Card. Victor Manuel Fernández Prefetto del
Dicastero per la Dottrina della Fede
Omelia per l’ordinazione episcopale
di Mons. John Kennedy e Mons. Philippe Curbelié
Cari fratelli (ordinandi), tocca a voi succedere agli Apostoli di Gesù Cristo,
sì, a quelli che hanno lasciato le reti per seguirlo, a quelli che hanno
camminato con lui lungo il lago di Galilea, a quelli che hanno commesso degli
errori e tuttavia hanno dato alla luce la Chiesa, a coloro che erano così
disorientati nella passione, ma che erano così felici e pieni di entusiasmo nel
vederlo risorto.
È giunto oggi il vostro turno di entrare in questa successione apostolica, Lo
fate in un particolare momento della storia, molto diverso da tutti i
precedenti. Tutto è cambiato in un ritmo vertiginoso, con una velocità mai vista
prima, e questi cambiamenti colpiscono in modo particolare la Chiesa, che non
sempre sa come reagire in tempo.
Paradossalmente si parla ancora della forza della Chiesa, o del suo potere, in
un’epoca in cui percepiamo la nostra fragilità e i nostri limiti mai come prima
d’ora. Non abbiamo modo di controllare ciò che si dice di noi, non sappiamo come
difenderci, non abbiamo risorse per tante cose che dobbiamo fare, i conti in
molti luoghi sono in rosso, non abbiamo riserve per molto tempo per coprire le
enormi contingenze che ci si possono presentare e in vari luoghi ci sono
processi inarrestabili di abbandono della fede, che a volte ci colgono alla
sprovvista.
La nostra parola nella società è un’altra tra le tante. Allo stesso tempo,
guardando alla storia della Chiesa, siamo consapevoli di molte fragilità ed
errori commessi. E qual è il problema? Il Vangelo ci ha appena detto: “Voi
sapete che i governanti delle nazioni dominano su di esse e i capi le opprimono.
Tra voi non sarà così”. Usciamo fuori dalla logica del potere e dell’apparenza.
Tuttavia, in nessun modo ci sentiamo inutili o senza entusiasmo. Al contrario.
Perché?
Molte persone riconoscono di non avere pace, percepiscono che la vita che
conducono non è buona, che hanno bisogno di una forza interiore, che questo
mondo chiuso li soffoca. Le proposte del mondo sono esaurite in se stesse. C’è
bisogno della luce di Cristo. Poi, in tanti luoghi i cristiani, illuminati dalla
grazia, testimoniano la gioia della fede. la speranza, la generosità, il
servizio ai poveri, la vicinanza agli ultimi.
E allora sentiamo rivolte a noi le parole della Scrittura: “Lo spirito del
Signore Dio è su di me, perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione; mi ha
mandato a portare il lieto annuncio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori
spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei
prigionieri” (Is 61,1).
Questo è il nostro potere, questa è la nostra gloria. E se non rivendichiamo un
altro tipo di potere, allora siamo davvero liberi, per vivere aggrappati solo
all’amore di Dio, alla gioia di Gesù, al desiderio di vivere e comunicare il suo
Vangelo, piccoli come siamo, ma infinitamente amati dal suo immenso cuore.
Carissimi John e Philippe, ciò che accade in questo rito di ordinazione
episcopale non è una mera questione di mitre e di incenso, di glorie mondane o
di potere umano. Si tratta semplicemente di essere ricettivi al dono dello
Spirito Santo che si effonde questa sera; è lasciarsi afferrare e benedire da
lui.
Con il dono che viene effuso questa sera, ognuno di voi approfondisce la propria
appartenenza a Gesù Cristo. Grazie a questa ordinazione episcopale, ognuno di
voi sarà più intimamente di Cristo, ancor di più suo, suo. Come abbiamo
ascoltato nella seconda lettura: “l’amore del Cristo ci possiede” (2 Cor 5, 14).
Cristo è il mio Signore, la mia vita, la mia forza, la mia speranza, il mio
bene, la mia verità, la mia ricchezza, la mia gioia, la mia pace, il mio amore,
il padrone della mia vita, l’amico, la luce del mio cammino. Non i miei
progetti, ma Cristo, non i miei bisogni, ma Cristo, non la mia immagine sociale,
ma Cristo, non la mia comodità, non la mia fama, ma Cristo.
Per questo deve esserci sempre sulle nostre labbra l’assillo del primo annuncio:
un Dio che ama, un Cristo che salva, un Cristo che vive veramente. E
quell’annuncio finirà per permeare tutto ciò che dirò, con la santa ossessione
di provocare un’esperienza, quella dell’incontro con il Cristo vivente, che ogni
giorno ama e salva. E allora sarete in grado di dire come Pietro: “Non possiedo
né argento né oro, ma quello che ho te lo do: Gesù Cristo” (cf. At 3, 6).
Quando si arriva al momento dell’ordinazione, che è una consacrazione
definitiva, si è soliti ricordare la propria storia con Gesù: i segni del suo
amore nella propria infanzia (a Dublin, a Portet, a Toulouse), la vita in
parrocchia, gli incontri intensi con Cristo, la prima comunione, la cresima,
l’inizio della formazione, alcune riconciliazioni con il Signore, le esperienze
vissute nei ritiri. È una storia d’amore che oggi raggiunge un culmine.
E in questo particolare momento non contano poi così tanto gli stati d’animo, la
concentrazione mentale, il benessere psico-fisico. Niente di tutto questo può
racchiudere l’enorme mistero d’amore che si sta realizzando oggi nella vostra
vita, la potenza dell’amore divino che in questo momento vuole abbracciarvi e
consacrarvi.
Ciò che conta è che il Cristo vivente si faccia presente, vi prenda con sé e vi
unisca a Lui in un modo nuovo e definitivo. D’ora in poi, quindi, i vostri gesti
diventano gli stessi gesti di Cristo per gli altri, le vostre parole, le stesse
parole di Cristo per coloro che incontrerete sul vostro cammino.
Proprio per questo, da oggi in poi dovrete essere ancora di più un dono per gli
altri. In che modo?
Non bisogna essere ossessionati nel pensare chissà a quali gesti o azioni
bisogna aggiungere domani o lunedì prossimo, perché l’Ordine Sacro è un dono del
Signore. Allora, per la grazia dell’ordine, tutti i vostri gesti vengono
trasfigurati e diventano strumento di benedizione. Gli stessi sforzi, le stesse
azioni, lo stesso servizio che svolgete qui nella Curia Romana, si trasfigurano
e acquistano una nuova e misteriosa efficacia.
Questo sarà ancora più bello ed incisivo se permettiamo alla grazia divina di
trasformare il nostro sguardo, il modo con cui guardiamo gli altri, secondo
quello stile di cui abbiamo appena ascoltato nel monito paolino: “non guardiamo
più nessuno alla maniera umana” (2 Cor 5, 16).
L’ordinazione del Vescovo è al tempo stesso un fidanzamento con la Chiesa,
un’alleanza d’amore, con cui voi rafforzate più che mai i vostri legami con
tutta la Chiesa, in modo che ogni sofferenza della Chiesa sia la vostra, ogni
umiliazione di essa sia la vostra. Non potrete separarvi e dire: “Oh, non è cosa
mia. Io sono diverso”. No, perché non siete ordinati per mostrarvi voi, per
salvarvi, per dimostrare che siete diversi da quella Chiesa di peccatori. No.
Siete ordinati perché le sorti della Chiesa siano le vostre.
Cristo ha detto che la Chiesa è la sua sposa prediletta, per questo ve l’affida.
Se avete accettato di essere vescovi, il prendervi cura della Chiesa sarà la
vostra preoccupazione primaria, a qualunque costo. Perché Cristo vi ha detto:
questa è la mia amata sposa.
E voi siete ordinati perché Papa Francesco ve l’ha proposto, e vi ha scelti
perché lo accompagniate nel cammino che lui ha tracciato nella
Evangelii
gaudium, quello di tornare al cuore del Vangelo, di ricerca dell’essenziale,
di fervore missionario e di senso sociale.
Possa in questo giorno lo Spirito Santo rafforzare la vostra fiducia. Ne avrete
bisogno, perché Sant’Agostino ha detto bene che l’episcopato è un peso, è
pesante (“episcopalis sarcina”). E se lo era allora, lo è ancora di più
ora. È impossibile avere tutto sotto controllo, tutto chiuso in una confezione
perfetta, tutto ordinato e assicurato, ma bisogna possedere anche una buona dose
di incertezza e di umiltà. Soffriamo la fatica, i colpi, i fallimenti, ma
sappiamo per certo che Dio ha abbastanza potenza e misericordia per trarne anche
dai mali un po’ di bene, per aiutarci a ricominciare, per farci imparare a
vivere meglio.
Ma non è forse questa la vita dei lavoratori? La preoccupazione di chi non sa se
il mese prossimo avrà un lavoro, di chi non sa se si potrà arrivare con i soldi
a fine mese, di chi teme per i propri figli vedendoli uscire per strada, di chi
non sa come fare per aiutare i propri cari quando si ammalano, quando sono
tristi o arrabbiati? Spesso si smette di essere dei piagnucoloni quando si
inizia a guardare i fardelli dei nostri laici.
Per alleggerire il peso è necessario fidarsi e chiedere la grazia della fiducia
totale. Crediamo intensamente in ciò che Gesù Cristo ha detto a San Paolo: “Ti
basta la mia grazia; la mia forza, infatti si manifesta pienamente nella
debolezza” (2 Cor 12, 9). O, ripetiamo, come dice lo stesso San Paolo: “So in
chi ho riposto la mia fiducia” (cf. 2 Tm 1, 12). O forse con le parole di
Charles de Foucauld: “Padre, mi metto nelle tue mani con una fiducia infinita”.
Quella fiducia è controcorrente, è pura follia, non sembra essere la più
conveniente, secondo i criteri di questo mondo, ma fa parte della follia del
Vangelo.
Confidate contro tutto e al di là di tutto, e in ogni atto penitenziale dite
prima di tutto: “Per non essermi fidato di te: Signore, pietà”. E poi di ancora:
“Confido in te, Signore, non rimarrò deluso”.
C'est la confiance. È
quella fiducia fresca, libera, gioiosa che vediamo in San Francesco d’Assisi.
Non è un caso che voi due, autonomamente, abbiate scelto Assisi per fare il
ritiro prima dell’ordinazione.
Certo, non sapete cosa ne sarà di voi in futuro, ma siate pur certi che, con la
sua grazia, Dio saprà trarre da voi, anche dai fallimenti, dalle croci e dalle
umiliazioni, qualcosa di buono per il suo popolo.
Al di là di tutto ciò che non potete raggiungere o controllare, quello che è
importante è che voi amiate Cristo, e vale davvero la pena, che amiate la vostra
amata sposa, la Chiesa, continuando ad amarla anche se sembra una anziana piena
di rughe, che amiate il Vangelo perché sapete che non ci sono altre parole
migliori di quelle, che amiate le persone perché questo è il primo comandamento.
A voi piace questa immensa possibilità di fare il bene che vi da l’Ordine sacro,
quindi ora non avete altra scelta che ringraziare Dio, perché oggi vi fa dono
della sua grazia che viene a rafforzare tutto ciò che riempie la vostra vita.
Conosciamo tutto il bene che c’è in voi, nei vostri gesti, nel vostro lavoro,
sappiamo tutto ciò che Dio vi ha dato, e glielo offriamo in questa celebrazione
perché lo trasformi in benedizione per il suo popolo.
Ci sono momenti nella nostra vita in cui ci si chiede il “perché” di certi
avvenimenti che accadono. Cioè, perché Dio vi fa vescovi? Una domanda che ci
ricorda una verità importante e imprescindibile: siamo qui per servire, per
cercare il bene degli altri, per curare e far crescere la Chiesa di Dio. Non per
altro. Santa Teresa si chiedeva di tanto in tanto: “Teresa, perché sei entrata
in convento?” Una domanda che ognuno dovrebbe rivolgere spesso a se stesso, per
ravvivare ogni giorno la gioia della propria vocazione.
E vogliamo anche rendere grazie al Signore perché l’Ordine Sacro è un dono tutto
orientato al bene del Popolo di Dio. Da oggi, dunque, ci sarà più grazia per
ciascuno di noi, ci sarà più grazia nel Dicastero, ci sarà più grazia in
Vaticano, ci sarà più grazia per il mondo.
+Víctor Manuel Card. Fernández
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