| Card. Victor Manuel FernándezPrefetto del 
Dicastero per la Dottrina della Fede
 La vera pacenel pensiero di Papa Francesco
   Lectio magistralis di Sua Emm.za Víctor M. Card. Fernándeznel conferimento del Premio Internazionale Bonifacio VIII
 Anagni, 2 dicembre 2023.
   Sono molto lieto di conoscere questa storica città di Anagni, ma innanzitutto 
sono grato del conferimento del Premio internazionale Bonifacio VIII. Lo 
interpreto come un riconoscimento a Papa Francesco, dato che io sono interamente 
dedito al suo servizio. Infatti, lui è non soltanto un uomo di grande pace in 
mezzo a qualsiasi difficoltà ma è anche un maestro e un artigiano di pace.  Ringrazio allora l’Accademia Bonifaciana nelle persone di Sua Eccellenza Mons. 
Enrico dal Covolo e del Professore Don Massimo Naro, che presiedono il Comitato 
scientifico, e del Rettore presidente Dottore Sante De Angelis. Parliamo di pace. Tante volte si parla di pace, ed è certamente un grande 
desiderio del cuore umano, in mezzo al tumulto e alle paure di questa vita. Gli 
psicologi si riferiscono spesso a due tendenze che si alternano, si avvicendano 
nel cuore umano: a volte vogliamo vivere intensamente, anche se questo significa 
sfide e problemi, ma altre volte vogliamo qualcosa di molto diverso: 
semplicemente la pace, solo un po' di pace nel cuore. Papa Francesco ha offerto una ricca riflessione sulla pace nei suoi tre grandi 
documenti, che sono 
Evangelii gaudium, 
Laudato si' e
Fratelli tutti.
 La pace personale Sulla pace personale, interiore, ci ha dato qualche consiglio nell'enciclica 
Laudato si', sulla cura della casa comune. Perché in questo contesto? Perché 
lui crede che uno stile di vita ansioso, irrequieto, sempre attento alle novità 
del mercato, sempre ossessionato dal consumo, finisca per rompere i nostri 
rapporti con il mondo creato, e infine ci metta in guerra con gli altri. Infondo 
ci mette contro la realtà stessa che ci appare ostile perché ci nega sempre 
qualcosa di ciò che vogliamo. Papa Francesco afferma che oggi più che essere 
umani ci sono consumatori, e "in questa confusione, l'umanità postmoderna non ha 
trovato una nuova comprensione di sé stessa che possa orientarla, e questa 
mancanza di identità si vive con angoscia " (LS 203). Il nodo non è in realtà il 
consumo in se stesso, ma il malessere interiore, quell’inquietudine senza nome 
che tentiamo vanamente di risolvere col consumo. Senza uno sviluppo umano e spirituale delle persone, che sono diventate incapaci 
di pace interiore, c'è solo un vuoto profondo che ci porta a cercare di riempire 
e calmare il nostro desiderio con acquisti, beni, possedimenti: "Più il cuore della persona è vuoto, più ha bisogno di oggetti da 
comprare, possedere e consumare" (LS 204).  Tuttavia, possiamo continuare a confidare nella capacità del cuore umano di 
guarire, di cambiare, di maturare. Ogni persona può ancora avere fiducia in se 
stessa, perché dentro ognuno ci sono molte riserve di bene, si può sempre 
riprovare, è sempre possibile ricominciare, si può sempre superare l'angoscia o 
la paura e ritrovare la pace. Francisco insiste sul fatto che "non tutto è 
perduto, perché gli esseri umani, capaci di degradarsi fino all'estremo, possono 
anche superarsi, ritornare a scegliere il bene e rigenerarsi, al di là di 
qualsiasi condizionamento psicologico e sociale che venga loro imposto. Sono 
capaci di guardare se stessi con onestà, di far emergere il proprio disgusto e 
di intraprendere nuove strade verso la vera libertà" (LS 205).  Per i credenti questa possibilità è ancora più certa, perché confidiamo 
nell'aiuto della grazia di Dio che è in grado di agire anche in quegli angoli 
della nostra interiorità dove nessun altro può arrivare. Riconoscere la propria dignità Per incoraggiare questo cambiamento di vita, Francesco va al centro: si rivolge 
alla dignità di ognuno: “A ogni persona di questo mondo chiedo di non 
dimenticare questa sua dignità che nessuno ha diritto di toglierle” (LS 205). Se 
sei stato sfruttato, se sei stato umiliato, se sei stato deluso, niente di tutto 
questo ha il diritto di rovinarti la vita, di toglierti la dignità, di rubarti 
la pace.  La chiave si trova in questo riconoscimento della propria dignità che ti 
permette di tenere la testa alta e andare avanti, qualunque cosa accada. Così, 
in mezzo alle tempeste, si può mantenere la pace interiore e non lasciarsi 
sconfiggere.  Perché la pace non è uno stato psicologico. Gli stati psicologici cambiano 
costantemente a causa di problemi, urgenze, paure legate alla salute e persino 
di ciò che si è mangiato. Quando un veicolo investe un bambino e la madre corre 
ad aiutarlo, è impossibile che ci sia una calma psicologica. Al contrario, il 
corpo stesso scatena una serie di meccanismi affinché possa agire con urgenza ed 
energia. Non c'è calma. Ma è possibile la pace anche in mezzo a tali contesti di 
necessario tumulto? Sì, proprio perché la pace è un'altra cosa, al di là degli 
stati d'animo e delle situazioni psichiche.  È una sicurezza interiore, una fermezza che si ha perché ci si sente fermi nella 
propria dignità, nella propria dignità come essere umani. Per un credente, 
questo si basa sulla certezza di essere infinitamente amato da Dio, un amore che 
è la fonte della propria dignità, e che lo porterà avanti in ogni caso, accada 
quel che accada. È interessante notare come Papa Francesco insista sull'immensa dignità di ogni 
persona, ma una nota del suo pensiero è che spesso aggiunge una frase: "al di là 
di ogni circostanza". La mia dignità personale di essere umano non potrà mai 
essere cancellata o annullata, è e sarà vera al di là di ogni circostanza. 
Quindi, se sono disabile, questo non toglie nulla alla mia dignità, se sono nato 
in Africa non toglie nulla alla mia immensa dignità, se sono maschio o femmina 
non cambia nulla. Permettetemi di leggere, a titolo di esempio, alcune frasi 
dell'enciclica 
Fratelli tutti: “Si riscontrano numerose contraddizioni che inducono a chiederci se davvero 
l’eguale dignità di tutti gli esseri umani, solennemente proclamata 70 anni or 
sono, sia riconosciuta, rispettata, protetta e promossa in ogni circostanza!
(FT 22). "Ogni essere umano ha diritto a vivere con dignità [...] Ognuno lo possiede, 
anche se è poco efficiente, anche se è nato o cresciuto con delle limitazioni; 
infatti, ciò non sminuisce la sua immensa dignità di persona umana, che non 
si fonda sulle circostanze bensì sul valore del suo essere» (FT 107). “Ogni essere umano possiede una dignità inalienabile è una verità corrispondente 
alla natura umana al di là di qualsiasi cambiamento culturale. Perciò 
l’essere umano possiede la medesima dignità inviolabile in qualunque epoca 
storica e nessuno può sentirsi autorizzato dalle circostanze a negare 
questa convinzione o a non agire di conseguenza” (FT 213). Allora è chiaro: al di là di ogni circostanza. Guardate che questo porta un 
messaggio per ognuno di noi: riconosci la tua dignità, nessuno te la può 
togliere, tu alza la testa perché hai un valore immenso. Allora, anche se ti 
hanno trattato male, se ti sei svegliato di cattivo umore, se la salute non va 
bene, riconosci la tua dignità e sperimenta la pace interiore che ne consegue. 
Non cercare quella pace fuori. Una vita indegna Ma anche se tutti e sempre abbiamo questa dignità ontologica, che per i credenti 
è infinita, perché infinito è l’amore di Dio che la sostiene, succede che la 
nostra vita avvolte non è degna. Cioè, non viviamo in sintonia con la nostra 
dignità. E questo ci toglie la vera pace. Per questa ragione, Francesco invita 
ad un cambiamento dello stile di vita, non chiusi nei propri bisogni, ma come 
persone dal cuore libero. Di nuovo, il problema non sarebbe esattamente il 
consumo, ma in questo caso un modo ansioso di attaccarti alle cose che non ti 
permette neanche di goderle in pace. Il Santo Padre lo esprime così: “La spiritualità cristiana propone un modo alternativo di intendere la qualità 
della vita, e incoraggia uno stile di vita profetico e contemplativo, capace di 
gioire profondamente senza essere ossessionati […] Rendersi presenti serenamente 
davanti ad ogni realtà, per quanto piccola possa essere, ci apre molte più 
possibilità di comprensione e di realizzazione personale. La spiritualità 
cristiana propone una crescita nella sobrietà e una capacità di godere con poco. 
È un ritorno alla semplicità” (LS 222). Un ritorno alla semplicità. E sappiamo che questo stile di vita il Papa 
l’insegna con l’esempio. Non dobbiamo confondere questa sobrietà con il 
sacrificio o l'ascetismo. Piuttosto, è uno stile di vita che ci insegna a 
goderci di più la vita, anche a viverla ancora più intensamente. Potrebbe non 
essere la via d'uscita più rapida, ma porta a un diverso tipo di felicità, a una 
pace più duratura. Francesco dice che “non è meno vita, non è bassa intensità, 
ma esattamente il contrario. Infatti, quelli che gustano di più la vita e vivono 
meglio ogni momento sono coloro che smettono di beccare qua e là, cercando 
sempre quello che non hanno, e diventano capaci di sperimentare ciò che 
significa apprezzare ogni persona e ogni cosa, imparano a familiarizzare con le 
realtà più semplici e ne sanno godere. In questo modo riescono a ridurre i 
bisogni insoddisfatti e diminuiscono la stanchezza e l’ansia” (LS 223). Ma come si può vivere con quella sobrietà che ci libera se non si è in pace con 
se stessi? Francesco insiste che “nessuna persona può maturare in una felice 
sobrietà se non è in pace con sé stessa. E parte di un’adeguata comprensione 
della spiritualità consiste nell’allargare la nostra comprensione della pace, 
che è molto più dell’assenza di guerra […] La natura è piena di parole d’amore, 
ma come potremo ascoltarle in mezzo al rumore costante, alla distrazione 
permanente e ansiosa, o al culto dell’apparire? Molte persone sperimentano un 
profondo squilibrio che le spinge a fare le cose a tutta velocità per sentirsi 
occupate, in una fretta costante che a sua volta le porta a travolgere tutto ciò 
che hanno intorno a sé” (LS 225). Non riescono a “rendersi presenti serenamente 
davanti ad ogni realtà” (LS 222).  Solo riconoscendo ed amando la propria dignità possiamo imparare un nuovo 
rapporto con la realtà, e così essere in pace col mondo esterno, con quello che 
ci circonda. Riconoscendo la propria dignità, soprattutto se scopriamo di essere 
infinitamente amati, non abbiamo bisogno di cose ne di riconoscimenti ne di 
successi per sentirci degni. Solo in questo modo impariamo a sostare davanti 
alla realtà che ci circonda, alla bellezza del mondo, agli altri: cioè, 
impariamo a fermare la nostra corsa per essere serenamente attenti. Dice 
Francesco che “stiamo parlando di un atteggiamento del cuore, che vive tutto con 
serena attenzione, che sa rimanere pienamente presente davanti a qualcuno senza 
stare a pensare a ciò che viene dopo, che si consegna ad ogni momento come dono 
divino da vivere in pienezza” (LS 226). Riconoscere la propria dignità ed essere 
così in pace con noi stessi, ci riconcilia con quello che sta al di fuori di 
noi, e la smettiamo di correre, di scappare. La pace sociale Per questa ragione, chi riconosce la propria dignità e vive in sintona con essa, 
è portatore di pace. Infatti, chi si sente stabile nella sua dignità, non ha 
bisogno di vendicarsi, è capace di comprendere le debolezze altrui, può 
perdonare ed andare avanti senza lasciarsi intrappolare da una spirale di 
violenza, sa godersi la vita senza necessità di invidiare o di far soffrire gli 
altri. Al contrario, forte e saldo in questa sicurezza interiore, egli è in 
grado di uscire da se stesso per pensare al bene degli altri. Infatti, dice 
Francesco: “È sempre possibile sviluppare una nuova capacità di uscire da sé 
stessi verso l’altro […] L’atteggiamento fondamentale di auto-trascendersi, 
infrangendo la coscienza isolata e l’autoreferenzialità, è la radice che rende 
possibile ogni cura per gli altri” (LS 208). Vediamo che a questo punto non parliamo solo di una pace in senso esistenziale, 
ma più legata al senso sociale, alla sfida della pace per la società e per il 
mondo. C'è un'ossessione di Francesco chiamata "pace sociale". Quando, nell'Evangelii gaudium, ha parlato della dimensione sociale dell'annuncio cristiano, l'ha 
riassunta in due temi, due colonne: la promozione dei poveri e la pace sociale. 
Per Francesco, avere un senso sociale implica sempre prendersi cura della pace 
sociale. Ma su questo punto ci invita ad andare fino in fondo. E ci spiega che “la pace sociale non può essere intesa come irenismo o come una mera assenza di 
violenza ottenuta mediante l’imposizione di una parte sopra le altre. Sarebbe 
parimenti una falsa pace quella che servisse come scusa per giustificare 
un’organizzazione sociale che metta a tacere o tranquillizzi i più poveri, in 
modo che quelli che godono dei maggiori benefici possano mantenere il loro stile 
di vita senza scosse mentre gli altri sopravvivono come possono […] La dignità 
della persona umana e il bene comune stanno al di sopra della tranquillità di 
alcuni che non vogliono rinunciare ai loro privilegi […] In definitiva, una pace 
che non sorga come frutto dello sviluppo integrale di tutti, non avrà nemmeno 
futuro e sarà sempre seme di nuovi conflitti e di varie forme di violenza” (EG 218-219). Perché ci sia pace si tratta di diventare un popolo, “in una pluriforme 
armonia” (EG 220). È un lavoro paziente, “a lunga scadenza, senza l’ossessione 
dei risultati immediati” (EG 223). E qui appare uno dei grandi principi di Francesco, che indica che “il tempo è 
superiore allo spazio”, e “significa occuparsi di iniziare processi più che di 
possedere spazi” (FT 223). Si tratta di creare con pazienza nuovi dinamismi di 
pace. Questa pace sociale non si costruisce a prescindere dai conflitti, cercando di 
nasconderli: "Il conflitto non può essere ignorato o dissimulato. Dev'essere 
accettato" (EG 226). Ma è bene riconoscere che ci sono due atteggiamenti che non 
ci permettono di superare il conflitto: uno sarebbe ignorarlo, dimenticarlo, 
negarlo. Un altro sarebbe entrare in guerra con tutti. Ma vi è “un terzo 
modo, il più adeguato, di porsi di fronte al conflitto. È accettare di 
sopportare il conflitto, risolverlo e trasformarlo in un anello di collegamento 
di un nuovo processo […] la risoluzione su di un piano superiore che conserva in 
sé le preziose potenzialità delle polarità in contrasto” (EG 227-228). Una cultura La sua ultima enciclica, 
Fratelli tutti, ha ripreso e sviluppato il tema 
della pace sociale in due capitoli. Era la sua proposta verso la fine della 
pandemia, invitando a una rinascita dell'umanità nella fratellanza universale, 
un appello che non è stato certo accolto né ascoltato perché il mondo è andato 
proprio nella direzione opposta di un'ulteriore disgregazione.  In 
Fratelli tutti sviluppa quella che chiama la "cultura dell'incontro", 
e ne spiega il significato: “La parola cultura indica qualcosa che è 
penetrato nel popolo, nelle sue convinzioni più profonde e nel suo stile di 
vita. Se parliamo di una cultura nel popolo, ciò è più di un’idea o di 
un’astrazione. Comprende i desideri, l’entusiasmo e in definitiva un modo di 
vivere che caratterizza quel gruppo umano. Dunque, parlare di cultura 
dell’incontro significa che, come popolo, ci appassiona il volerci 
incontrare, il cercare punti di contatto, gettare ponti, progettare qualcosa che 
coinvolga tutti” (FT 216). È un desiderio che ci spinge dalle viscere.  Nei due capitoli dedicati alla pace sociale, pone una forte enfasi sulla 
necessità di coltivare un tipo di società che includa tutti, che armonizzi le 
differenze, che non lasci fuori nessuno. Allora non possiamo pensare che 
Francesco stesse proponendo un consenso tra i puri, santi, esemplari. Lui dice 
invece che “ciò non si ottiene mettendo insieme solo i puri, perché persino le 
persone che possono essere criticate per i loro errori hanno qualcosa da 
apportare che non deve andare perduto” (FT 217). Guardate: anche quelli che 
hanno commesso errori possiedono qualcosa da offrire. Sarebbe il contrario della cultura della “cancellazione”. Il vero obiettivo Comunque, questo cammino comporta la guarigione delle ferite del passato, la 
ricerca della riconciliazione nella società: “In molte parti del mondo occorrono 
percorsi di pace che conducano a rimarginare le ferite” (FT 225). Non si tratta 
di tornare a un passato ideale, ma di costruire insieme un futuro nuovo che ci 
contenga e ci promuova tutti. Guardate con quale profondità e concretezza lo 
spiega Francesco:  “Col tempo tutti siamo cambiati. Il dolore e le contrapposizioni ci hanno 
trasformato. Inoltre, non c’è più spazio per diplomazie vuote, per 
dissimulazioni, discorsi doppi, occultamenti, buone maniere che nascondono la 
realtà. Quanti si sono confrontati duramente si parlano a partire dalla verità, 
chiara e nuda. Hanno bisogno di imparare ad esercitare una memoria penitenziale, 
capace di assumere il passato per liberare il futuro” (FT 226). Papa Francesco insiste sul non confondere l'obiettivo di questo cammino di 
riconciliazione, che sarà sempre qualcosa di nuovo, una nuova sintesi, diversa 
da quello che le parti in conflitto possono desiderare. Allora, non può mai 
essere l'imposizione di un certo modello culturale e deve sempre trovare 
finalità comuni: “Il percorso verso la pace non richiede di omogeneizzare la 
società, ma sicuramente ci permette di lavorare insieme” (FT 228).  Appartenenza e patto culturale Ma dietro questo sforzo, ciò che più conta è che c'è qualcosa di fondamentale 
che unisce tutti: un senso di appartenenza: (FT 216) per cui tutti ci 
consideriamo parte della medesima famiglia, società o Paese, che sentiamo nostro 
come accade durante i Mondiali di calcio: “Infatti, la nostra società vince 
quando ogni persona, ogni gruppo sociale, si sente veramente a casa” (FT 230). 
 Invece, dice Francesco che “quando la società – locale, nazionale o mondiale – 
abbandona nella periferia una parte di sé, non vi saranno programmi politici, né 
forze dell’ordine o di intelligence che possano assicurare 
illimitatamente la tranquillità. Se si tratta di ricominciare, sarà sempre a 
partire dagli ultimi” (FT 235).   Nasce così quello che Francesco chiama un "patto culturale" (FT 219), cioè non 
solo un patto sociale che riconosce i bisogni e i diritti di tutti, ma anche un 
patto "culturale". Che ci dice di nuovo un patto “culturale”? Il riconoscimento 
che in una società e in un Paese ci sono "culture" diverse e legittime, come 
vediamo pure in Italia. Possiamo e dobbiamo essere diversi, perché l’unità che 
ne derivi non sia omogenea, ma ricca, variegata, colorita, dipinta da modi 
diversi di essere, di lavorare, di parlare, di affrontare la vita, di celebrare, 
di sognare. Non c’è bisogno di creare una Padania. Possiamo essere diversi, ma 
insieme, aiutandoci a vicenda per tirare fuori il meglio di noi stessi. E lo 
stesso all’ interno di ogni città. Con questa proposta, Francesco riprende l'idea di una "cultura" dell'incontro, o 
di una sensibilità dell'incontro che si fa cultura e che “tende a formare 
quel poliedro che ha molte facce, moltissimi lati, ma tutti compongono un’unità 
ricca di sfumature, perché il tutto è superiore alla parte” (FT 215). In altre 
parole, Francesco dice che sarà una “diversità riconciliata” (EG 230). È un lavoro di tutti, perché “c’è una “architettura” della pace, nella quale 
intervengono le varie istituzioni della società, ciascuna secondo la propria 
competenza, però c’è anche un “artigianato” della pace che ci coinvolge tutti” 
(FT 231), ognuno diventando fonte di pace, o almeno chiedendo, come san 
Francesco d’Assisi: “Signore, fa di me uno strumento della tua pace”.   |