggiunge e conferma elementi già presenti nel pensiero razionale delle sapienze dell'umanità. E il Documento si conclude (n. 116) con un appello: «Dobbiamo arrivare a dirci, al di là delle nostre convinzioni religiose e della diversità dei nostri presupposti culturali, quali sono i valori fondamentali per la nostra comune umanità, in modo da lavorare insieme a promuovere comprensione, riconoscimento reciproco e cooperazione pacifica fra tutte le componenti della famiglia umana».

La Civiltà Cattolica

  

(La Civiltà Cattolica II, quaderno 3816 [20 giugno 2009] 533-539)

 

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