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SACRA CONGREGAZIONE ISTRUZIONE SU ALCUNI ASPETTI DELLA INTRODUZIONE Il Vangelo di Gesù Cristo è un messaggio di libertà e una forza di liberazione. Questa verità essenziale è stata oggetto, negli ultimi anni, di riflessione da parte dei teologi, con rinnovata attenzione ricca in se stessa di promesse. La liberazione è innanzi tutto e principalmente liberazione dalla schiavitù radicale del peccato. Il suo scopo e il suo punto dÂÂarrivo è la libertà dei figli di Dio, dono della grazia. Essa comporta, di logica conseguenza, la liberazione dalle molteplici schiavitù di ordine culturale, economico, sociale e politico, che in definitiva derivano tutte dal peccato, e costituiscono altrettanti ostacoli che impediscono agli uomini di vivere in conformità alla loro dignità. Quindi per una riflessione teologica sulla liberazione occorre, come condizione indispensabile, discernere chiaramente ciò che è fondamentale da ciò che appartiene alle conseguenze. In realtà, di fronte allÂÂurgenza dei problemi, alcuni sono tentati di porre lÂÂaccento in maniera unilaterale sulla liberazione dalle schiavitù di ordine terrestre e temporale, per cui sembrano far passare in secondo piano la liberazione dal peccato, e così non attribuirle più, praticamente, lÂÂimportanza primaria che invece ha. Ne consegue una presentazione confusa e ambigua dei problemi. Altri, nellÂÂintenzione di formarsi una conoscenza più esatta delle cause delle schiavitù che vogliono eliminare, si servono senza sufficiente precauzione critica, di strumenti di pensiero che è difficile, per non dire impossibile, purificare da unÂÂispirazione ideologica incompatibile con la fede cristiana e con le esigenze etiche che ne derivano. Questa Congregazione per la Dottrina della Fede non intende qui affrontare nella sua completezza il vasto tema della libertà cristiana e della liberazione. Essa si ripropone di farlo in un documento successivo che ne metterà in evidenza, in maniera positiva, tutte le ricchezze sotto lÂÂaspetto sia dottrinale che pratico. La presente Istruzione ha uno scopo più preciso e limitato: essa intende attirare lÂÂattenzione dei pastori, dei teologi e di tutti i fedeli, sulle deviazioni e sui rischi di deviazioni, pericolosi per la fede e per la vita cristiana, insiti in certe forme della teologia della liberazione, che ricorrono in maniera non sufficientemente critica a concetti mutuati da diverse correnti del pensiero marxista. Questo richiamo non deve in alcun modo essere interpretato come una condanna di tutti coloro che vogliono rispondere con generosità e con autentico spirito evangelico alla ÂÂopzione preferenziale per i poveriÂÂ. Essa non dovrebbe affatto servire da pretesto a tutti coloro che si trincerano in un atteggiamento di neutralità e di indifferenza di fronte ai tragici e pressanti problemi della miseria e dellÂÂingiustizia. Al contrario, essa è dettata dalla certezza che le gravi deviazioni ideologiche denunciate finiscono ineluttabilmente per tradire la causa dei poveri. Più che mai la Chiesa intende condannare gli abusi, le ingiustizie e gli attentati alla libertà, ovunque si riscontrino e chiunque ne siano gli autori, e lottare, con i mezzi che le sono propri, per la difesa e la promozione dei diritti dellÂÂuomo, specialmente nella persona dei poveri.
I. UnÂÂ aspirazione 1. La forte, quasi irresistibile aspirazione dei popoli a una liberazione costituisce uno dei principali segni dei tempi che la Chiesa deve scrutare e interpretare alla luce del Vangelo. (1) Questo fenomeno rilevante del nostro tempo ha una dimensione universale, ma si manifesta sotto forme e gradi diversi a seconda dei popoli. È soprattutto tra i popoli che sperimentano il peso della miseria e in seno ai ceti diseredati che tale aspirazione si esprime con forza. 2. Tale aspirazione esprime la percezione autentica, per quanto oscura, della dignità dellÂÂuomo, creato ÂÂad immagine e somiglianza di DioÂÂ (Gen 1, 26-27), schernita e disprezzata da molteplici forme di oppressione culturali, politiche, razziali, sociali ed economiche, spesso conglobate. 3. Annunciando la loro vocazione di figli di Dio, il Vangelo ha suscitato nel cuore degli uomini lÂÂesigenza e la volontà positiva di una vita fraterna, giusta e pacifica, nella quale ciascuno troverà il rispetto e le condizioni del proprio sviluppo spirituale e materiale. Tale esigenza è indubbiamente alla sorgente dellÂÂaspirazione suddetta. 4. Di conseguenza lÂÂuomo non intende più subire passivamente il peso schiacciante della miseria con le sue conseguenze di morte, di malattie e di decadimento. Egli avverte questa miseria come unÂÂintollerabile violazione della propria dignità originaria. Diversi fattori, tra i quali occorre annoverare il lievito evangelico, hanno contribuito al risveglio della coscienza degli oppressi. 5. Nessuno più ignora, neppure tra i ceti ancora analfabeti della popolazione, che grazie al prodigioso sviluppo della scienza e della tecnica, lÂÂumanità pur in costante crescita demografica sarebbe in grado di assicurare a ciascun essere umano quel minimo di beni richiesti dalla sua dignità di persona. 6. Lo scandalo delle palesi disuguaglianze tra ricchi e poveri - si tratti di disuguaglianze tra paesi ricchi e paesi poveri oppure di disuguaglianze tra ceti sociali nellÂÂambito dello stesso territorio nazionale - non è più tollerato. Da una parte si è conseguita unÂÂabbondanza, mai vista finora, che favorisce lo sperpero, dallÂÂaltra si vive ancora in uno stato di indigenza contrassegnato dalla privazione dei beni di stretta necessità, cosicché non si può più contare il numero delle vittime della denutrizione. 7. La mancanza di equità e di senso di solidarietà negli scambi internazionali torna a vantaggio dei paesi industrializzati, in tal modo la differenza tra ricchi e poveri non cessa di acuirsi. Ne conseguono il sentimento di frustrazione, nei popoli del terzo mondo, e lÂÂaccusa di sfruttamento e di colonialismo economico mossa ai paesi industrializzati. 8. Il ricordo dei misfatti di un certo colonialismo e delle sue conseguenze genera spesso ferite e traumi. 9. La Santa Sede, sulla linea del Concilio Vaticano II, come pure le Conferenze Episcopali non hanno mai cessato di denunciare lo scandalo costituito dalla gigantesca corsa agli armamenti che, a parte le minacce che ne derivano per la pace, accaparra somme ingenti, di cui una sola parte sarebbe sufficiente per rispondere alle necessità più urgenti delle popolazioni sprovviste del necessario.
II. Espressioni di questa aspirazione 1. LÂÂaspirazione alla giustizia e al riconoscimento effettivo della dignità di ciascun essere umano richiede, come ogni aspirazione profonda, di essere chiarita e guidata. 2. In effetti, è necessario usare discernimento nei confronti delle espressioni, teoriche e pratiche, di questa aspirazione. Sono molti, infatti, i movimenti politici e sociali che si presentano come porta-parola autentici dellÂÂaspirazione dei poveri, e come abilitati, perfino mediante il ricorso ai mezzi violenti, ad operare quei cambiamenti radicali che porranno fine allÂÂoppressione e alla miseria del popolo. 3. Spesso l'aspirazione alla giustizia si trova influenzata da ideologie che ne occultano e ne pervertono il significato, proponendo alla lotta dei popoli per la loro liberazione dei fini che sono opposti alla vera finalità della vita umana, ed esaltando vie di azione che, in quanto implicano il ricorso sistematico alla violenza, sono contrarie ad un'etica rispettosa delle persone. 4. L'interpretazione dei segni dei tempi alla luce del Vangelo esige, dunque, che si approfondisca il significato dell'aspirazione dei popoli alla giustizia, ma anche che si esaminino, con discernimento critico, le espressioni, teoriche e pratiche, che sono date a tale aspirazione.
III. La liberazione, tema cristiano 1. Considerata in sé stessa, lÂÂaspirazione alla liberazione non può non trovare una vasta e fraterna eco nel cuore e nello spirito dei cristiani. 2. Per questo, in consonanza con tale aspirazione è nato il movimento teologico e pastorale conosciuto sotto il nome di ÂÂteologia della liberazioneÂÂ, dapprima nei paesi dellÂÂAmerica Latina, contrassegnati dallÂÂeredità religiosa e culturale del cristianesimo, e poi in altre regioni del terzo mondo, come pure in certi ambienti dei paesi industrializzati. 3. LÂÂespressione ÂÂteologia della liberazioneÂÂ designa innanzi tutto una preoccupazione privilegiata, generatrice di impegno per la giustizia, rivolta ai poveri e alle vittime dellÂÂoppressione. Partendo da questo approccio, si possono distinguere parecchie maniere, spesso inconciliabili, di concepire il significato cristiano della povertà e il tipo dÂÂimpegno per la giustizia che esso comporta. Come ogni movimento di idee, ÂÂle teologie della liberazioneÂÂ presentano posizioni teologiche diverse; le loro frontiere dottrinali non sono ben definite. 4. LÂÂaspirazione alla liberazione, come suggerisce il termine stesso, si ricollega ad un tema fondamentale dellÂÂAntico e del Nuovo Testamento. Così pure, presa in se stessa, lÂÂespressione ÂÂteologia della liberazioneÂÂ è unÂÂespressione pienamente valida: essa designa una riflessione teologica incentrata sul tema biblico della liberazione e della libertà e sullÂÂurgenza delle sue applicazioni pratiche. La confluenza dellÂÂaspirazione alla liberazione e delle teologie della liberazione non è dunque fortuita. Il significato di questa confluenza non può essere rettamente compreso se non alla luce della specificità del messaggio della Rivelazione interpretato autenticamente dal Magistero della Chiesa (2).
IV. Fondamenti biblici 1. Una teologia della liberazione correttamente intesa costituisce, quindi un invito ai teologi ad approfondire certi temi biblici essenziali, con la sollecitudine richiesta dai gravi e urgenti problemi posti alla Chiesa dallÂÂaspirazione contemporanea alla liberazione e dai movimenti di liberazione che ad essa fanno eco, più o meno fedelmente. Non è possibile dimenticare le situazioni drammatiche, dalle quali sgorga lÂÂappello lanciato in questo senso ai teologi. 2. LÂÂesperienza radicale della libertà cristiana (3) costituisce qui il primo punto di riferimento. Il Cristo, nostro Liberatore, ci ha liberati dal peccato, e dalla schiavitù della legge e della carne, che è il contrassegno della condizione dellÂÂuomo peccatore. È dunque la nuova vita di grazia, frutto della giustificazione, che ci costituisce liberi. Ciò significa che la schiavitù più radicale è la schiavitù del peccato. Le altre forme di schiavitù trovano dunque la loro ultima radice nella schiavitù del peccato. Per questo la libertà nel senso cristiano più pieno, in quanto caratterizzata dalla vita nello Spirito, non deve mai essere confusa con la licenza di cedere ai desideri della carne. Essa è, infatti, vita nuova nella carità. 3. Le ÂÂteologie della liberazioneÂÂ fanno largo uso del racconto dellÂÂEsodo. Questo costituisce, in effetti, lÂÂevento fondamentale nella formazione del popolo eletto. Esso è la liberazione dalla dominazione straniera e dalla schiavitù. Si dovrà sottolineare come il significato specifico dellÂÂevento gli deriva dalla sua finalità, poiché questa liberazione è ordinata alla fondazione del popolo di Dio e al culto dellÂÂAlleanza celebrato sul Monte Sinai (4). Per questo la liberazione dellÂÂEsodo non può essere ridotta ad una liberazione di natura principalmente ed esclusivamente politica. DÂÂaltronde è significativo che il termine di liberazione sia talvolta sostituito nella Scrittura con quello, molto vicino, di redenzione. 4. LÂÂepisodio fondante dellÂÂEsodo non sarà mai cancellato dalla memoria di Israele. Ad esso ci si rifà quando, dopo la rovina di Gerusalemme e lÂÂesilio di Babilonia, si vive nella speranza di una nuova liberazione e, al di là di essa, nellÂÂattesa di una liberazione definitiva. In questa esperienza Dio è riconosciuto come il Liberatore. Egli stringerà con il suo popolo una Nuova Alleanza, caratterizzata dal dono del suo Spirito e dalla conversione dei cuori. (5) 5. Le angosce e le molteplici tristezze sperimentate dallÂÂuomo fedele al Dio dellÂÂAlleanza costituiscono il tema di parecchi salmi: lamenti, invocazioni di aiuto, azioni di grazia fanno menzione della salvezza religiosa e della liberazione. In questo contesto, lÂÂangoscia non è puramente e semplicemente identificata con una condizione sociale di miseria o con quella di colui che subisce lÂÂoppressione politica. Essa comprende anche lÂÂostilità dei nemici, lÂÂingiustizia, la morte, la colpa. I salmi ci rimandano ad unÂÂesperienza religiosa essenziale: solo da Dio ci si può aspettare la salvezza e lÂÂaiuto. Dio, e non lÂÂuomo, ha il potere di cambiare le situazioni di angoscia. Perciò i ÂÂpoveri del SignoreÂÂ vivono in una dipendenza totale e fiduciosa nella provvidenza amorosa di Dio. (6) E dÂÂaltra parte, durante tutto il cammino nel deserto, il Signore non ha cessato di provvedere alla liberazione e alla purificazione spirituale del suo popolo. 6. NellÂÂAntico Testamento, i profeti, dopo Amos, non cessano di richiamare, con singolare vigore, le esigenze della giustizia e della solidarietà e di esprimere un giudizio estremamente severo nei confronti dei ricchi che opprimono il povero. Essi prendono le difese della vedova e dellÂÂorfano. Proferiscono minacce contro i potenti: lÂÂaccumularsi delle iniquità conduce necessariamente a terribili castighi. La fedeltà allÂÂAlleanza non è concepibile senza la pratica della giustizia. La giustizia verso Dio e la giustizia verso gli uomini sono inseparabili. Dio è il difensore e il liberatore del povero. 7. Tali esigenze si ritrovano anche nel Nuovo Testamento. Esse vi sono anzi radicalizzate, come dimostra il discorso delle Beatitudini. La conversione e il rinnovamento devono operarsi nellÂÂintimo del cuore. 8. Già annunziato nellÂÂAntico Testamento, il comandamento dellÂÂamore fraterno, esteso a tutti gli uomini, costituisce così la norma suprema della vita sociale. (7) Non vi sono discriminazioni o limiti che possano opporsi al riconoscimento di ogni uomo come il prossimo. (8) 9. La povertà per il Regno è magnificata. E nella figura del Povero, noi siamo portati a riconoscere lÂÂimmagine e come la presenza misteriosa del Figlio di Dio che si è fatto povero per amore nostro. (9) Questo è il fondamento delle parole inestinguibili di Gesù sul Giudizio in Mt 25,31-46. Nostro Signore è solidale con ogni infelicità; ogni angoscia è segnata dalla sua presenza. 10. Allo stesso tempo, le esigenze della giustizia e della misericordia, già enunciate nellÂÂAntico Testamento, sono approfondite al punto da rivestire, nel Nuovo Testamento, un nuovo significato. Coloro che soffrono o sono perseguitati vengono identificati col Cristo. (10) La perfezione che Gesù chiede ai suoi discepoli (Mt 5,18) consiste nel dovere di essere misericordiosi ÂÂcome è misericordioso il Padre vostroÂÂ (Lc 6,36). 11. I ricchi sono severamente richiamati al loro dovere proprio alla luce della vocazione cristiana allÂÂamore fraterno e alla misericordia. (11) Di fronte ai disordini della Chiesa di Corinto, S. Paolo sottolinea con forza il legame esistente tra la partecipazione al sacramento dellÂÂamore e la condivisione con il fratello che si trova in necessità. (12) 12. La Rivelazione del Nuovo Testamento ci insegna che il peccato è il male più profondo, che lede lÂÂuomo nellÂÂintimo della sua personalità. La prima liberazione, alla quale tutte le altre devono riferirsi, è quella dal peccato. 13. Indubbiamente è proprio per sottolineare il carattere radicale della liberazione operata dal Cristo e offerta a tutti gli uomini - siano essi politicamente liberi o schiavi - che il Nuovo Testamento non esige innanzi tutto, come presupposto per lÂÂaccesso a questa libertà, un cambiamento di condizione politica e sociale. Tuttavia, la Lettera a Filemone dimostra che la nuova libertà, apportata dalla grazia di Cristo, deve avere necessariamente delle ripercussioni sul piano sociale. 14. Di conseguenza non si può restringere il campo del peccato, il cui primo effetto è quello di introdurre il disordine nella relazione tra lÂÂuomo e Dio, al cosiddetto ÂÂpeccato socialeÂÂ. In realtà solo una retta dottrina sul peccato permette dÂÂinsistere sulla gravità dei suoi effetti sociali. 15. Neppure è possibile localizzare il male principalmente e unicamente nelle cattive ÂÂstruttureÂÂ economiche, sociali o politiche, come se tutti gli altri mali trovassero in esse la loro causa, sicché la creazione di un ÂÂuomo nuovoÂÂ dipenderebbe dallÂÂinstaurazione di diverse strutture economiche e socio-politiche. Certamente esistono strutture ingiuste e generatrici di ingiustizia, che occorre avere il coraggio di cambiare. Frutto dellÂÂazione dellÂÂuomo, le strutture, buone o cattive, sono delle conseguenze prima di essere delle cause. La radice del male risiede dunque nelle persone libere e responsabili, che devono essere convertite dalla grazia di Gesù Cristo, per vivere e agire come creature nuove, nellÂÂamore del prossimo, nella ricerca efficace della giustizia, nella padronanza di se stesse e nellÂÂesercizio delle virtù. (13) Ponendo come primo imperativo la rivoluzione radicale dei rapporti sociali e criticando, per questo, la ricerca della perfezione personale, ci si mette sulla via della negazione del significato della persona e della sua trascendenza, e si distrugge lÂÂetica e il suo fondamento che è il carattere assoluto della distinzione tra il bene e il male. Per altro, poiché la carità è il principio della perfezione autentica, questa non può essere concepita senza lÂÂapertura agli altri e senza lo spirito di servizio.
V. La voce del Magistero 1. A più riprese, per rispondere alla sfida lanciata alla nostra epoca dallÂÂoppressione e dalla fame, il Magistero della Chiesa, desideroso di promuovere il risveglio delle coscienze cristiane al senso della giustizia, della responsabilità sociale e della solidarietà verso i poveri e gli oppressi, ha richiamato lÂÂattualità e lÂÂurgenza della dottrina e degli imperativi contenuti nella Rivelazione. 2. Limitiamoci qui a ricordare solo alcuni di questi interventi: gli atti pontifici più recenti, quali la Mater et Magistra e la Pacem in terris, la Populorum progressio e la Evangelii nuntiandi. Ricordiamo inoltre la lettera al Cardinal Roy, Octogesima adveniens. 3. Il Concilio Vaticano II, a sua volta, ha affrontato le questioni della giustizia e della libertà nella costituzione pastorale Gaudium et spes. 4. Il Santo Padre ha insistito più volte su questi temi, soprattutto nelle encicliche Redemptor hominis, Dives in misericordia e Laborem exercens. I numerosi interventi nei quali è richiamata la dottrina dei diritti dellÂÂuomo toccano direttamente i problemi della liberazione della persona umana in riferimento ai diversi tipi di oppressione di cui essa è vittima. A questo proposito si deve menzionare specialmente il Discorso pronunciato davanti alla 36ª Assemblea generale dellÂÂONU, il 2 ottobre 1979. (14) Il 28 gennaio dello stesso anno, Giovanni Paolo II, aprendo la 3ª Conferenza del CELAM a Puebla, aveva ricordato che la verità completa sullÂÂuomo è la base della vera liberazione. (15) Questo testo costituisce un documento di riferimento esplicito per la teologia della liberazione. 5. Per due volte, nel 1971 e nel 1974, il Sinodo dei Vescovi ha affrontato dei temi che toccano direttamente la concezione cristiana della liberazione: quello della giustizia nel mondo e quello del rapporto tra la liberazione dalle oppressioni e la liberazione integrale o la salvezza dellÂÂuomo. I lavori dei Sinodi del 1971 e dei 1974 hanno consentito a Paolo VI di precisare nellÂÂesortazione apostolica Evangelii nuntiandi i legami tra lÂÂevangelizzazione e la liberazione o promozione umana. (16) 6. La preoccupazione della Chiesa per la liberazione e la promozione umana si è espressa inoltre nella costituzione della Commissione Pontificia Iustitia et Pax. 7. Anche numerosi episcopati, in accordo con la Santa Sede, hanno richiamato lÂÂurgenza e le vie verso unÂÂautentica liberazione umana. In questo contesto, è opportuno fare una menzione speciale dei documenti delle Conferenze generali dellÂÂepiscopato latino-americano a Medellin nel 1968 e a Puebla nel 1979. Paolo VI era presente allÂÂapertura di Medellin, Giovanni Paolo II a quella di Puebla. Sia lÂÂuno che lÂÂaltro vi hanno affrontato il tema della conversione e della liberazione. 8. Sulla linea di Paolo VI, che insisteva sulla specificità del messaggio evangelico, (17) specificità che deriva dalla sua origine divina, Giovanni Paolo II, nel discorso a Puebla ha ricordato quali sono i tre pilastri sui quali deve poggiare ogni autentica teologia della liberazione: verità su Gesù Cristo, verità sulla Chiesa, verità sullÂÂuomo. (18)
VI. Una nuova interpretazione del cristianesimo 1. Non si può dimenticare la mole immensa di attività disinteressata svolta dai cristiani, pastori, sacerdoti, religiosi o laici, i quali spinti dallÂÂamore verso i fratelli che vivono in condizioni disumane, si sforzano di portare aiuto e sollievo alle innumerevoli indigenze frutto della miseria. Alcuni di essi si preoccupano di trovare dei mezzi efficaci che permettano di porre fine al più presto ad una situazione intollerabile. 2. Lo zelo e la compassione che devono abitare nel cuore di tutti i pastori rischiano, tuttavia, di essere fuorviati e rivolti verso iniziative altrettanto rovinose per lÂÂuomo e la sua dignità, quanto la miseria che si combatte, se non si è sufficientemente attenti di fronte a certe tentazioni. 3. Infatti il sentimento angoscioso dellÂÂurgenza dei problemi non deve far perdere di vista ciò che è essenziale, né far dimenticare la risposta di Gesù al Tentatore (Mt 4,4): ÂÂNon di solo pane vive lÂÂuomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di DioÂÂ (cf. Dt 8,3). Così alcuni, di fronte allÂÂurgenza di condividere il pane, sono tentati di dimenticare e rinviare al domani lÂÂevangelizzazione: prima il pane, e poi la Parola. È un errore fondamentale separare, anzi contrapporre le due cose. DÂÂaltra parte, il senso cristiano suggerisce spontaneamente a molti di fare lÂÂuna e lÂÂaltra. (19) 4. Ad alcuni sembra addirittura che la lotta necessaria per la giustizia e la libertà dellÂÂuomo, intese nel loro senso economico e politico, costituisca lÂÂaspetto essenziale ed esclusivo della salvezza. Per essi il Vangelo si riduce ad un vangelo puramente terrestre. 5. Le diverse teologie della liberazione si diversificano appunto, da una parte in base allÂÂopzione preferenziale per i poveri riaffermata con forza e senza ambiguità, dopo Medellin, alla Conferenza di Puebla (20) e dallÂÂaltra parte in base alla tentazione di ridurre il Vangelo della salvezza ad un vangelo terrestre. 6. Ricordiamo tuttavia che lÂÂopzione preferenziale definita a Puebla è duplice: per i poveri e per i giovani (21). È significativo che in generale lÂÂopzione per la gioventù sia completamente passata sotto silenzio. 7. Abbiamo detto sopra (cf. IV, 3) che esiste unÂÂautentica ÂÂteologia della liberazioneÂÂ, quella che è radicata nella Parola di Dio, debitamente interpretata. 8. Ma da un punto di vista descrittivo conviene parlare di teologie della liberazione, poiché lÂÂespressione si applica a posizioni teologiche, e talvolta perfino ideologiche, non solo diverse, ma spesso anche incompatibili tra di loro. 9. Nel presente documento si tratterà soltanto di quelle espressioni di questa corrente di pensiero che, sotto il nome di ÂÂteologia della liberazioneÂÂ, propongono unÂÂinterpretazione innovatrice del contenuto della fede e dellÂÂesistenza cristiana, che si discosta gravemente dalla fede della Chiesa, anzi, ne costituisce la negazione pratica. 10. Alla base della nuova interpretazione, che finisce per corrompere ciò che aveva di autentico lÂÂiniziale impegno per i poveri, sta lÂÂassunzione non critica di elementi dellÂÂideologia marxista e il ricorso alle tesi di unÂÂermeneutica biblica viziata di razionalismo.
VII. LÂÂanalisi marxista 1. LÂÂimpazienza e la volontà di essere efficaci hanno condotto alcuni cristiani, sfiduciati nei confronti di ogni altro metodo, a rivolgersi a quella che essi chiamano ÂÂlÂÂanalisi marxistaÂÂ. 2. Il loro ragionamento è il seguente: una situazione intollerabile ed esplosiva esige unÂÂazione efficace che non può più attendere. Ma tale azione efficace presuppone unÂÂanalisi scientifica delle cause strutturali della miseria. Ora il marxismo ha elaborato gli strumenti per una simile analisi. Basta dunque applicarli alla situazione del terzo mondo, e specialmente a quella dellÂÂAmerica Latina. 3. Che la conoscenza scientifica della situazione e delle possibili vie di trasformazione sociale sia il presupposto di unÂÂazione capace di raggiungere gli scopi prefissi, è evidente. Si ha qui un segno della serietà dellÂÂimpegno. 4. Ma il termine ÂÂscientificoÂÂ esercita un fascino quasi mitico, e non tutto ciò che porta lÂÂetichetta di scientifico è, per ciò stesso, realmente scientifico. Per questo lÂÂadozione di un metodo di approccio alla realtà deve essere preceduto da un esame critico di natura epistemologica. Tale esame critico previo manca in più di una ÂÂteologia della liberazioneÂÂ. 5. Nelle scienze umane e sociali è necessario prima di tutto essere attenti alla pluralità dei metodi e dei punti di vista, ciascuno dei quali mette in evidenza solo un aspetto di una realtà che, per la sua complessità, sfugge ad una spiegazione unitaria ed univoca. 6. Nel caso del marxismo, quale allÂÂoccorrenza sÂÂintenda utilizzare, la critica previa si impone, tanto più che il pensiero di Marx costituisce una concezione totalizzante del mondo, nella quale numerosi dati di osservazione e di analisi descrittiva sono integrati in una struttura filosofico-ideologica, che predeterminano il significato e lÂÂimportanza relativa che si riconosce loro. Gli a priori ideologici sono presupposti alla lettura della realtà sociale. Così la dissociazione degli elementi eterogenei che compongono questo amalgama epistemologicamente ibrido diventa impossibile, per cui mentre si crede di accettare solo ciò che si presenta come unÂÂanalisi, si è trascinati ad accettare nello stesso tempo lÂÂideologia. Per questo non di rado sono proprio gli aspetti ideologici che predominano negli elementi che numerosi ÂÂteologi della liberazioneÂÂ mutuano da autori marxisti. 7. Il richiamo di Paolo VI resta pienamente attuale anche oggi: allÂÂinterno del marxismo, quale è concretamente vissuto, si possono distinguere diversi aspetti e diversi problemi che si pongono ai cristiani per la riflessione e per lÂÂazione. Tuttavia ÂÂsarebbe illusorio e pericoloso giungere a dimenticare lÂÂintimo legame che tali aspetti radicalmente unisce, accettare gli elementi dellÂÂanalisi marxista senza riconoscere i loro rapporti con lÂÂideologia, entrare nella prassi della lotta di classe e della sua interpretazione marxista trascurando di avvertire il tipo di società totalitaria e violenta alla quale questo processo conduceÂÂ. (22) 8. È vero che il pensiero marxista fin dai suoi inizi, ma in maniera più accentuata in questi ultimi anni, si è diversificato per dare vita a varie correnti che divergono considerevolmente le une dalle altre. Nella misura in cui restano realmente marxiste, queste correnti continuano a ricollegarsi ad un certo numero di tesi fondamentali incompatibili con la concezione cristiana dellÂÂuomo e della società. In questo contesto certe formule non sono neutre, ma conservano il significato che hanno ricevuto nella dottrina marxista originale. Ciò vale anche per la ÂÂlotta di classeÂÂ. Questa espressione risente ancora dellÂÂinterpretazione che le ha dato Marx, e pertanto non può essere considerata come lÂÂequivalente, di portata empirica, dellÂÂespressione ÂÂacuto conflitto socialeÂÂ. Pertanto coloro che si servono di formule del genere, con la pretesa di conservare soltanto alcuni elementi dellÂÂanalisi marxista, che però sarebbe rifiutata nella sua globalità, quanto meno ingenerano una grave ambiguità nellÂÂanimo dei loro lettori. 9. Ricordiamo che lÂÂateismo e la negazione della persona umana, della sua libertà e dei suoi diritti, sono centrali nella concezione marxista. Questa contiene dunque degli errori che minacciano direttamente le verità di fede sul destino eterno delle persone. Inoltre, voler integrare alla teologia unÂÂÂÂanalisiÂÂ, i cui criteri di interpretazione dipendono da tale concezione atea, significa rinchiudersi in contraddizioni rovinose. Per di più, il disconoscimento della natura spirituale della persona porta a subordinare totalmente questÂÂultima alla collettività e a negare, così, i principi di una vita sociale e politica conforme alla dignità umana. 10. LÂÂesame critico dei metodi di analisi mutuati da altre discipline si impone in maniera del tutto particolare al teologo. È la luce della fede che fornisce alla teologia i suoi principi. Perciò lÂÂutilizzazione da parte del teologo degli apporti della filosofia o delle scienze umane ha un valore ÂÂstrumentaleÂÂ e deve essere oggetto di un discernimento critico di natura teologica. In altre parole, il criterio ultimo e decisivo di verità non può essere, in ultima analisi, che un criterio esso stesso teologico. È alla luce della fede, e di ciò che essa ci insegna sulla verità dellÂÂuomo e sul significato ultimo del suo destino, che si deve giudicare della validità o del grado di validità di ciò che le altre discipline propongono, spesso dÂÂaltronde in maniera congetturale, come verità sullÂÂuomo, sulla sua storia e sul suo destino. 11. LÂÂapplicazione degli schemi dÂÂinterpretazione mutuati dalla corrente di pensiero marxista alla realtà economica, sociale e politica di oggi può presentare a prima vista una certa verosimiglianza, in quanto la situazione di certi paesi offre alcune analogie con quella descritta e interpretata da Marx nella metà del secolo scorso. Sulla base di queste analogie si fanno delle semplificazioni, che facendo astrazione dai fattori essenziali specifici, di fatto impediscono unÂÂanalisi veramente rigorosa delle cause della miseria, e ingenerano confusione. 12. In certe regioni dellÂÂAmerica Latina lÂÂaccaparramento della maggior parte delle ricchezze ad opera di una oligarchia di proprietari priva di coscienza sociale, la quasi assenza o le carenze dello Stato di diritto, le dittature militari sprezzanti dei diritti elementari dellÂÂuomo, la corruzione di certi dirigenti al potere, le pratiche selvagge di un certo capitale di origine straniera, costituiscono altrettanti fattori che alimentano un violento sentimento di rivolta in coloro che si considerano così le vittime impotenti di un nuovo colonialismo di ordine tecnologico, finanziario, monetario o economico. La presa di coscienza delle ingiustizie si accompagna ad un pathos che spesso mutua dal marxismo il suo linguaggio, presentato abusivamente come se fosse un linguaggio ÂÂscientificoÂÂ. 13. La prima condizione di unÂÂanalisi è la totale docilità nei confronti della realtà da descrivere. Per questo lÂÂuso delle ipotesi di lavoro adottate deve essere accompagnato da una coscienza critica. Occorre sapere che queste corrispondono ad un particolare punto di vista, il che comporta la conseguenza inevitabile di sottolineare unilateralmente certi aspetti della realtà, mentre se ne lasciano altri nellÂÂombra. Questo limite, che deriva dalla natura stessa delle scienze sociali, è ignorato da coloro che, a moÂÂ di ipotesi riconosciute come tali, ricorrono ad una concezione totalizzante quale è il pensiero di Marx.
VIII. Sovvertimento del senso della verità e della violenza 1. Questa concezione totalizzante impone anche la sua logica e trascina le ÂÂteologie della liberazioneÂÂ ad accettare un insieme di posizioni incompatibili con la visione cristiana dellÂÂuomo. In realtà, il nucleo ideologico, mutuato dal marxismo, al quale ci si riferisce, esercita la funzione di principio determinante. Questo ruolo gli è conferito grazie alla qualificazione di scientifico, cioè di necessariamente vero, che gli viene attribuito. In questo nucleo si possono distinguere diverse componenti. 2. Nella logica del pensiero marxista, ÂÂlÂÂanalisiÂÂ non è dissociabile dalla prassi e dalla concezione della storia cui questa prassi è legata. LÂÂanalisi è così uno strumento di critica e la critica stessa non è che un momento della lotta rivoluzionaria, cioè della lotta di classe del Proletariato investito della sua missione storica. 3. Di conseguenza solo chi partecipa a questa lotta può operare unÂÂanalisi corretta. 4. La coscienza vera è dunque una coscienza di parte. Come si vede, è qui chiamata in causa la stessa concezione della verità, la quale è inoltre completamente sovvertita: la verità - si pretende - si trova solo nella e mediante la prassi di parte. 5. La prassi, e la verità che ne deriva, sono prassi e verità partigiane, poiché la struttura fondamentale della storia è contrassegnata dalla lotta delle classi. Di qui la necessità di entrare nella lotta delle classi (che è il contrario dialettico del rapporto di sfruttamento che si denuncia). La verità è verità di classe, e la verità si trova soltanto nella lotta della classe rivoluzionaria. 6. La legge fondamentale della storia, che è poi la legge della lotta delle classi, implica che la società è fondata sulla violenza. Alla violenza che costituisce il rapporto di dominio dei ricchi sui poveri dovrà rispondere la contro-violenza rivoluzionaria con la quale questo rapporto sarà capovolto. 7. La lotta delle classi è dunque presentata come una legge oggettiva, necessaria. Entrando nel suo processo, dalla parte degli oppressi, si ÂÂfaÂÂ la verità, si agisce ÂÂscientificamenteÂÂ. Di conseguenza, la concezione della verità va di pari passo con lÂÂaffermazione della necessità della violenza, e quindi con quella dellÂÂamoralismo politico. In questa prospettiva non ha più nessun senso il riferimento ad esigenze etiche che impongono riforme strutturali e istituzionali radicali e coraggiose. 8. La legge fondamentale della lotta delle classi ha un carattere di globalità e di universalità. Essa si riflette in tutti i campi dellÂÂesistenza, religiosi, etici, culturali e istituzionali. Rispetto a questa legge nessuno di questi campi è autonomo. In ciascuno essa costituisce lÂÂelemento determinante. 9. Proprio per il ricorso a queste tesi di origine marxista viene messa radicalmente in causa la natura stessa dellÂÂetica. Infatti, nellÂÂottica della lotta di classe viene implicitamente negato il carattere trascendente della distinzione tra il bene e il male, principio della moralità.
IX. Interpretazione ÂÂteologicaÂÂ di questo nucleo 1. Le posizioni, di cui qui si parla, si trovano talvolta chiaramente enunciate in certi scritti dei ÂÂteologi della liberazioneÂÂ. Presso altri esse derivano logicamente dalle loro premesse. Altrove esse sono presupposte in certe pratiche liturgiche, come ad esempio nellÂÂÂÂEucarestiaÂÂ trasformata in celebrazione del popolo in lotta, anche se coloro che partecipano a tali pratiche non ne sono pienamente coscienti. Viene, dunque, proposto un vero sistema, anche se taluni esitano a seguirne fino in fondo la logica. Come tale, questo sistema è una perversione del messaggio cristiano affidato da Dio alla sua Chiesa. Questo messaggio si trova perciò rimesso in causa nella sua globalità dalle ÂÂteologie della liberazioneÂÂ. 2. Ciò che è assunto come principio da queste ÂÂteologie della liberazioneÂÂ non è il fatto delle stratificazioni sociali con le disuguaglianze e le ingiustizie che comporta, ma la teoria della lotta di classe come legge strutturale fondamentale della storia. Se ne trae la conclusione che la lotta di classe così intesa divide la Chiesa stessa e che è necessario giudicare le realtà ecclesiali in funzione di essa. Si pretende inoltre che lÂÂaffermazione secondo cui lÂÂamore, nella sua universalità, può vincere ciò che costituisce la principale legge strutturale della società capitalista, significa nutrire, in mala fede, unÂÂillusione fallace. 3. In questa concezione la lotta delle classi è il motore della storia. La storia diventa così una nozione centrale. Si arriva ad affermare che Dio si fa storia. E si aggiunge che vi è una sola storia, nella quale non si deve più distinguere tra storia della salvezza e storia profana. Mantenere la distinzione significherebbe cadere nel ÂÂdualismoÂÂ. Simili affermazioni riflettono un immanentismo storicista. In questo modo si tende a identificare il Regno di Dio e il suo divenire con il movimento della liberazione umana e a fare della storia stessa il soggetto del suo proprio sviluppo come processo di auto-redenzione dellÂÂuomo mediante la lotta di classe. Questa identificazione è in opposizione alla fede della Chiesa richiamata dal Concilio Vaticano II. (23) 4. In questa linea alcuni giungono perfino ad identificare, al limite, Dio stesso e la storia e a definire la fede come ÂÂfedeltà alla storiaÂÂ, il che significa fedeltà impegnata in una prassi politica conforme alla concezione del divenire dellÂÂumanità inteso nel senso di un messianismo puramente temporale. 5. Di conseguenza, la fede, la speranza e la carità ricevono un nuovo contenuto: esse sono ÂÂfedeltà alla storiaÂÂ, ÂÂfiducia nel futuroÂÂ, ÂÂopzione per i poveriÂÂ. Ciò equivale ad una negazione della loro realtà teologale. 6. Da questa concezione deriva inevitabilmente una politicizzazione radicale delle affermazioni della fede e dei giudizi teologici. Non si tratta più soltanto di attirare lÂÂattenzione sulle conseguenze e le incidenze politiche delle verità di fede, che sarebbero rispettate nel loro valore trascendente. Si tratta piuttosto di un subordinamento di ogni affermazione della fede o della teologia ad un criterio politico, esso stesso dipendente dalla teoria della lotta di classe, motore della storia. 7. Di conseguenza, si presenta lÂÂinserimento nella lotta di classe come unÂÂesigenza della carità stessa; si denuncia come un atteggiamento rinunciatario e contrario allÂÂamore dei poveri la volontà di amare fin da questo momento ogni uomo, qualunque sia la sua appartenenza di classe, e di andargli incontro per le vie non violente del dialogo e della persuasione. Anche se non si afferma che deve essere oggetto di odio, si afferma tuttavia che a causa della sua appartenenza oggettiva al mondo dei ricchi, egli è per ciò stesso un nemico di classe che deve essere combattuto. Quindi, lÂÂuniversalità dellÂÂamore del prossimo e la fraternità diventano un principio escatologico, che vale soltanto per ÂÂlÂÂuomo nuovoÂÂ che nascerà dalla rivoluzione vittoriosa. 8. Quanto alla Chiesa, si tende a considerarla una realtà interna alla storia, che obbedisce anchÂÂessa alle leggi ritenute determinanti per il divenire storico nella sua immanenza. Tale riduzione svuota la realtà specifica della Chiesa, dono della grazia di Dio e mistero di fede. Inoltre, si nega che abbia un senso la partecipazione alla stessa mensa eucaristica di cristiani che pure appartengono a classi opposte. 9. Nel suo significato positivo la Chiesa dei poveri significa la preferenza, senza esclusivismi, data ai poveri intesi in tutte le forme della miseria umana, perché essi sono preferiti da Dio. LÂÂespressione significa inoltre la presa di coscienza del nostro tempo delle esigenze della povertà evangelica, sia da parte della Chiesa come comunione e come istituzione, sia da parte dei suoi membri. 10. Ma le ÂÂteologie della liberazioneÂÂ, che pure hanno il merito di avere ridato importanza ai grandi testi dei profeti e del Vangelo sulla difesa dei poveri, procedono ad un pericoloso amalgama tra il povero della Scrittura e il proletariato di Marx. In questo modo il significato cristiano del povero è sovvertito e la lotta per i diritti dei poveri si trasforma in lotta di classe nella prospettiva ideologica della lotta delle classi. La Chiesa dei poveri significa allora una Chiesa di classe, che ha preso coscienza della necessità della lotta rivoluzionaria come tappa verso la liberazione e che celebra questa liberazione nella sua liturgia. 11. UnÂÂanaloga osservazione si deve fare a proposito dellÂÂespressione Chiesa del popolo. Dal punto di vista pastorale, si possono intendere con essa i destinatari prioritari dellÂÂevangelizzazione, coloro verso i quali, per la loro condizione, si rivolge innanzi tutto lÂÂamore pastorale della Chiesa. Ci si può anche riferire alla Chiesa come ÂÂpopolo di DioÂÂ, cioè come popolo della Nuova Alleanza stipulata nel Cristo. (24) 12. Ma le ÂÂteologie della liberazioneÂÂ, di cui stiamo parlando, per Chiesa del popolo intendono una Chiesa di classe, la Chiesa del popolo oppresso che occorre ÂÂcoscientizzareÂÂ in vista della lotta liberatrice organizzata. Per alcuni il popolo così inteso diventa perfino oggetto della fede. 13. Da una simile concezione della Chiesa del popolo si sviluppa una critica delle stesse strutture della Chiesa. Non si tratta soltanto di una correzione fraterna nei confronti dei pastori della Chiesa, il cui comportamento non riflette lo spirito evangelico di servizio e si attiene a espressioni anacronistiche di autorità che scandalizzano i poveri. È anche messa in causa la struttura sacramentale e gerarchica della Chiesa, quale lÂÂha voluta il Signore stesso. Nella gerarchia e nel Magistero si denunciano i rappresentanti effettivi della classe dominante che è necessario combattere. Dal punto di vista teologico, questa posizione sta a dire che il popolo è la sorgente dei ministeri e che esso può, dunque, scegliersi i propri ministri, in base alle necessità della sua storica missione rivoluzionaria.
X. Una nuova ermeneutica 1. La concezione di parte della verità che si manifesta nella prassi rivoluzionaria di classe rafforza questa posizione. I teologi che non condividono le tesi della ÂÂteologia della liberazioneÂÂ, la gerarchia e soprattutto il Magistero romano sono così screditati a priori, come appartenenti alla classe degli oppressori. La loro teologia è una teologia di classe. Le loro argomentazioni e i loro insegnamenti non devono perciò essere esaminati in se stessi, poiché non fanno che riflettere degli interessi di classe. Quindi la loro parola è dichiarata falsa per principio. 2. Qui si manifesta il carattere globale e totalizzante della ÂÂteologia della liberazioneÂÂ. Di conseguenza, essa deve essere criticata non per questa o per quella delle sue affermazioni, ma a livello del punto di vista di classe che essa adotta a priori e che funge in essa come principio ermeneutico determinante. 3. A causa di questo presupposto classista, risulta estremamente difficile, per non dire impossibile, ottenere da certi ÂÂteologi della liberazioneÂÂ un vero dialogo, nel quale lÂÂinterlocutore sia ascoltato e i suoi argomenti vengano discussi con obiettività e attenzione. Infatti questi teologi, più o meno inconsciamente, partono dal presupposto che solo il punto di vista della classe oppressa e rivoluzionaria, che sarebbe il loro, costituisce il punto di vista della verità. Così i criteri teologici di verità si trovano relativizzati e subordinati agli imperativi della lotta di classe. In questa prospettiva, allÂÂortodossia come retta norma della fede si sostituisce lÂÂortoprassi come criteri di verità. A questo proposito non si dovrebbe confondere lÂÂorientamento pratico, proprio anchÂÂesso della teologia tradizionale e allo stesso titolo dellÂÂorientamento speculativo, con il primato privilegiato riconosciuto ad un certo tipo di prassi. In realtà, questÂÂultima è la prassi rivoluzionaria che diverrebbe così il criterio supremo della verità teologica. Una sana metodologia teologica tiene senzÂÂaltro conto della prassi della Chiesa e vi trova uno dei suoi fondamenti, ma perché essa deriva dalla fede e ne è lÂÂespressione vissuta. 4. La dottrina sociale della Chiesa è respinta con disprezzo. Essa procede, si dice, dallÂÂillusione di un possibile compromesso, propria delle classi medie che sono senza destino storico. 5. La nuova ermeneutica, caratteristica delle ÂÂteologie della liberazioneÂÂ, conduce ad una rilettura essenzialmente politica della Scrittura. Per questo viene accordata unÂÂimportanza particolare allÂÂevento dellÂÂEsodo, in quanto esso è liberazione dalla schiavitù politica. Si propone inoltre una lettura politica del Magnificat. Lo sbaglio non sta nel prestare attenzione ad una dimensione politica dei racconti biblici; sta nel fare di questa dimensione la dimensione principale ed esclusiva, che conduce ad una lettura riduttiva della Scrittura. 6. Inoltre ci si pone nella prospettiva di un messianismo temporale, che è una delle espressioni più radicali della secolarizzazione del Regno di Dio e del suo assorbimento nellÂÂimmanenza della storia umana. 7. Privilegiando in questa maniera la dimensione politica, si è portati a negare la radicale novità del Nuovo Testamento e, prima di tutto, a misconoscere la persona di Nostro Signore Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, come pure il carattere specifico della liberazione che egli ci porta, che è soprattutto liberazione dal peccato, sorgente di tutti i mali. 8. Inoltre, mettendo da parte lÂÂinterpretazione autentica del Magistero, respinta come interpretazione di classe, ci si allontana anche dalla Tradizione. In questo modo ci si priva di un essenziale criterio teologico dÂÂinterpretazione e, nel vuoto che ne deriva, si accolgono le tesi più radicali dellÂÂesegesi razionalista. Si riprende così, senza spirito critico, lÂÂopposizione tra il ÂÂGesù della storiaÂÂ e il ÂÂGesù della fedeÂÂ. 9. Certamente viene conservata la lettera delle formule della fede, e in particolare quella di Calcedonia, ma si attribuisce loro un nuovo significato, che equivale ad una negazione della fede della Chiesa. Da una parte si respinge la dottrina cristologica trasmessa dalla Tradizione, in nome del criterio di classe; dallÂÂaltra però si pretende di raggiungere il ÂÂGesù della storiaÂÂ, partendo dallÂÂesperienza rivoluzionaria della lotta dei poveri per la loro liberazione. 10. Si pretende inoltre di rivivere unÂÂesperienza analoga a quella che sarebbe stata di Gesù. LÂÂesperienza dei poveri in lotta per la loro liberazione, che sarebbe stata quella di Gesù, rivelerebbe quindi, e solo essa, la conoscenza del vero Dio e del Regno. 11. È evidente che in tal modo viene negata la fede nel Verbo incarnato, morto e risorto per tutti gli uomini, e ÂÂcostituito da Dio Signore e CristoÂÂ. (25) Gli si sostituisce una ÂÂfiguraÂÂ di Gesù che è una specie di simbolo che riassume in sé le esigenze della lotta degli oppressi. 12. La morte di Cristo subisce così unÂÂinterpretazione esclusivamente politica. E pertanto si nega il suo valore salvifico e tutta lÂÂeconomia della redenzione. 13. In conclusione la nuova interpretazione comprende lÂÂinsieme del mistero cristiano. 14. In generale, essa opera quella che si potrebbe chiamare unÂÂinversione di simboli. Così, invece di vedere con S. Paolo nellÂÂEsodo una figura del battesimo, (26) si sarà portati, al limite, a farne un simbolo della liberazione politica del popolo. 15. Poiché lo stesso criterio ermeneutico è applicato alla vita ecclesiale e alla costituzione gerarchica della Chiesa, i rapporti tra la gerarchia e la ÂÂbaseÂÂ diventano rapporti di dominio che obbediscono alla legge della lotta di classe. Viene semplicemente ignorata la sacramentalità che sta alla base dei ministeri ecclesiali e che fa della Chiesa una realtà spirituale irriducibile ad unÂÂanalisi puramente sociologica. 16. LÂÂinversione dei simboli si constata anche nel campo dei sacramenti. Infatti lÂÂEucarestia non è più compresa nella sua verità di presenza sacramentale del sacrificio di riconciliazione e come il dono del Corpo e del Sangue di Cristo. Essa diventa celebrazione del popolo nella sua lotta. Di conseguenza è negata radicalmente lÂÂunità della Chiesa. LÂÂunità, la riconciliazione, la comunione nellÂÂamore non sono più intesi come un dono che riceviamo da Cristo. (27) LÂÂunità sarà costruita dalla classe storica dei poveri mediante la sua lotta. La lotta di classe è la via verso questa unità. E così lÂÂEucarestia diventa Eucarestia di classe. Nello stesso tempo viene negata la forza trionfante dellÂÂamore di Dio che ci è donato.
XI. Orientamenti 1. Il richiamo contro le gravi deviazioni, di cui sono portatrici talune ÂÂteologie della liberazioneÂÂ, non deve assolutamente essere interpretato come unÂÂapprovazione, neppure indiretta, di coloro che contribuiscono al mantenimento della miseria dei popoli, di coloro che ne approfittano e di coloro che questa miseria lascia rassegnati o indifferenti. La Chiesa, guidata dal Vangelo della misericordia e dallÂÂamore dellÂÂuomo, ascolta il grido che invoca giustizia (28) e vuole rispondervi con tutte le sue forze. 2. Pertanto è rivolto alla Chiesa un appello quanto mai impegnativo. Con audacia e coraggio, con chiaroveggenza e prudenza, con zelo e forza dÂÂanimo, con un amore verso i poveri che si spinge fino al sacrificio, i pastori, come del resto già molti fanno, dovranno considerare come un compito prioritario la risposta a questo appello. 3. Tutti coloro che - sacerdoti, religiosi e laici - udendo il grido che invoca giustizia, vogliono lavorare per lÂÂevangelizzazione e la promozione umana, dovranno farlo in comunione con i loro Vescovi e con la Chiesa, ciascuno secondo la propria specifica vocazione ecclesiale. 4. Coscienti del carattere ecclesiale della loro vocazione, i teologi collaboreranno, con lealtà e in spirito di dialogo, con il Magistero della Chiesa. Essi sapranno riconoscere nel Magistero un dono di Cristo alla sua Chiesa (29) e ne accoglieranno la parola e le direttive con rispetto filiale. 5. Solo partendo dalla missione evangelizzatrice intesa nella sua integralità si possono comprendere le esigenze di una promozione umana e di una liberazione autentica. Questa liberazione ha come pilastri indispensabili la verità su Gesù Cristo, il Salvatore, la verità sulla Chiesa, la verità sullÂÂuomo e sulla sua dignità. (30) La Chiesa che vuole essere nel mondo intero la Chiesa dei poveri, intende servire la nobile lotta per la verità e per la giustizia, alla luce delle Beatitudini, e soprattutto della beatitudine dei poveri di spirito. Essa si rivolge a ciascun uomo e, per questa ragione, a tutti gli uomini. Essa è ÂÂla Chiesa universale. La Chiesa dellÂÂincarnazione. Non è la Chiesa di una classe o di una casta soltanto. Essa parla in nome della verità stessa. Questa verità è realistaÂÂ. Essa insegna a tener conto ÂÂdi ogni realtà umana, di ogni ingiustizia, di ogni tensione, di ogni lottaÂÂ. (31) 6. Una difesa efficace della giustizia deve appoggiarsi sulla verità dellÂÂuomo, creato ad immagine di Dio e chiamato alla grazia della filiazione divina. Il riconoscimento del vero rapporto dellÂÂuomo con Dio costituisce il fondamento della giustizia, in quanto essa regola i rapporti tra gli uomini. Per questo motivo la lotta per i diritti dellÂÂuomo, che la Chiesa continuamente richiama, costituisce lÂÂautentica lotta per la giustizia. 7. La verità dellÂÂuomo esige che questa lotta sia condotta con mezzi conformi alla dignità umana. Per questo deve essere condannato il ricordo sistematico e deliberato alla violenza cieca, da qualsiasi parte venga. (32) Affidarsi ai mezzi violenti nella speranza di instaurare una maggiore giustizia significa essere vittime di unÂÂillusione mortale. La violenza genera violenza e degrada lÂÂuomo. Essa ferisce la dignità dellÂÂuomo nella persona delle vittime e avvilisce questa stessa dignità in coloro che la praticano. 8. LÂÂurgenza di riforme radicali delle strutture che ingenerano la miseria e costituiscono in se stesse delle forme di violenza non deve far perdere di vista che la sorgente delle ingiustizie risiede nel cuore degli uomini. Quindi soltanto facendo appello alle capacità etiche della persona e alla continua necessità di conversione interiore si otterranno dei cambiamenti sociali che saranno veramente al servizio dellÂÂuomo. (33) Infatti man mano che collaboreranno liberamente, di propria iniziativa e solidarmente, per questi cambiamenti necessari, gli uomini, risvegliati al senso della loro responsabilità si realizzeranno sempre più come uomini. Tale capovolgimento tra moralità e strutture è pregnante di una antropologia materialista incompatibile con la verità sullÂÂuomo. 9. Quindi è unÂÂillusione mortale anche credere che delle nuove strutture daranno vita, per se stesse, ad un ÂÂuomo nuovoÂÂ, nel senso della verità dellÂÂuomo. Il cristiano non può dimenticare che la sorgente di ogni vera novità è lo Spirito Santo, che ci è stato dato, e che il signore della storia è Dio. 10. Così pure, il rovesciamento delle strutture generatrici dÂÂingiustizia mediante la violenza rivoluzionaria non è ipso facto lÂÂinizio dellÂÂinstaurazione di un regime giusto. Tutti coloro che vogliono sinceramente la vera liberazione dei loro fratelli devono riflettere su un fatto di grande rilevanza del nostro tempo. Milioni di nostri contemporanei aspirano legittimamente a ritrovare le libertà fondamentali di cui sono privati da parte dei regimi totalitari e atei che si sono impadroniti del potere per vie rivoluzionarie e violente, proprio in nome della liberazione del popolo. Non si può ignorare questa vergogna del nostro tempo: proprio con la pretesa di portare loro la libertà, si mantengono intere nazioni in condizioni di schiavitù indegne dellÂÂuomo. Coloro che, forse per incoscienza, si rendono complici di simili asservimenti tradiscono i poveri che intendono servire. 11. La lotta di classe come via verso una società senza classi è un mito che blocca le riforme e aggrava la miseria e le ingiustizie. Coloro che si lasciano affascinare da questo mito dovrebbero riflettere sulle amare esperienze storiche alle quali esso ha condotto. Comprenderebbero allora che non si tratta di abbandonare un modo efficace di lotta in favore dei poveri per un ideale utopico. Si tratta, al contrario, di liberarsi di un miraggio per appoggiarsi sul Vangelo e sulla sua forza di trasformazione. 12. Una delle condizioni per il necessario ritorno alla retta teologia è la rivalutazione dellÂÂinsegnamento sociale della Chiesa. Questo insegnamento non è per niente chiuso, ma, al contrario, è aperto a tutti i nuovi problemi che non mancano di porsi nel corso del tempo. In questa prospettiva, è indispensabile oggi il contributo dei teologi e dei pensatori di tutte le parti del mondo alla riflessione della Chiesa. 13. Così pure, per la riflessione dottrinale e pastorale della Chiesa è necessaria lÂÂesperienza di coloro che lavorano direttamente allÂÂevangelizzazione e promozione dei poveri e degli oppressi. In questo senso occorre dire che si prende coscienza di alcuni aspetti della verità a partire dalla prassi, se per prassi si intendono una prassi pastorale e una prassi sociale che restano di ispirazione evangelica. 14. LÂÂinsegnamento della Chiesa in materia sociale fornisce i grandi orientamenti etici. Ma perché possa guidare direttamente lÂÂazione, esso esige delle personalità competenti sia dal punto di vista scientifico e tecnico, che nel campo delle scienze umane e della politica. I pastori dovranno essere attenti alla formazione di tali personalità competenti, che vivano profondamente il Vangelo. I laici, il cui compito specifico è di costruire la società, vi sono coinvolti in maniera particolare. 15. Le tesi delle ÂÂteologie della liberazioneÂÂ sono largamente diffuse, sotto forma ancora semplificata, in circoli di formazione o nei gruppi di base, che mancano di preparazione catechetica e teologica. Per questo sono accettate, senza la possibilità di un giudizio critico, da uomini e donne generosi. 16. Per questo i Pastori devono vigilare sulla qualità e sul contenuto della catechesi e della formazione, che deve sempre presentare la integralità del messaggio della salvezza e gli imperativi della vera liberazione dellÂÂuomo nel quadro di questo messaggio integrale. 17. In questa presentazione integrale del mistero cristiano sarà opportuno mettere lÂÂaccento sugli aspetti essenziali che le ÂÂteologie della liberazioneÂÂ tendono in particolar modo a misconoscere o a eliminare: trascendenza e gratuità della liberazione in Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, sovranità della sua grazia, vera natura dei mezzi di salvezza, specialmente della Chiesa e dei sacramenti. Si dovranno richiamare il vero significato dellÂÂetica, per la quale non può essere relativizzata la distinzione tra il bene e il male, il senso autentico del peccato, la necessità della conversione e lÂÂuniversalità della legge dellÂÂamore fraterno. Si metterà in guardia contro una politicizzazione dellÂÂesistenza, che misconoscendo tanto la specificità del Regno di Dio, quanto la trascendenza della persona, finisce per sacralizzare la politica e per sfruttare la religiosità del popolo in favore di iniziative rivoluzionarie. 18. I difensori della ÂÂortodossiaÂÂ sono talvolta rimproverati di passività, di indulgenza o di complicità colpevoli nei confronti delle intollerabili situazioni di ingiustizia e dei regimi politici che mantengono tali situazioni. Si richiede da parte di tutti, e specialmente da parte dei pastori e dei responsabili la conversione spirituale, lÂÂintensità dellÂÂamore di Dio e del prossimo, lo zelo per la giustizia e la pace, il senso evangelico dei poveri e della povertà. La preoccupazione della purezza della fede non deve essere disgiunta dalla preoccupazione di dare, mediante una vita teologale integrale, la risposta di unÂÂefficace testimonianza di servizio del prossimo, e in modo tutto particolare del povero e dellÂÂoppresso. Mediante la testimonianza della loro forza di amare, dinamica e costruttiva, i cristiani getteranno così le basi di quella ÂÂciviltà dellÂÂamoreÂÂ, di cui ha parlato, dopo Paolo VI, la Conferenza di Puebla. (34) Del resto sono numerosi coloro che - sacerdoti, religiosi o laici - si consacrano in maniera veramente evangelica alla creazione di una società giusta.
Conclusione Le parole di Paolo VI nella Professione di fede del popolo di Dio, esprimono con piena chiarezza la fede della Chiesa, dalla quale non ci si può allontanare senza provocare, insieme ai danni spirituali, nuove miserie e nuove schiavitù. ÂÂNoi confessiamo che il Regno di Dio, cominciato quaggiù nella Chiesa di Cristo, ÂÂnon è di questo mondoÂÂ, ÂÂla cui figura passaÂÂ; e che la sua vera crescita non può essere confusa con il progresso della civiltà, della scienza e della tecnica umane, ma consiste nel conoscere sempre più profondamente le imperscrutabili ricchezze di Cristo, nello sperare sempre più fortemente i beni eterni, nel rispondere sempre più ardentemente allÂÂamore di Dio, e nel dispensare sempre più abbondantemente la grazia e la santità tra gli uomini. Ma è questo stesso amore che porta la Chiesa a preoccuparsi costantemente del vero bene temporale degli uomini. Mentre non cessa di ricordare ai suoi figli che essi "non hanno quaggiù stabile dimora", essa li spinge anche a contribuire - ciascuno secondo la propria vocazione e i propri mezzi - al bene della loro città terrena, a promuovere la giustizia, la pace e la fratellanza tra gli uomini, a prodigare il loro aiuto ai propri fratelli, soprattutto ai più poveri e ai più bisognosi. LÂÂintensa sollecitudine della Chiesa, sposa di Cristo, per le necessità degli uomini, per le loro gioie e le loro speranze, i loro sforzi e i loro travagli, non è quindi altra cosa che il suo grande desiderio di esser loro presente per illuminarli con la luce di Cristo e adunarli tutti in lui, unico loro salvatore. Tale sollecitudine non può mai significare che la Chiesa conformi se stessa alle cose di questo mondo, o che diminuisca lÂÂardore dellÂÂattesa del suo Signore e del regno eterno". (35) Il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, nel corso dellÂÂUdienza concessa al sottoscritto Cardinale Prefetto, ha approvato la presente Istruzione, decisa nella riunione ordinaria di questa S. Congregazione, e ne ha ordinato la pubblicazione.
Roma, dalla Sede della S. Congregazione per la Dottrina della Fede, il 6 agosto 1984, nella festa della Trasfigurazione del Signore Ioseph Card. Ratzinger,
Alberto Bovone,
(1) Cf. Gaudium et spes, n. 4. (2) Cf. Dei Verbum, n. 10. (3) Cf. Gal 5, 1 ss. (4) Cf. Es 24. (5) Cf. Ger 31, 31-34, Ez 36, 26 ss. (6) Cf. Sof 3, 12 ss. (7) Cf. Dt 10, 18-19. (8) Cf. Lc 10, 25-37. (9) Cf. 2 Cor 8, 9. (10) Cf. Mt 25, 31-46; At 9, 4-5; Col 1, 24. (11) Cf. Gc 5, 1 ss. (12) Cf. 1 Cor 11, 17-34. (13) Cf. Gc 2, 14-26. (14) Cf. AAS 71 (1979) 1144-1160. (15) Cf. AAS 71 (1979) 196. (16) Cf. Evangelii nuntiandi, nn. 25-33; AAS 68 (1976) 23-28. (17) Cf. Evangelii nuntiandi, n. 32; AAS 68 (1976) 27. (18) Cf. AAS 71 (1979) 188-196. (19) Cf. Gaudium et spes, n. 39; Pio XI, Quadragesimo anno; AAS 23 (1931) 207. (20) Cf. nn. 1134-1165 e nn. 1166-1205. (21) Cf. Doc. di Puebla, IV, 2. (22) Cf. Paolo VI, Octogesima adveniens, n. 34; AAS 63 (1971) 424-425. (23) Cf. Lumen gentium, nn. 9-17. (24) Cf. Gaudium et spes, n. 39. (25) Cf. At 2, 36. (26) Cf. 1 Cor 10, 1-2. (27) Cf. Ef 2, 11-22. (28) Cf. Doc. di Puebla, I, III, n. 3.3. (29) Cf. Lc 10, 16. (30) Cf. Giovanni Paolo II, Discorso di apertura della Conferenza di Puebla: AAS 71 (1979) 188-196; Doc. di Puebla, II, 1. (31) Cf. Giovanni Paolo II, Discorso alla Favela "Vidigal" a Rio de Janeiro, 2 luglio 1980: AAS 72 (1980) 852-858. (32) Cf. Doc. di Puebla, II, II, n. 5.4. (33) Cf. Doc. di Puebla, IV, 3, n. 3.3. (34) Cf. Doc. di Puebla, IV, 2, n. 2.4. (35) Paolo VI, Professione di fede del popolo di Dio, 30 giugno 1968: AAS 60 (1968) 443-444.
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