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Card. Victor Manuel Fernández
Prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede

 

“Torna”

Omelia del Prefetto
nella celebrazione della Santa Messa delle Ceneri
al Dicastero per la Dottrina della Fede (5/3/2025)

 

“Torna da me”. È l'invito che appare nella bella lettura del profeta Gioele. All’inizio della Quaresima Dio sta dicendo a ciascuno di noi: “Torna a me! Al di là di tutta la tua stanchezza, delusione e oscurità. Torna da me!”

In questi giorni sto rileggendo testi di grandi autori spirituali. Così mi sono imbattuto nel “Trattato dell’amore di Dio” di San Francesco di Sales, dove egli insiste su una distinzione che ci aiuta a comprendere il significato di questo “ritorno”.

Sottolinea che “tornare” è molto più che essere attratti da Dio. Quando si è attratti da Dio, ci si compiace della sua esistenza, quasi a dire: “Come è buono che Dio esista!” Contempla con piacere un’immagine di Gesù e leggendo il Vangelo si sente ammirato. Ma questo compiacimento non è amore. È solo l’inizio. Perché altre cose muovono il cuore. Tornare a Dio è più di questo.

L’amore è un movimento, un’inclinazione e un ritorno verso l’amato. San Francesco di Sales spiega che: “Il movimento tende all’unione, e alla fine la volontà, incline e mossa all’unione, cerca tutti i mezzi necessari per realizzarla”. Ma proprio perché si tratta di un’unione personale, non diciamo più “Lui”, ma pensiamo a Dio sempre come “Tu”. Questo passaggio è essenziale nella vera preghiera.

Quando si ama Dio, vivere alla sua presenza è essere sempre inclinati, mossi verso di Lui cercando l’unione piena in mezzo a tutto ciò che si fa, tornando sempre a Lui per unirmi a Lui. E Dio si lascia raggiungere dal nostro amore e l’unione si approfondisce.

E oggi siamo chiamati alla conversione come comunità. Siamo invitati a esprimere insieme un gesto di conversione. Questo ci ricorda che non possiamo capire o salvare noi stessi come individui isolati. Siamo connessi, misteriosamente legati, con una connessione reale come l’aria che respiriamo, ma che non riusciamo a riconoscere quando siamo chiusi nelle nostre stesse paure.

Questo è ciò che esprimono gli orientali quando dicono che quando si coglie un fiore, le stelle tremano. Questo è ciò che ha percepito San Francesco d’Assisi quando si è sentito intimamente unito ad ogni essere umano che ha incontrato sulla strada.

Questo è ciò che la Parola di Dio dice in definitiva, per esempio, quando Gesù afferma che dove ci sono due o tre uniti, Lui è lì, o quando chiede al Padre che siamo una cosa sola perché il mondo creda. O quando San Paolo ci invita a comprenderci l’un l’altro come un solo corpo dove abbiamo bisogno gli uni degli altri.

Ma proprio per questo, ognuno è chiamato a convertirsi e a far fiorire ciò che Dio ha seminato nella sua vita, perché se questo sviluppo avviene tutto l’universo diventa più bello, tutta la Chiesa diventa migliore, e se io sono rovinato, tutto il mondo è ferito.

San Giovanni della Croce ha espresso che questo “ritorno a Dio” è in realtà il nostro più grande bisogno, che si esprime dicendo: Dove ti sei nascosto, Amato?

Parla di quell’assenza di Dio che fa sì che tutte le cose ci lascino come feriti. Perché dietro tutte le cose che viviamo c'è un fondo permanente di insoddisfazione. I momenti di grande gioia sono così di breve durata, così fugaci.

La maggior parte delle volte abbiamo la sensazione interiore di qualcosa di imperfetto, di qualcosa di incompleto. Ma quella è una ferita che non si rimargina, bisogna accettarla come parte della vita, come qualcosa che semplicemente c’è, e ci sarà fino alla morte.

In fondo è una ferita d’amore. Tu sei apparso nel grembo di tua madre come scaturito dall’amore di Dio. Ecco perché sei fin dalle tue origini, come se fossi ferito da quell’amore. Nel profondo del tuo essere c’è la certezza di quella Fonte infinita di vita e tu sei come se gemessi, gridassi di gettarti in quell’abisso d'amore, di luce, di vita, di tenerezza, di pace immensa che ti manca:

“L’anima ha dentro di sé questo gemito d’amore nel suo cuore. Perché dove l’amore ferisce, c’è il gemito della ferita, che grida sempre nel sentimento dell'assenza” (Cant. I, 14).

Intanto tutti cerchiamo di lenire quella ferita con le distrazioni, cerchiamo di sopravvivere anche grazie alle preoccupazioni e ai problemi di ogni giorno che ci aiutano a nascondere quello che ci sta succedendo. I problemi ci permettono di vivere distratti e di mettere a tacere quel richiamo interiore che ci sembra troppo grande. È comprensibile, siamo deboli, ma dobbiamo prenderci sul serio noi stessi, ed è a questo che serve la Quaresima.

Perché la tua angoscia non deriva dai problemi, e quando li risolvi, dopo due giorni riapparirà. La tua angoscia nasce da quel desiderio di Dio che non si può ancora placare, viene da quella ricerca interiore che dovresti fare per sentire che sei veramente sulla via della pace.

Pertanto, la cosa più sana che puoi fare è riconoscere che nulla ti libererà da quell’angoscia di insoddisfazione. Sarà lì, fino alla morte. Ma poi diventa preghiera, in positivo, come dice il Salmo: “Dio solo, Dio solo. Nei tuoi cortili, Signore, voglio essere. Il mio tesoro, la mia parte, la mia delizia...”

Poi riconosci quella chiamata a tornare a Dio in mezzo a ogni problema o angoscia che hai, e gemi: “Dove ti sei nascosto, amato?”.

Con quel gemito, sicuramente molte cose saranno guarite. Nel mezzo di una difficoltà non ti lamenti dicendo: “Povero me, che terribile problema devo affrontare!” Non dite così, perché quel problema era solo una scusa per sfogare quell’angoscia repressa che non riuscivate più a trattenere nel vostro buio interiore. In mezzo a qualsiasi difficoltà, il tuo gemito deve essere quello vero: “Dove ti sei nascosto, amato?”

San Giovanni della Croce dice che senza un rapporto personale con Dio che calmi il cuore siamo sempre pieni di rabbia, cercando sempre di incolpare qualcuno. Per questo nel Cantico Spirituale prega: “Placa la mia ira. Perché nessuno al mondo può disfarle”.

Viviamo arrabbiati, proprio perché non siamo nella pienezza di Dio, e questo ci infastidisce, i limiti di questo mondo ci stancano dentro. Ecco perché tutto ciò che è imperfetto o limitato ci irrita, altera il nostro umore. Non ci sarà nessuno psicologo a curarlo, non ci sarà nessun rimedio a placarlo e nessun direttore spirituale a calmarlo.

Pertanto, l’unica cosa che ti calmerà interiormente è che incontri sempre di più Dio, che lo assapori, che lo abbracci, che ti unisci sempre di più a Lui come un Tu, che torni sempre a Lui in un percorso tutto tuo: “Signore, non ti raggiungerò completamente in questa vita, ma almeno eccomi qui”.

Questo è particolarmente importante in questo Dicastero. Perché, come diceva Martin Buber, quanto maggiore è il grado di astrazione – legittimo e prezioso – nel nostro pensare Dio, tanto più diventa necessario compensare questa astrazione intellettuale con l’esperienza di una relazione vivente col Signore.

Perché, spiega Buber, negli ambienti accademici, Dio e le verità di fede diventano facilmente oggetto di riflessione e di opinione. Dio diventa un “lui” di cui si parla e cessa di essere un Tu. Ma se non è un Tu, i nostri concetti e le nostre parole non lo raggiungono realmente né lo esprimono.

Perché questa Messa abbia un senso, trattiamolo come un Tu, diamogli del Tu, conversiamo, invochiamo la sua grazia, apriamo la nostra vita a Lui e lasciamoci salvare gratuitamente, proprio ora: questo è il giorno della salvezza.

Questa ricerca, questo ritorno, è il tuo segreto, è la cosa più tua che hai.

Ecco perché il Vangelo ci dice che ciò che diamo a Dio in segreto, gratuitamente, senza bisogno che nessuno lo riconosca, conta molto. Siamo tu ed io, Signore, e questo è il mio dono. E all’insaputa della mia mano sinistra, cioè senza pretendere che il Signore mi ringrazi e mi ricompensi. Pura gratuità.

Qui ogni apparenza scompare, tutto ciò che facciamo ogni giorno per apparire, per avere un bell’aspetto, per essere presi in considerazione. No, qui siamo solo io e Dio. Questo è il mio vero io di fronte a lui.

Perché se non è il mio vero io, con tutta la sua verità, non c’è amicizia con Dio, non c’è ritorno a Lui, continuo solo con l’apparenza che mi sono costruito.

No, preferisco tornare a Dio così come sono. E per questo abbiamo bisogno di un tempo di preghiera senza distrazioni, solo per Dio, davanti a Lui. Costui che sono incontra il Padre.

Io stesso, così come sono, incontro veramente te, mio Padre faccia a faccia, tu a Tu.

Dammi la tua grazia, Signore, perché ritorni veramente a te.

 

Victor Manuel Fernandez