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Convitto della Calza, Firenze

Presentazione del libro “L’infanzia di Gesù” di Benedetto XVI

 30 aprile 2013

                                                                                                                                

 

Il Gesù della storia nella parola di Benedetto XVI

Relazione di

S. Ecc.za Mons. Gerhard Ludwig Müller

Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede

 

 

Con il prologo sui “racconti dell’infanzia”, Joseph Ratzinger - Benedetto XVI completa la sua trilogia su Gesù di Nazaret, che la Chiesa professa come unico mediatore fra Dio e gli uomini (cfr. 1 Tim 2,5). Il primo volume tratta del cammino di Gesù «dal battesimo alla trasfigurazione», mentre il secondo conduce il lettore dall’«ingresso in Gerusalemme fino alla risurrezione».

Vale certamente la pena studiare questa straordinaria opera di circa novecento pagine. Chiunque desideri sapere cosa si può aspettare da Dio e qual è la situazione dell’uomo, deve passare per Gesù di Nazaret. Gesù, infatti, non è una qualunque delle figure determinanti della storia dell’umanità, bensì il solo uomo che è la misura per tutti. Per mezzo di lui, Dio è venuto da noi, in lui ci ha accettati e ha rivelato a ogni essere umano la sua vocazione più alta. È l’unico nome sotto il cielo per mezzo del quale verremo salvati (cfr. At 4,12). Per questo la Chiesa crede che in Cristo sono dati «la chiave, il centro e il fine di tutta la storia umana» (Gaudium et spes, n. 10).

In Lui, «l’universale e il concreto si toccano a vicenda», scrive Benedetto XVI. «In Lui, il Logos, la Ragione creatrice di tutte le cose, è entrato nel mondo. Il Logos eterno si è fatto uomo, e di questo fa parte il contesto di luogo e tempo. La fede è legata a questa realtà concreta, anche se poi, in virtù della Risurrezione, lo spazio temporale e geografico viene superato e il “precedere in Galilea” (cfr. Mt 28,7) da parte del Signore introduce nella vastità aperta dell’intera umanità (cfr. Mt 28,16ss)» (p. 77).

Composta da tre parti, l’opera non è redatta secondo un ordine cronologico, poiché i vangeli non vogliono essere una biografia nel senso di genere letterario. Quale testimonianza della Chiesa, essi rivelano il significato salvifico di Cristo, che è stato mandato dal Padre e la cui vita sfocia nella morte e nella risurrezione. Pertanto, i due volumi sulla vita pubblica di Gesù e sulla passione e la risurrezione costituiscono la parte più consistente della trilogia.

Anche se l’ultimo volume pubblicato, sui racconti dell’infanzia di Gesù in Matteo e in Luca, è molto più breve, ciò non sminuisce l’importanza dei primi due capitoli dei suddetti vangeli. I racconti dell’infanzia non si dilungano in bei ricordi dei primi anni di vita di una persona che da adulta finisce al centro dell’attenzione. Sono invece intimamente intrecciati con il Vangelo di «Gesù Cristo, figlio di Dio» (Mc 1,1) per formare un’unità. Soprattutto, anche dal punto di vista letterario, rappresentano il passaggio dall’Antico al Nuovo Testamento. Costituiscono un importante cardine tra le due parti della Scrittura e mostrano così l’unità della storia della salvezza.

Poiché le affermazioni di Matteo e Luca non derivano dalle fonti del materiale narrativo sinottico originario, occorre domandarsi quale più preciso valore storico esse abbiano. Si tratta di semplici resoconti circa fatti storici, che furono tramandati dalla famiglia di Gesù, oppure si tratta di racconti fittizi, che intendono illustrare l’importanza soteriologica di Gesù, quale risulterà in seguito conoscibile allorché egli si presenterà in pubblico? Abbiamo a che fare con un midrash o con una leggenda attualizzante ed edificante, con una saga o con un prestito desunto dai miti egiziani o ellenistici nella cornice dell’antica immagine del mondo e della sua presunta ignoranza delle condizioni biologiche di una procreazione umana?

L’universo semantico del racconto dell’annunciazione nasce dalla fede del popolo di Dio, così come viene testimoniata dall’Antico Testamento, incompatibile con qualsiasi genere di mitologia antica e moderna. Scrive Benedetto XVI: «Le parole dell’angelo rimangono totalmente nella concezione religiosa veterotestamentaria e, tuttavia, la superano. A partire dalla nuova situazione ricevono un nuovo realismo, una densità e una forza prima inimmaginabili. Ancora il mistero trinitario non è stato oggetto di riflessione, ancora non è sviluppato fino alla dottrina definitiva. Appare da sé, grazie al modo di agire di Dio prefigurato nell’Antico Testamento; appare nell’avvenimento, senza diventare dottrina. E, ugualmente, il concetto dell’essere Figlio, proprio del Bambino, non è approfondito e sviluppato fin nella dimensione metafisica. In questo modo, tutto rimane nell’ambito della concezione religiosa giudaica. E, tuttavia, le antiche parole stesse, a causa dell’avvenimento nuovo che esprimono e interpretano, sono nuovamente in cammino, vanno al di là di se stesse» (p. 40).

Anche se nei due Vangeli non tutti i dettagli storici corrispondono e la presentazione delle diverse scene segue la concezione teologica del singolo evangelista, non c’è però alcun dubbio sulla credibilità storica dei racconti dell’infanzia. Il loro centro storico-teologico è il concepimento di Gesù per opera dello Spirito Santo e la sua nascita dalla Vergine Maria, sine virili semine. Si viene così condotti, in modo ben ponderato e chiaramente formulato dal punto di vista intellettuale, verso il mistero della persona di colui che è «luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele» (Lc 2,32). È così che si esprime Simeone nella presentazione del Signore nel Tempio.

Determinante rimane l’evento di Cristo, che viene spiegato nell’orizzonte dell’azione salvifica storica di Dio e delle promesse vetero-testamentarie. Perciò la celebre citazione di Is 7,14 (cfr. Mt 1,23 e Lc 1,31) – che del resto non parla di un concepimento operato dallo Spirito, ma solo di una nascita di un bambino da una vergine – non è l’origine di un evento simulato in base ad esso. Al contrario, è piuttosto l’accettazione piena di fede dell’auto-rivelazione di Dio in Gesù Cristo il motivo per cui gli autori neo-testamentari cercano di approfondire sempre di più l’essenza di Cristo alla luce di passi e di categorie linguistiche e concettuali dell’Antico Testamento.

La peculiarità letteraria e teologica dei Vangeli corrisponde all’unicità di Gesù, che è giunta fino a noi attraverso la testimonianza dei discepoli e della Chiesa primitiva dopo la Pasqua e la Pentecoste. Maria, sua madre, e altri familiari sono collegati alla vita pubblica di Gesù e testimoniati anche dalla Chiesa dei primordi. È per questo che la loro testimonianza della vita nascosta di Gesù, nei primi trent’anni della sua vita, rientra nella tradizione su Gesù e costituisce parte integrante della professione di Cristo da parte della Chiesa. Non è una costruzione letteraria basata su un’idea teologica soggettiva a collegare i racconti dell’infanzia con la narrazione della vita pubblica di Gesù e con la testimonianza della passione e della risurrezione. Piuttosto, è il Dio uno e trino a rivelarsi, nella fede della Chiesa, come autore della Sacra Scrittura nell’Antico e nel Nuovo Testamento, nell’unica storia della salvezza.

Sarebbe in contraddizione con la peculiarità letteraria dei vangeli, quale testimonianza della persona e della missione di Gesù, se si volesse portare alla luce un nucleo storico e lasciare tutto il resto a un’interpretazione esistenziale libera. Alla luce della fede, i racconti dell’infanzia di Gesù formano una parte costitutiva del Vangelo di Cristo. Il Bambino, che per opera dello Spirito Santo nasce dalla Vergine Maria, salverà il popolo dai suoi peccati (cfr. Mt 1,21). La grande gioia, della quale deve essere reso partecipe tutto il popolo, si fonda sul messaggio dell’angelo ai pastori: «Oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore», che è messia, il Signore (Lc 2,11).

Diversamente da Paolo e da Giovanni, Matteo e Luca non partono dalla preesistenza del Figlio presso il Padre prima dell’incarnazione (cfr. Gv 1,1.14.18), dalla sua missione nella forma della carne (cfr. Rm 8,3) e dalla sua nascita come uomo da una donna (cfr. Gal 4,4s).

Essi cominciano piuttosto dalla relazione filiale dell’uomo Gesù con Dio, Padre suo, e intendono mostrare che l’essenza di questa figliolanza è già direttamente fondata, nell’atto della nascita dell’uomo Gesù, nella volontà rivelatrice di Dio. Il nucleo teologico consiste nell’affermazione della diretta causalità dello Spirito divino nella nascita dell’uomo Gesù da Maria, nella sua esistenza storica, nel suo destino e nella sua comparsa autorevole come mediatore escatologico del regno di Dio. Lo Spirito, identico con l’essenza di Dio, non opera come una causa creaturale ed empiricamente tangibile, cioè al posto di un procreatore maschile. È perciò esclusa in partenza qualsiasi allusione a una teogamia, a una generazione divino-umana di un essere intermedio divino-umano. Lo Spirito di Dio non opera come una causa naturale e creata. Egli produce come causa increata, incondizionatamente e senza bisogno di alcun presupposto, un effetto nel mondo creato che va al di là della cornice della causalità creata. Gesù non è generato in un modo quasi biologico-naturale, ma l’azione dello Spirito ha il suo corrispettivo sul piano della creaturalità. Il concepimento di Gesù mediante la vergine Maria senza cooperazione umana maschile non è perciò un segno puramente simbolico adottato per indicare l’azione effettiva esercitata da Dio su di lei. La teologia può interpretare l’azione divina, ma non può inserire poeticamente dimensioni teologiche rivelatrici in eventi in tutto e per tutto naturali come la procreazione di un uomo, se tali dimensioni non sono realmente presenti.

In maniera molto più ampia di Matteo, Luca spiega il significato cristologico e anche mariologico del concepimento di Gesù ad opera dello Spirito dalla vergine Maria. Come Matteo, egli sa che Gesù è nato senza la cooperazione sessuale di un uomo, e pure lui presuppone che la relazione filiale dell’uomo Gesù con Dio abbia la sua origine costitutiva – mediante l’essere e l’azione, mediante la «dynamis» e il «pneuma» coessenziali a Dio – direttamente in Dio stesso.

In lui Maria è la destinataria diretta dell’evento dell’annunciazione, in cui il messaggero divino Gabriele trasmette la parola di Dio. L’affermazione decisiva circa il modo e il fatto del concepimento di Gesù senza cooperazione maschile viene fatta nella scena dell’annunciazione, che è strutturata secondo lo schema vetero-testamentario della rivelazione (Lc 1,26-38). Di fronte alla promessa della presenza soprannaturale di Dio e al messaggio che ella partorirà un Figlio, che sarà chiamato «Figlio dell’Altissimo», Maria domanda: «Come avverrà questo, poiché io non conosco uomo?», domanda cui viene risposto: «Lo Spirito (pneuma) Santo scenderà sopra di te e la potenza (dynamis) dell’Altissimo ti coprirà con la sua ombra; perciò quello che nascerà sarà chiamato santo, Figlio di Dio» (Lc 1,35).

L’espressione «ti coprirà con la sua ombra» non contiene alcuna allusione di carattere sessuale, ma allude piuttosto alla «nube» dietro cui si trova la gloria luminosa, la presenza salvifica e la volontà rivelatrice di Dio: Dio si rivela nell’ombra della nube (cfr. Es 13,22; 19,6; 24,16; Lc 9,34; At 1,9).

In questa scena dialogica, la risposta di Maria è decisiva: «Ecco la serva del Signore; si faccia di me come hai detto tu» (Lc 1,38). Questo sì è la fede, resa possibile e sorretta dallo Spirito Santo, la fede liberamente prestata, in virtù della quale Gesù nasce come «frutto del seno» di Maria e Maria diventa la «madre del Signore» (Lc 1,43). Questo titolo di «Signore» Gesù lo condivide con Dio, Padre suo. Così Maria è la credente per eccellenza, perché in lei si è adempiuto quanto comunicatole dal Signore (cfr. Lc 1,45). Lei, il cui corpo ha portato Cristo e il cui seno lo ha allattato, non è la madre di Gesù solo perché ha concepito la sua natura umana, ma lo è di più ancora a motivo della fede da lei prestata, con l’aiuto dello Spirito Santo, alla parola di Dio (cfr. Lc 11,37), all’azione di Dio cui «nulla è impossibile» (Lc 1,37; 18,27). Ad approfondire teologicamente questo evento centrale, cioè ad ancorare l’umanità di Gesù nell’essenza e nella volontà salvifica di Dio, servono altri racconti e inni come il Magnificat, o anche la testimonianza profetica resa da Simeone e Anna a Gesù, con allusione alla crisi che seguirà alla croce, così come serve anche l’affermazione che pure Maria avrà l’anima trapassata da una spada, affermazione mediante la quale Luca allude al nesso tra fede e sequela di Gesù unitamente alla disponibilità ad accettare la croce; e serve infine il racconto del pellegrinaggio di Gesù al tempio, ove egli pronuncia le sue prime parole riportate in questo vangelo, con cui rivela Dio come «Padre mio» in un senso incomparabile (cfr. Lc 1-2).

Nei racconti dell’infanzia è possibile riconoscere accenni di diversi generi letterari. Ma ciò non limita la loro volontà di espressione storico-teologica. In quanto Vangelo, sono professione di Cristo, Figlio di Dio, che edificherà per tutti il regno di Dio. Così, nel primo capitolo il Papa inizia dalla domanda circa l’origine di Gesù quale domanda circa l’essere e la missione, a partire dalla spiegazione di due genealogie. Prosegue poi, nel secondo capitolo, con l’esposizione dell’annuncio della nascita del Battista e di Gesù, per trattare poi nel terzo capitolo la nascita del Signore a Betlemme e la sua presentazione nel Tempio.

Nel quarto capitolo il Papa si dedica alle narrazioni sui magi d’oriente e sulla fuga in Egitto della sacra famiglia. In un epilogo viene spiegato il racconto di Gesù, dodicenne, nel Tempio, che riveste una grandissima importanza dal punto di vista cristologico. Qui, per la prima volta, Gesù stesso prende la parola, rivelando la propria discendenza trascendente da Dio. Nel Tempio egli si trova nella casa del «Padre mio». Nel tempio del suo corpo ora Dio è per sempre in mezzo a noi nella sua gloria, nella sua misericordia e nel suo amore.

Per riconquistare l’unità intima della dogmatica e dell’esegesi, occorre superare la contrapposizione dualistica del razionalismo e dell’empirismo nella filosofia moderna. La ragione dell’uomo, nella sua esistenza fisico-mentale, ha sempre un orientamento empirico-storico, e allo stesso tempo supera sempre ciò che può essere constatato in modo solo positivistico. Anche il mondo concreto viene reso accessibile dal punto di vista linguistico e intellettuale, per cui l’uomo è sempre ed essenzialmente aperto alla ragione trascendente di ogni realtà. Dio gli si può rivelare nel mondo e nella storia.

L’alternativa “storico o teologico”, che scaturisce dalla situazione gnoseologica dualistica della filosofia moderna, non è adatta a cogliere quel che la Scrittura intende affermare. Dio opera piuttosto realmente nella storia. Quanto sul piano della storia e dell’effettività è percepibile, non si presta però a fungere da prova reale dell’azione di Dio. Esso è piuttosto un segno, che è ripieno e sorretto dalla realtà dell’azione invisibile di Dio e che manifesta l’azione di Dio nel mondo. Questo intimo nesso tra segno e realtà diventa però chiaro solo nella fede, che è frutto dell’azione dello Spirito Santo di Dio (cfr. 1 Cor 12,3).

L’incarnazione del Verbo e il concepimento di Gesù come uomo, per opera dello Spirito Santo, non è un mito e nemmeno una rarità biologica, bensì una verità storica. Infatti, diversamente dalla gnosi, con il suo aspro dualismo tra spirito e materia, il creatore del cielo e della terra nella sua azione salvifica abbraccia ogni dimensione del creato. Chi crede che Dio ha il potere sulla materia, comprende anche la ragionevolezza della fede nell’incarnazione del Verbo nella Vergine Maria, nella risurrezione del corpo del Signore e nella transustanziazione del pane e del vino nella carne e nel sangue di Cristo nel sacramento dell’altare.

Scrive Benedetto XVI: «Naturalmente non si possono attribuire a Dio cose insensate o irragionevoli o in contrasto con la sua creazione. Ma qui non si tratta di qualcosa di irragionevole e di contraddittorio, bensì proprio di qualcosa di positivo: del potere creatore di Dio, che abbraccia tutto l’essere. Perciò questi due punti – il parto verginale e la reale risurrezione del sepolcro – sono pietre di paragone per la fede. Se Dio non ha anche potere sulla materia, allora Egli non è Dio. Ma Egli possiede questo potere, e con il concepimento e la Risurrezione di Gesù Cristo ha inaugurato una nuova creazione. Così, in quanto Creatore, è anche il nostro Redentore. Per questo, il concepimento e la nascita di Gesù dalla Vergine Maria sono un elemento fondamentale della nostra fede e un segnale luminoso di speranza» (p. 69).

Quando qualche scettico mi domanda se davvero credo che il Figlio unigenito di Dio sia stato concepito per opera dello Spirito Santo e nato dalla Vergine Maria senza il contributo di un uomo, allora rispondo con convinzione e senza esitare: sì, perché credo in Dio, per il quale nulla è impossibile. Il creato non sfugge dalla mano di Dio. Il Verbo eterno può farsi carne in una vergine. Ragionevoli sono la fede in Dio e l’illimitatezza delle sue possibilità d’azione. Sarebbe invece contrario alla ragione limitare il piano salvifico e l’azione di Dio nella storia a ciò che l’uomo considera possibile.

L’evento del concepimento di Gesù ad opera dello Spirito dalla vergine Maria non è verificabile empiricamente e con i mezzi delle scienze naturali e biologiche, la qual cosa però non significa che esso non sia reale e sia solo un’interpretazione. La realtà è qualcosa di più della parte di essa che può essere empiricamente colta. Dio non opera certo materialmente, ma la sua azione abbraccia anche la dimensione corporea e si presenta al credente come segno.

La realtà del concepimento operato dallo Spirito e il suo significato sono conoscibili solo nell’orizzonte della fede biblica in Dio. Il Dio d’Israele vuole comunicarsi storicamente nella sua trascendenza sul mondo creato, sulle condizioni, cause ed effetti naturali, assumendo una reale esistenza umana. Dio stesso, come autore dell’atto dell’incarnazione, è anche direttamente il fondamento trascendente della nascita dell’esistenza umana di Gesù. Dio non si unisce solo successivamente con un uomo, che possiede già un’ipostasi creaturale mediata dalla procreazione naturale. Nella sua volontà di incarnarsi Dio stesso è direttamente, nella sua azione creatrice (senza la mediazione della procreazione naturale e della causalità creaturale della nascita di un uomo), il fondamento portante – nell’ipostasi increata del Verbo divino – dell’esistenza umana di Gesù.

Il motivo più profondo di chi rifiuta il fatto che Cristo sia nato dalla Vergine Maria è di natura filosofico-dualistica e gnostica contraria alla materia, ed è radicato nella paura che Dio potrebbe avvicinarsi troppo all’uomo. Dalla fede, invece, nasce la gioia per il fatto che Dio ha guardato all’umiltà della sua ancella. Laddove si riconosce l’amore di Dio, non ci sono più paure e timori, perché siamo chiamati, e siamo, figli e figlie di Dio.

Il messaggio dei vangeli non si esaurisce però nel dibattito sul tema moderno di fede e ragione. La sua importanza attuale emerge pienamente nel rapporto tra l’azione di Dio e la risposta umana. La grazia di Dio agisce in modo tale da rivolgersi alla libertà dell’uomo e portarla a compimento.

Proprio nella libera accettazione della Vergine Maria si rivela che lo Spirito di Dio è sempre uno Spirito di libertà e di amore. In Maria, madre dei credenti, l’uomo viene elevato e reso libero. I racconti dell’infanzia si mostrano in tutta la loro modernità laddove si tratta della grazia che conduce l’uomo alla sua piena libertà.

Quando Maria dà all’angelo la risposta della sua vita «avvenga di me quello che hai detto», per ogni uomo diventa evidente che è chiamato alla «libertà e alla gloria dei figli di Dio». Ella è beata, perché ha creduto che si adempirà quanto il Signore le ha fatto comunicare (cfr. Lc 1,45). Questo nesso tra parola e fede vale per tutti coloro che diventano beati qualora ascoltino e seguano la parola di Dio (cfr. Lc 11,28). La fede non si limita a un’accettazione passiva della salvezza. Nella fede Maria diventa la co-protagonista della salvezza che si attua storicamente, per cui sono vere le parole: «D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata» (Lc 1,48). La gloria di Dio è conosciuta nel mondo a motivo delle azioni salvifiche da lui compiute in favore degli uomini e della loro disponibilità ad ascoltare la sua parola, a seguire la sua volontà e a far diventare così la sua salvezza tangibile nel mondo.

Scrive il Papa: «È il momento dell’obbedienza libera, umile e insieme magnanima, nella quale si realizza la decisione più elevata della libertà umana. Maria diventa madre mediante il suo “sì”» (p. 47). Ella è perciò da un lato un membro della Chiesa nascente in virtù dell’opera di Cristo e dell’invito dello Spirito, così come è nello stesso tempo, dall’altro lato, in qualità di uditrice della parola, tipo della Chiesa, della Chiesa di Dio Padre, Figlio e Spirito Santo (cfr. At 20,28).

Nel vangelo Luca ha fatto le sue affermazioni mariologiche alla luce dell’evento di Cristo e nell’ambito dell’azione dello Spirito di Dio; non è perciò un caso che all’inizio della «storia della Chiesa primitiva» menzioni di nuovo Maria, dal momento che la madre di Gesù attende in preghiera con gli apostoli, con gli altri discepoli, con le donne e con i fratelli di Gesù la discesa dello Spirito pentecostale sulla Chiesa (cfr. At 1,4).

Possiamo dire che Luca, a differenza di altri scrittori biblici, fa consapevolmente delle specifiche affermazioni mariologiche. Egli presenta Maria, oltre che come personaggio storico e figura umana irrepetibile e unica, anche come tipo dell’incontro umano con Dio. Maria è la piena di grazia, cui Dio Signore ha promesso di essere vicino in modo unico, vicinanza che Maria accoglie con il suo sì nella propria vita e nella vita che successivamente vivrà in compagnia di Gesù Cristo. Il dialogo divino-umano della scena dell’annunciazione la presenta nella pienezza dei tempi, perché in quel momento l’antica alleanza viene superata e portata a compimento nella sua definitività escatologica con l’avvento definitivo di Dio come uomo presso gli uomini. Nella pericope dell’annunciazione viene rappresentata la situazione di fondo dell’uomo davanti a Dio, in quanto Dio indirizza la propria parola all’uomo e Maria è chiamata ad accogliere con fede la presenza salvifica di Dio e ad attuarla nella sequela.

Nella premessa l’autore definisce il suo libro sui racconti dell’infanzia «una specie di piccola “sala d’ingresso” ai due precedenti volumi sulla figura e sul messaggio di Gesù di Nazaret». Nella piena consapevolezza dei problemi teologici e storici che si pongono quando si studia la Sacra Scrittura, «la domanda circa il rapporto del passato con il presente fa immancabilmente parte della stessa interpretazione» (pp. 5-6). Poiché, secondo la nostra fede, è Dio l’autore della testimonianza della sua azione salvifica, per mezzo di Gesù Cristo e nello Spirito Santo, in ultima analisi l’esegesi scientifica non serve ciò che è stato un tempo, ma colui che è il Verbo, che si è fatto uomo e ha dimorato in mezzo a noi. Attraverso il suo nuovo libro, il Papa desidera mostrarci che cosa significa che Gesù è l’Emmanuele, il Dio con noi (cfr. Mt 1,23), Colui che è il «protagonista finalmente apparso» (p. 27).

 

 

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