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Card. Victor Manuel Fernández Prefetto del
Dicastero per la Dottrina della Fede
Introduzione ai lavori della Giornata di Studio per la presentazione del
documento
"Gesù Cristo, Figlio di Dio, Salvatore" della Commissione Teologica
Internazionale
20 maggio 2025
Nicea
Introduzione del Presidente
Innanzi tutto devo ringraziare il gruppo di teologi della
Commissione Teologica
Internazionale che, sotto la saggia guida di Mons. Piero Coda, ha lavorato
intensamente negli ultimi anni, si è sottoposto alla discussione con gli altri
membri, ha rielaborato diverse volte il testo, regalandoci finalmente il
documento che avete tra le mani, che può considerarsi unico per il suo valore in
questa celebrazione anniversaria dei 1700 anni del primo Concilio Ecumenico
cristiano tenutosi a Nicea.
Come brevissima introduzione e cornice in questa giornata di studio per la
presentazione del documento della Commissione Teologica Internazionale, mi
sembra opportuno riprendere alcuni commenti che Papa Francesco mi ha fatto
quando gli ho consegnato il testo del documento della Commissione lo scorso
dicembre. Lo faccio in parte come un piccolo ricordo di Papa Francesco, ma
soprattutto perché credo che i suoi commenti sono stati preziosi.
1
Il primo motivo, che lo aveva spinto a voler intraprendere un viaggio a Nicea
per la celebrazione anniversaria è che Nicea significa un momento ecumenico
forte, un segno di unità per i cristiani delle più diverse confessioni, un
patrimonio condiviso, che si fa presente ogni domenica quando si pronuncia la
professione di fede che unisce tutti i cristiani. Sappiamo che anche Papa Leone
XIV ci tiene fortemente a questo segno di comunione e ha confermato il viaggio
papale a Nicea.
Va ricordato, inoltre, che insieme all’anniversario del primo Concilio di Nicea,
quest’anno si celebra anche il trentesimo anniversario della prima enciclica
ecumenica
Ut unum sint. E tornando su questo punto Papa Francesco diceva
che, sebbene non possiamo dire che con tutti i cristiani formiamo la stessa
Chiesa, anche per rispetto a loro, ad ogni modo ci possiamo riscoprire come
l’unica Comunità dei discepoli di Cristo.
Nell’autocoscienza della Chiesa Cattolica c’è la convinzione di essere la Chiesa
originaria fondata da Cristo, che sussiste in essa. Ma questa convinzione non
esclude che, da un altro punto di vista, possiamo parlare dell’“unica Comunità
dei discepoli di Cristo” che formiamo insieme a tutti quelli che accettano e
amano Lui come vero uomo e come il Figlio “homoousios” del Padre.
Questa Comunità deve ancora andare avanti nel cammino verso l’unità nel rispetto
delle diversità. Certamente non per tornare allo status quo ante. Ma
nemmeno per riconoscere l’attuale status quo delle diverse Chiese e delle
Comunità ecclesiali. Pensiamo ad un ecumenismo aperto a compiere pienamente la
volontà di Dio sulla Sposa di Cristo, che la stessa Chiesa cattolica, semper
reformanda, deve ancora raggiungere.
Nicea fu un concilio ecumenico pure nel senso originario del termine, a cui
dovevano partecipare vescovi provenienti da tutte le parti del mondo. La scelta
della città aveva un senso geografico, cioè di facile accesso. Nicea diventa
allora una chiamata alla comunione interna, affinché l’unità nell’essenziale ci
porti gioia e ci rafforzi. Il fatto è che molte volte più dei punti forti della
comunione pesano le differenze di stili e le diverse scelte pastorali o
spirituali e alcune questioni che nel contesto della gerarchia delle verità sono
secondarie e anche questioni di linee di pensiero accademico. E queste
differenze pesano come se fossero verità assolute o dogmi di fede, come accadeva
nella controversia “de auxiliis” (della seconda metà del XVI sec. tra i domenicani e i gesuiti sulla partecipazione della grazia e della libertà
umana alla realizzazione dell’opera meritoria). Nicea ci invita a tornare al
“noi” della fede. Infatti, il Credo di Nicea incomincia con un plurale: “pisteúomen”,
noi crediamo.
2
Il secondo aspetto che vorrei sottolineare è l’insistenza di Papa Francesco nel
dirmi che Nicea doveva essere interpretata in un senso storico salvifico.
Ricordava che il Credo continua con la professione battesimale “per noi
uomini e per la nostra salvezza discese e si è incarnato e si è fatto uomo,
morì, e il terzo giorno è risuscitato, è salito al cielo e verrà per giudicare i
vivi e i morti”. E si intratteneva su un’espressione del Credo: “katelthónta”,
discese, seguita dall’affermazione della “carne” del Signore, che si esprime con
due verbi (sarkothénta e poi enanthropésata). È quella carne,
diceva Francesco, che si è unita agli ultimi della terra e che dobbiamo
riscoprire in loro. Nicea parla del Dio che è vicino ad ogni essere umano, che
ha condiviso il nostro cammino storico, che ha voluto discendere ad abbassarsi.
Così, nel pensiero di Papa Francesco, Nicea ci riporta al cuore del Vangelo,
dove la gloria inesauribile e debordante della divinità del Figlio unigenito si
esprime nel dono della sua carne e finalmente nella nostra capacità di toccare
la carne sofferente dei fratelli. Ecco il centro del Vangelo che condividiamo
nell’unica Comunità dei discepoli di Cristo.
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Detto tutto questo, vorrei finire con le parole di sant’Ilario di Poitiers:
“L’infinito ed immenso Dio non ha potuto essere compreso o mostrato con le
povere espressioni del parlare umano. Viene meno infatti il più delle volte sia
agli ascoltatori sia ai maestri la povertà delle parole” (De Syn 62,
p.78).
Questo non ci porta a disprezzare, ma anzi a lodare il notevole sforzo dei Padri
di Nicea che hanno reso possibile un linguaggio comune, seppur cosciente dei
suoi limiti, data la sproporzione tra la grandezza del Mistero e la piccolezza
delle espressioni umane, comprese anche quelle del nostro incontro di oggi.
Victor Card. Fernandez
20 maggio 2025
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