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PONTIFICIO COMITATO
PER I CONGRESSI EUCARISTICI INTERNAZIONALI

 

L’EUCARISTIA
DONO DI DIO PER LA VITA DEL MONDO

Documento teologico di base
per il Congresso eucaristico internazionale di Québec
[1]

 

INTRODUZIONE

Fare memoria di Dio oggi

PRIMA PARTE

L’EUCARISTIA, DONO DI DIO

I - L’Eucaristia, dono di Dio per eccellenza

A. Al centro e al culmine della storia della salvezza
B. L’istituzione della santa Eucaristia

II - L’Eucaristia, memoriale del mistero pasquale

A. Il memoriale della Pasqua di Cristo, un dono trinitario
B. Il sacrifico pasquale

SECONDA PARTE

L’EUCARISTIA, NUOVA ALLEANZA

III - L’Eucaristia edifica la Chiesa, sacramento della salvezza

A. Il dono della Chiesa comunione

a) Maria, prima chiesa e donna eucaristica
b) Popolo di Dio e sacramento di salvezza
c) Sposa dell’Agnello e Corpo di Cristo

B. La risposta eucaristica della Chiesa

a) Credere e amare come Maria, in Gesù
b) Lasciarsi riconciliare nell’unità
c) Radunarsi la domenica, giorno del Signore

TERZA PARTE

PER LA VITA DEL MONDO

IV - L’Eucaristia, vita di Cristo nelle nostre vite

A. Il culto spirituale dei battezzati
B. L’adorazione in verità
C. I ministri della nuova alleanza

V - L’Eucaristia e la missione

A. Evangelizzazione e trasformazione del mondo
B. Costruire la pace con la giustizia e la carità

VI - Testimoni dell’Eucaristia nel cuore del mondo

A. La chiamata universale alla santità
B. La famiglia, Chiesa domestica per una civiltà dell’amore
C. La vita consacrata, pegno di Speranza che annuncia lo Sposo che viene

CONCLUSIONE

DIO HA TANTO AMATO IL MONDO


INTRODUZIONE

Fare memoria di Dio oggi

Il Congresso eucaristico internazionale che si terrà nel giugno 2008 a Québec, offrirà alla Chiesa locale e alla Chiesa universale un tempo forte di preghiera e di riflessione per celebrare il dono della santa Eucaristia. Quarantanovesima edizione di una serie di congressi che hanno segnato la vita della Chiesa da più di un secolo, il Congresso di Québec coinciderà anche con il 400° anniversario della fondazione di questa che fu la prima città francese in America del Nord, chiamata a diventare, nel XVI secolo, uno snodo missionario importante per tutto il continente.

Il Congresso eucaristico sarà una Statio Orbis, espressione che significa una celebrazione della Chiesa universale su invito della Chiesa locale del Québec, per fare memoria del dono di Dio che l’Eucaristia offre a tutta l’umanità.

La città di Québec, con il suo motto: «Don de Dieu, feray valoir (=Valorizzerò il dono di Dio)» è collocata al centro della storia di un popolo la cui massima araldica proclama «Je me souviens (= Mi ricordo)». Questo motto richiama la parola che Gesù ha lasciato ai suoi discepoli nell’ultima Cena: «Fate questo in memoria di me».

L’Eucaristia fa memoria della Pasqua del Signore, ne è il «memoriale», nel senso biblico del termine che significa non solo ricordo ma la presenza dell’avvenimento salvifico. Il Congresso eucaristico offrirà un’occasione privilegiata per rendere omaggio a questo dono di Dio posto nel cuore della vita cristiana e per fare memoria delle radici cristiane di molti Paesi in attesa di una nuova evangelizzazione. L’Eucaristia ha nutrito l’annuncio del Vangelo e l’incontro delle civiltà europea e autoctona su questo continente. Essa rimane ancora oggi un fermento di cultura e un pegno di speranza per l’avvenire del mondo in via di globalizzazione.

L’aspirazione del mondo alla libertà dell’amore

Il tema centrale del Congresso, approvato da papa Benedetto XVI è: «L’Eucaristia dono di Dio per la vita del mondo». È particolarmente importante, oggi, fare memoria del dono di Dio, perché il mondo attuale conosce, nonostante i progressi tecnici considerevoli, soprattutto nel campo della comunicazione, un vuoto interiore drammatico vissuto come un’assenza di Dio. Affascinato dalle sue proprie capacità creative, l’uomo contemporaneo tende, in effetti, a dimenticare il suo Creatore e a considerarsi come l’unico padrone del proprio destino.

Questa tentazione di sostituirsi a Dio non annulla, tuttavia, l’aspirazione all’infinito che lo abita e i valori autentici che egli si sforza di coltivare, anche se essi comportano rischi di deviazione. La stima della libertà, il desiderio dell’uguaglianza, l’ideale della solidarietà, l’apertura alla comunicazione senza frontiere, la capacità tecnica e la protezione dell’ambiente naturale sono dei valori innegabili che suscitano ammirazione, fanno onore al mondo attuale e portano frutti di giustizia e di fraternità.

Il dramma di un umanesimo che ha dimenticato Dio

Per un altro verso, la dimenticanza del Creatore rischia di rinchiudere l’uomo in se stesso, in un egocentrismo che genera una incapacità d’amare e di impegnarsi in modo durevole, provocando una frustrazione crescente dell’aspirazione universale all’amore e alla libertà. Perché l’uomo creato ad immagine di Dio e per la comunione con Lui «non può pienamente ritrovarsi se non attraverso il dono sincero di sé» (Gaudium et Spes, 24). Lo sviluppo della sua persona passa attraverso questo dono di se stesso che significa apertura all’altro, accoglienza e rispetto della vita.

Ma l’uomo d’oggi non accetta i limiti posti alla sua capacità di governare la trasmissione e la fine della vita. La manomissione incontrollata di questo potere di vita e di morte, tecnicamente possibile, minaccia pericolosamente l’uomo stesso. Perché, secondo la dura espressione di Giovanni Paolo II, una «cultura di morte» si impone in molte società secolarizzate. La morte di Dio nella cultura, porta con sé, quasi inevitabilmente, la morte dell’uomo; cosa che si constata non soltanto nelle correnti di pensiero nichiliste, ma soprattutto nei rapporti conflittuali e nei fenomeni di rottura che si moltiplicano a tutti i livelli dell’esperienza umana, sovvertendo il matrimonio e la famiglia, alimentando i conflitti etnici e sociali ed aumentando lo scarto tra i ricchi e l’immensa maggioranza dei poveri.

Malgrado una coscienza più chiara della dignità dell’uomo e dei suoi diritti, si assiste alla moltiplicazione della violazione di questi diritti un po’ dappertutto sul pianeta; le armi di distruzione di massa s’accumulano contraddicendo i discorsi di pace; una concentrazione crescente dei beni materiali in poche mani mette un’ipoteca sul fenomeno della globalizzazione, mentre i bisogni fondamentali delle masse dei poveri sono vergognosamente ignorati. La pace del mondo è minata dall’ingiustizia e dalla miseria, mentre il terrorismo diventa sempre più l’arma dei disperati.

Sul piano religioso, l’uomo d’oggi non vuole sottomettersi, come già un tempo, a un’autorità che gli detti la condotta da tenere. Egli si confronta, grazie alla circolazione dell’informazione, con una molteplicità di fedi e con la difficoltà crescente di trasmettere alle nuove generazioni l’eredità ricevuta dalla propria tradizione religiosa. La fede cristiana non fa eccezione, tanto più che la sua trasmissione si basa su una rivelazione che sfugge alla misura della ragione. Geloso del bene prezioso della propria libertà, l’uomo elabora una sua propria spiritualità slegata dalla religione, cedendo così talvolta all’inclinazione eccessivamente individualista delle culture democratiche contemporanee.

La santa Eucaristia contiene il nucleo essenziale della risposta cristiana al dramma di un umanesimo che ha perso il suo riferimento costitutivo al Dio creatore e salvatore.

Essa è la memoria di Dio che salva. Memoriale della morte e della risurrezione di Gesù Cristo, essa porta al mondo il Vangelo di quella pace definitiva che, tuttavia, nella vita presente, resta un oggetto di speranza. Celebrando la santa Eucaristia, in nome di tutta l’umanità riscattata da Gesù Cristo, la Chiesa accoglie il dono di Dio che le è stato promesso: «Lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli v’insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto» (Gv 14,26). È Dio stesso che, in definitiva, si ricorda della sua alleanza con l’umanità e che si dona come cibo di vita eterna. «Egli si è ricordato del suo amore», canta la Vergine Maria nel suo Magnificat (Lc 1,54).

PRIMA PARTE

L’EUCARISTIA, DONO DI DIO

I - L’Eucaristia dono di Dio per eccellenza

A. Al centro e al culmine della storia della salvezza.

«La Chiesa ha ricevuto l’Eucaristia da Cristo suo Signore non come un dono, pur prezioso fra tanti altri, ma come il dono per eccellenza, perché dono di se stesso, della sua persona nella sua santa umanità, nonché della sua opera di salvezza» (Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucharistia, 11)

Il servo di Dio Giovanni Paolo II ha concluso e coronato il suo lungo pontificato durante l’anno dell’Eucaristia che egli aveva indetto facendo seguito all’enciclica Ecclesia de Eucharistia. Egli voleva ravvivare nel cuore della Chiesa l’ammirazione per il dono per eccellenza della santa Eucaristia e suscitare un rinnovamento dell’adorazione di questo sacramento che contiene la Persona stessa del Signore Gesù nella sua santa umanità. Il sinodo dei vescovi dell’ottobre 2005 su «L’Eucaristia nella vita e nella missione della Chiesa» ha prolungato e approfondito la riflessione precisando le implicazioni pastorali del mistero eucaristico.

Questo dono per eccellenza è stato lungamente preparato da Dio nella storia della salvezza. La santa Eucaristia ricapitola e corona, in effetti, una moltitudine di doni che Dio ha fatto all’umanità fin dalla creazione del mondo. Essa porta a compimento il disegno di Dio di stabilire una alleanza definitiva con l’umanità. Malgrado una storia tragica di peccato e di rifiuto che dura fin dalle origini, Dio instaura concretamente, attraverso questo sacramento, la nuova alleanza sigillata nel sangue di Cristo. Questa alleanza conclude definitivamente una lunga storia di alleanza tra Dio e il suo popolo uscito da Abramo, nostro padre nella fede. Come la celebrazione della Pasqua d’Israele ai tempi della Promessa, la santa Eucaristia accompagna il pellegrinaggio del popolo di Dio nella storia della nuova alleanza. Essa è vivo memoriale del dono che Gesù Cristo fece del suo corpo e del suo sangue per riscattare l’umanità dal peccato e dalla morte e comunicarle la vita eterna.

Nella sua liturgia e nella sua preghiera millenaria, il popolo ebreo ha imparato a celebrare la grandezza di JHWH, l’Altissimo, il Creatore e Liberatore. La Pasqua è sempre stata al centro della sua liturgia che ricorda, di età in età, l’avvenimento dell’Esodo: «Questo giorno sarà per voi un memoriale» (Es 12,14).

Celebrata da generazioni di credenti, la Pasqua si ricollega all’evento fondante della prima alleanza: l’uscita dall’Egitto del popolo ebreo e il passaggio del Mar Rosso grazie all’intervento di JHWH. «Israele vide la mano potente con la quale il Signore aveva agito contro l’Egitto e il popolo temette il Signore e credette in lui e nel suo servo Mosè» (Es 14,31). Questo avvenimento basilare doveva essere sigillato al Sinai con il dono sacro della Legge e l’impegno del popolo: «Ecco il sangue dell’alleanza, che il Signore ha concluso con voi sulla base di tutte queste parole!» (Es 24,8). E il popolo disse: «Quanto il Signore ha ordinato, noi lo faremo e lo eseguiremo!» (Es 24,7).

Questo primo «passaggio» di una porzione dell’umanità dalla schiavitù verso la libertà annunciava e preparava l’intervento del Dio vivente e Padre in favore dell’umanità, l’invio della sua Parola ultima, personale e definitiva, nell’incarnazione del Verbo. È allora che, in un momento preciso della storia umana, «è apparsa la grazia di Dio, apportatrice di salvezza per tutti gli uomini» (Tt 2,11). La memoria riconoscente della Chiesa lo proclama: «Padre santo, hai tanto amato il mondo da mandare a noi, nella pienezza dei tempi, il tuo unico Figlio come salvatore» (Pregh. Euc. IV).

La venuta del Verbo nella nostra carne segna il culmine del dono che Dio fa di se stesso: «Dio, che aveva già parlato nei tempi antichi molte volte e in diversi modi ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha costituito erede di tutte le cose e per mezzo del quale ha fatto anche il mondo» (Eb 1,1-2). La lettera agli Ebrei insegna che l’incarnazione del Figlio di Dio e l’offerta sacrificale della sua vita fondano e stabiliscono il culto della nuova alleanza nel suo sangue. Questo culto instaurato da Gesù Cristo porta al suo compimento gli abbozzi di culto della prima alleanza, offrendo l’unico sacrificio che vale una volta per tutte, a differenza dei sacrifici di animali dell’antica Legge, perché è il sacrificio dell’Agnello senza macchia «il quale con uno Spirito eterno offrì se stesso senza macchia a Dio» (Eb 9,14) perché noi rendiamo culto al Dio vivente. Questo culto eterno, il Cristo lo rende presente nel nostro tempo e nel nostro spazio attraverso la santa Eucaristia, culmine del dono di Dio, Verbo fatto carne e Spirito vivificante, posta alla fonte del culto della nuova alleanza.

B. L’istituzione della santa Eucaristia

«Il nostro Salvatore nell’ultima cena, la notte in cui fu tradito, istituì il sacrificio eucaristico del suo corpo e del suo sangue, onde perpetuare nei secoli fino al suo ritorno il sacrificio della croce, e per affidare così alla sua diletta sposa, la Chiesa, il memoriale della sua morte e della sua resurrezione: sacramento di amore, segno di unità, vincolo di carità, convito pasquale, nel quale si riceve Cristo, l’anima viene ricolma di grazia e ci è dato il pegno della gloria futura» (Sacrosanctum Concilium, 47).

Ciò che il Salvatore istituì la notte in cui fu tradito, è il dono di se stesso, spinto dal suo amore estremo: «Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine» (Gv 13,1). L’istituzione della santa Eucaristia è il dono dell’Amore in Persona, è Dio stesso che si dona nel sacramento della Pasqua di Cristo. Gesù istituisce questo sacramento attraverso un rito che perpetua l’offerta della sua vita in sacrificio di espiazione per i peccati e ne traduce il senso con un gesto di servizio, la lavanda dei piedi.

La cena memoriale della Pasqua giudaica permetteva al popolo d’Israele di ricordarsi della sua alleanza con Dio e di rivivere attraverso il rito l’intervento reale ed efficace di JHWH nella sua storia. La sera del giovedì santo, Gesù sa che porta a compimento il memoriale della cena pasquale giudaica: egli prende del pane, pronuncia la benedizione e dice: «Prendete e mangiatene tutti, questo è il mio corpo dato per voi», poi prende una coppa colma di vino e dice: «Prendete e bevetene tutti, questo è il mio sangue versato per tutti». Fate questo in memoria di me. Attraverso questi gesti e queste parole, Gesù istituisce un nuovo rito, il suo rito pasquale, attraverso il quale egli si sostituisce all’agnello tradizionale donandosi e sacrificandosi per amore. Il suo gesto d’amore realizza la nuova alleanza nel suo sangue, che libera l’umanità dal peccato e dalla morte.

È sempre sotto la spinta dello stesso amore che il Cristo risorto, nella potenza del suo Spirito, attualizza il dono dell’Eucaristia ogni volta che la sua Chiesa celebra il rito che ha ricevuto nell’ultima Cena, alla vigilia della sua Passione. Celebrando questo rito sacramentale, la Chiesa è intimamente associata all’offerta di Gesù Cristo e dunque all’esercizio della sua funzione sacramentale per il culto di Dio e la salvezza dell’umanità. «Effettivamente per il compimento di quest’opera così grande, con la quale viene resa a Dio una gloria perfetta e gli uomini vengono santificati, Cristo associa sempre a sé la Chiesa, sua sposa amatissima, la quale l’invoca come suo Signore e per mezzo di lui rende il culto all’eterno Padre» (SC 7).

L’istituzione dell’Eucaristia nasconde un profondo mistero che trascende la nostra capacità di comprensione e le nostre categorie. È il mistero della fede per eccellenza. La Chiesa se ne nutre continuamente perché vi riceve la sua vita e la sua ragion d’essere. All’ultima Cena, Gesù le ha fatto dono della sua presenza sacramentale, che è una presenza «reale e sostanziale», benché velata sotto gli umili segni del pane e del vino. Egli le ha donato di accogliere, come realtà che sgorga senza posa dal suo cuore eucaristico, la sua dichiarazione d’amore e il dono del suo corpo e del suo sangue come un evento sempre nuovo che continua a realizzarsi. È là il senso profondo del «memoriale» che, come già nella tradizione giudaica, ha il senso di un avvenimento oggettivo e non solo quello di un atto soggettivo di memoria di cose passate. La celebrazione del memoriale ricolloca i partecipanti nel mistero della Pasqua del Signore.

II - L’Eucaristia, memoriale del mistero pasquale

A. Il memoriale della Pasqua di Cristo, un dono trinitario

Qual è dunque il contenuto di questo memoriale che la Chiesa celebra fin dalle origini come il dono per eccellenza del Signore? Gesù ne ha stabilito la forma essenziale nell’ultima Cena pronunciando le parole dell’istituzione sul pane e sul vino per mutarli nel suo corpo e nel suo sangue. Ma il gesto del dono personale di Cristo cela un contenuto inesauribile che non si finirà mai di approfondire, poiché esso racchiude tutta la sua Pasqua, cioè la sua offerta d’amore al Padre fino alla morte di croce e alla sua risurrezione dai morti per la potenza dello Spirito Santo.

Quando la Chiesa celebra l’Eucaristia, essa accoglie il dono di Cristo che si consegna nelle mani dei peccatori in obbedienza alla volontà del Padre. San Paolo proclama solennemente nell’inno della lettera ai Filippesi: «Apparso in forma umana, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce. Per questo Dio l’ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché nel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra; e ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre» (Fil 2,8-11).

La Chiesa accoglie così il dono che il Padre fa al mondo del suo Figlio unico, incarnato e crocifisso: «Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna» (Gv 3,16). «Vedete dunque con quale straordinaria generosità Dio fa a gara con gli uomini – esclama Origene –. Abramo ha offerto a Dio un figlio mortale che non doveva morire. Dio ha consegnato alla morte per gli uomini un Figlio immortale» (Omelie sulla Genesi, SC, 7, VIII, 8). Il sacrificio di Isacco nell’antica alleanza annunciava e preparava il sacrificio per eccellenza della nuova alleanza, quello del vero Agnello.

L’atto d’amore del Figlio che si offre corrisponde perfettamente al gesto d’amore del Padre che lo offre, e questa perfetta corrispondenza dell’amore del Padre e del Figlio verso di noi è confermata dallo Spirito Santo che risuscita il Cristo dai morti. Lo Spirito conferma così l’autorità divina della predicazione di Cristo e dei suoi gesti salvifici, giustificando nello stesso tempo il consenso totale richiesto dalla fede cristiana. Ecco il cuore della Buona Novella che la Chiesa annuncia a tutte le nazioni fin dalle origini e che celebra in ogni Eucaristia: «Il vangelo di Dio… riguardo al Figlio suo, nato dalla stirpe di Davide secondo la carne, costituito Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito di santificazione mediante la risurrezione dai morti, Gesù Cristo, nostro Signore» (Rom 1,4). Il dono per eccellenza dell’Eucaristia rende presente il Cristo risuscitato con tutta la sua vita e il suo mistero pasquale.

È un dono trinitario che opera la riconciliazione del mondo con Dio attraverso l’offerta d’amore del Figlio fino alla morte e attraverso la sua risurrezione che conferma la vittoria dell’amore trinitario sul peccato e la morte.

Lo Spirito Santo conferma la perfetta comunione del Padre e del Figlio nel cuore del mistero pasquale attraverso il suo proprio dono che, glorificando il Figlio, glorifica anche il Padre che lo invia. Per questo la comunione dei fedeli al corpo e al sangue di Cristo è anche una comunione allo Spirito Santo. Sant’Efrem scrive: «Chiamò il pane suo corpo vivente, lo riempì di se stesso e del suo Spirito. [...] E colui che lo mangia con fede, mangia Fuoco e Spirito. [...] Prendetene, mangiatene tutti, e mangiate con esso lo Spirito Santo. Infatti è veramente il mio corpo e colui che lo mangia vivrà eternamente» (Omelia IV per la Settimana Santa: CSCO413/ Syr. 182, 55).

B. Il sacrificio pasquale

Poiché è memoriale della Pasqua di Cristo, l’Eucaristia è anche un sacrificio come ci ricorda con insistenza il Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC, 1365). «Per loro, io consacro me stesso», confida Gesù ai suoi discepoli nella sua ultima preghiera (Gv 17,18). Una volta giunta la sua ora, Gesù non si sottrae alla volontà del Padre: poiché lo ama, egli si consegna liberamente alle mani degli uomini per amore del Padre suo e per amore dei peccatori. L’Eucaristia è il memoriale di questo sacrificio, cioè di questo atto d’amore redentivo che ha ristabilito la comunione dell’umanità con Dio cancellando l’ostacolo posto dal peccato del mondo.

La disobbedienza dell’uomo ha continuamente spezzato il rapporto d’alleanza con Dio nel corso della storia. L’obbedienza d’amore di Cristo riscatta tutte le disobbedienze colpevoli dei figli e delle figlie d’Adamo. «Sacrificio che il Padre accettò, ricambiando questa totale donazione di suo Figlio, che si fece “obbediente fino alla morte” (Fil 2,8), con la sua paterna donazione, cioè col dono della nuova vita immortale nella risurrezione». (Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucharistia, 13). Questo scambio ristabilisce la comunicazione e la comunione tra il cielo e la terra, tra Dio che è Amore e l’umanità che è chiamata a comunicare al Suo amore attraverso la fede. Il sacrificio di Cristo è dunque un sacrificio pasquale, il suo dono totale che fa «passare» tutta l’umanità dalla schiavitù del peccato alla libertà dei figli di Dio. «In verità, in verità vi dico, chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno» (Gv 6,54).

Questo vero sacrificio comporta per il Figlio di Dio una quantità incommensurabile di sofferenze, fino alla sua discesa nell’abisso della morte. I Vangeli ricordano alcuni aspetti della passione di Gesù che rivelano l’abisso della sua sofferenza e del suo amore. La sete del Signore sulla croce, le sue ferite, il suo abbandono, il suo forte grido e il suo cuore trafitto… lasciano indovinare in qualche modo tutte le sue pene, fisiche, morali e spirituali. «Nella sua morte in croce – scrive Benedetto XVI – si compie quel volgersi di Dio contro se stesso nel quale Egli si dona per rialzare l’uomo e salvarlo; amore, questo, nella sua forma più radicale» (Deus caritas est, 12). Contemplando questo amore che soffre e che muore sulla croce, noi impariamo a misurare l’amore infinito del suo cuore e a indovinare l’immensità del dono del santo sacramento dell’Eucaristia.

Alla luce di questa dottrina, si vede ancora meglio la ragione per la quale tutta la vita sacramentale della Chiesa e di ciascun cristiano raggiunge il suo culmine e la sua pienezza nell’Eucaristia. In questo sacramento, in effetti, il mistero di Cristo che offre se stesso in sacrificio al Padre sull’altare della croce, si rinnova continuamente per sua volontà. E il Padre risponde alla sua offerta con la vita nuova del Risorto. Questa vita nuova, manifestata nella glorificazione corporale del Cristo crocifisso, è diventata segno efficace del dono nuovo fatto all’umanità. «La risurrezione di Cristo, è – se possiamo una volta usare il linguaggio della teoria dell’evoluzione – la più grande “mutazione”, il salto assolutamente più decisivo verso una dimensione totalmente nuova, che nella lunga storia della vita e dei suoi sviluppi mai si sia avuta: un salto in un ordine completamente nuovo, che riguarda noi e concerne tutta la storia». (Benedetto XVI, Omelia della Veglia pasquale, 15 aprile 2006).

L’Eucaristia, in quanto memoriale della morte e della risurrezione del Signore, fa dunque assai più che ricordare un avvenimento passato: essa rappresenta sacramentalmente un avvenimento sempre attuale, poiché l’offerta d’amore di Gesù sulla croce è stata gradita al Padre e glorificata per mezzo dello Spirito Santo. Questa offerta supera, di conseguenza, il tempo e lo spazio e, a causa della volontà esplicita del Signore, resta sempre disponibile per la fede della Chiesa. Fate questo in memoria di me. Quando la Chiesa celebra il banchetto eucaristico, essa non fa «come se» fosse la prima volta. Ma accoglie l’avvenimento definitivo, escatologico, «l’avvenimento d’amore unico» che sta sempre realizzandosi per noi. Questo banchetto trae la sua sostanza inesauribile dal sacrificio d’amore del Figlio di Dio fatto uomo che è stato esaltato e che intercede sempre a nostro favore.

 

SECONDA PARTE

L’EUCARISTIA, NUOVA ALLEANZA

III - L’Eucaristia edifica la Chiesa, sacramento di salvezza

Il dono per eccellenza dell’Eucaristia è un mistero di alleanza, mistero nuziale tra Dio e l’umanità. Il Dio vivente vi fa rinascere continuamente la sua Chiesa come popolo radunato, come Corpo e Sposa di Cristo, come comunità vivente che è, nello stesso tempo, una sola Persona mistica con lui. «Rallegriamoci e rendiamo grazie a Dio – esclama sant’Agostino – non soltanto perché ci ha fatti diventare cristiani, ma perché ci ha fatto diventare Cristo stesso» (Tract in Joh. 21,8).

La Chiesa è, in effetti, il popolo della nuova alleanza, inseparabile dall’Eucaristia, come il corpo è inseparabile dalla testa, come la sposa vive del dono del suo sposo. In quanto erede e collaboratrice del dono dell’Eucaristia, la Chiesa, animata dallo spirito e modellata dalla fede di Maria, partecipa al dono che Dio ha fatto al mondo. Essa stessa è come un sacramento, cioè «il segno e lo strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità di tutto il genere umano» (Lumen Gentium, 1). Infatti, essa è il sacramento universale della comunione trinitaria offerta al mondo.

A. Il dono della Chiesa-comunione

a) Maria, prima Chiesa e donna eucaristica

Il dono di Dio al mondo si è realizzato grazie ad una donna, benedetta fra tutte le donne, che ha creduto e si è arresa senza condizioni alla Parola misteriosa del suo Signore. Maria di Nazaret è la donna per eccellenza che ha risposto «Sì» al Dio dell’alleanza compiendo così, nell’Annunciazione, la profezia della Figlia di Sion, diventando la Chiesa nascente. Il suo «Sì» ha accompagnato l’incarnazione del Verbo di Dio dal primo momento della sua concezione fino alla sua morte e alla sua risurrezione. Nessun’altra creatura possiede una memoria tanto concreta del Verbo che si fa carne e fino alla sua carne eucaristica. Nessun altro essere umano conosce così perfettamente cosa significhino la misericordia, il perdono, la compassione e la sofferenza dell’Amore redentore.

Non c’è alcuna testimonianza che Maria fosse presente all’ultima Cena, quando il rito della nuova alleanza è stato istituito, ma essa stava in piedi sotto la croce, là dove fu consumato il santo sacrificio dell’Agnello che ha tolto i peccati del mondo.

Ella è la donna eucaristica per eccellenza, la nuova Eva pienamente disponibile per lasciare libero corso alla fecondità del nuovo Adamo. Mater Dei e Mater Ecclesiae. In lei e per mezzo di lei, la Chiesa comunica già perfettamente alla croce, all’offerta sacrificale del Figlio di Dio. Condividendo con lei la gloria di essere sposa dell’Agnello, la Chiesa contempla Maria ai piedi della croce come l’icona dolorosa e gloriosa del suo proprio mistero di comunione. Con la Vergine immacolata che diventa madre feconda di tutta l’umanità riconciliata, la Chiesa impara ad entrare in comunione con l’amore redentivo e nuziale dell’Agnello immolato, per pura grazia di Dio-Amore.

b) Popolo di Dio e sacramento di salvezza

È nel contesto del pasto eucaristico che la Chiesa accoglie e realizza in modo privilegiato il suo profondo mistero di comunione. Il dono di Gesù che essa commemora, nella fedeltà alla sua Parola, fonda e nutre il rapporto di alleanza che essa intrattiene con Lui, a nome di tutta l’umanità. Il banchetto pasquale di Gesù l’introduce nel Suo amore trinitario, che rinvia alla prima fonte che è il Padre e al dono ultimo che è lo Spirito Santo.

È il Padre, in effetti, che convoca l’umanità al banchetto di nozze del suo Figlio (Mt 22,1-14), banchetto pasquale dove egli stesso offre l’Agnello immolato fin dalla fondazione del mondo e la coppa del Regno che comunica l’ebbrezza dello Spirito di cui parla san Pietro nel giorno della Pentecoste. Donando così alla Chiesa il suo Figlio e il suo Spirito, il Padre l’associa al suo mistero d’amore e di fecondità. Egli la eleva e la nobilita facendola sedere alla mensa celeste dove l’Amore è il solo alimento e la fonte eterna della Vita.

La Chiesa, mistero di comunione trinitaria per tutti gli uomini, è sacramento di salvezza in quanto popolo di Dio radunato nell’unità. Questo popolo è convocato da Dio e organizzato dal suo Spirito secondo diverse funzioni gerarchiche e con molteplici ministeri carismatici per il servizio della nuova alleanza. Esso esprime la sua piena vitalità ecclesiale e assicura la sua unità attraverso la comunione sacramentale dei suoi membri al corpo e al sangue di Cristo. «A noi che ci nutriamo del corpo e sangue del tuo Figlio, dona la pienezza dello Spirito Santo perché diventiamo in Cristo un solo corpo e un solo spirito» (Preg. Euc. III).

Ad ogni Messa, l’epiclesi riprende la preghiera stessa di Gesù per l’unità dei suoi discepoli: «E la gloria che tu hai dato a me, io l’ho data a loro, perché siano come noi una cosa sola» (Gv 17,22). Lo Spirito Santo che discende sulle offerte e sull’assemblea manifesta questa gloria della comunione trinitaria che è all’opera in ciascuna Eucaristia.

Per questo la Chiesa, popolo di Dio e sacramento di salvezza, è convocata e radunata grazie allo Spirito; per mezzo suo, si apre all’intelligenza delle Scritture; con la forza dello Spirito può riconciliarsi continuamente e comunicare fin d’ora alla Vita eterna in virtù del sacramento pasquale.

c) Sposa dell’Agnello e Corpo di Cristo

Per offrirsi al mondo in questo mistero di alleanza, Dio conta sulla Chiesa, sua umile collaboratrice. Anche se povera e fragile a causa dei peccati dei suoi figli, la Chiesa si impegna reimmergendosi senza posa, con la penitenza e la santa Eucaristia, nella grazia del suo battesimo. Essa si sforza di purificarsi e di riformarsi tanto più che è consapevole di ospitare il mistero della comunione con Dio tre volte santo e di essere chiamata a rispondervi in un modo non solo esemplare ma anche nuziale. Perché «tutta la vita cristiana porta il segno dell’amore sponsale di Cristo e della Chiesa. Già il Battesimo che introduce nel popolo di Dio è un mistero nuziale: è, per così dire, il lavacro di nozze (Ef 5,26-27) che precede il banchetto di nozze, l’Eucaristia» (CCC, 1617).

Al culmine della preghiera eucaristica, la Chiesa pone questa esclamazione sulla bocca del suo ministro: «Mistero della fede!». Questa esclamazione di giubilo riconosce l’avvenimento che si sta realizzando, e cioè la trasformazione del pane e del vino nel corpo e nel sangue di Cristo per la potenza dello Spirito Santo. L’esclamazione riconosce anche il mistero della nuova alleanza, l’incontro nuziale di Cristo-sposo che si dona e della Chiesa-sposa che lo accoglie e si unisce alla sua offerta. Per la potenza della sua parola e dell’epiclesi sul pane e sul vino, il Cristo vivente, la cui morte noi annunciamo nell’attesa del suo ritorno, si unisce alla comunità ecclesiale come suo corpo e suo sposo. Egli trasforma l’offerta della comunità riunita nel suo proprio corpo e le offre in comunione il suo Corpo eucaristico come dono nuziale.

«Questo mistero è grande!» esclama l’apostolo Paolo pensando all’unione di Cristo e della Chiesa come il modello e il mistero del matrimonio sacramentale (Ef 5,23). Sant’Ambrogio vede nell’Eucaristia «il dono nuziale» del Cristo alla sua Sposa e nella comunione il bacio dell’Amore». E Cabasilas osserva giustamente: «“Questo mistero è grande”, dice il beato Paolo per esaltare questa unione. Perché questo è lo sposalizio tanto cantato dove lo Sposo purissimo sposa la Chiesa come una vergine. Qui il Cristo “nutre” il cuore di coloro che lo circondano, ed è solo per questo sacramento che noi siamo “carne della sua carne e osso delle sue ossa”» (Cabasilas, La vita in Cristo, IV, 30, S.C. 355 ).

«L’Eucaristia ci attira nell’atto oblativo di Gesù. Noi non riceviamo soltanto in modo statico il Logos incarnato, ma veniamo coinvolti nella dinamica della sua donazione. L’immagine del matrimonio tra Dio e Israele diventa realtà in un modo prima inconcepibile: ciò che era lo stare di fronte a Dio diventa ora, attraverso la partecipazione alla donazione di Gesù, partecipazione al suo corpo e al suo sangue, diventa unione. La “mistica” del Sacramento che si fonda nell’abbassamento di Dio verso di noi è di ben altra portata e conduce ben più in alto di quanto qualsiasi mistico innalzamento dell’uomo potrebbe realizzare» (Benedetto XVI, Deus caritas est, 13).

B. La risposta eucaristica della Chiesa

a) Credere e amare come Maria, in Gesù

Il dono di Dio al banchetto dell’amore impegna la Chiesa a condividere questo dono con l’umanità intera chiamata a diventare Corpo e sposa di Cristo. Il primo omaggio della Chiesa a questo mistero è quello della sua fede, ammirata e adorante. Perché, al mistero del dono eucaristico di Dio stesso, deve corrispondere il mistero della fede come adesione totale e piena di gratitudine della Chiesa, unita alla fede immacolata di Maria. La missione dello Spirito Santo è giustamente quella di assicurare questa corrispondenza nuziale tra l’attualizzazione perenne del mistero eucaristico e l’accoglienza della Chiesa che nutre così la speranza del mondo con la sua testimonianza.

La prima forma di condivisione che sgorga immediatamente dal cuore eucaristico di Gesù è il nuovo comandamento dell’amore: «Come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri» (Gv 13,34). Questo comandamento è nuovo perché la sua misura non è più quella di amare il prossimo come se stessi, ma come Gesù ha amato. Esso è nuovo perché propone l’esigenza fondamentale di entrare nella comunità escatologica dei discepoli che sono uniti a Lui per la stessa fede; è nuovo anche nella misura in cui richiede una umiltà e una volontà di servizio che conducono a prendere l’ultimo posto e a morire per gli altri.

« Il Signore, fratelli carissimi, ha definito l’apice dell’amore, con cui dobbiamo amarci a vicenda, affermando: “Nessuno può avere amore più grande che dare la vita per i suoi amici”. […] Ne consegue ciò che questo medesimo evangelista espone nella sua lettera: “Allo stesso modo che Cristo diede per noi la sua vita, così anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli”, precisamente amandoci a vicenda come ci amò Cristo che diede la sua vita per noi» (S. Agostino, Tract. in Joh. 84,1).

«L’unione con Cristo è allo stesso tempo unione con tutti gli altri ai quali Egli si dona. Io non posso avere Cristo solo per me; posso appartenergli soltanto in unione con tutti quelli che sono diventati o diventeranno suoi. La comunione mi tira fuori di me stesso verso di Lui, e così anche verso l’unità con tutti i cristiani.

Diventiamo “un solo corpo”, fusi insieme in un’unica esistenza. Amore per Dio e amore per il prossimo sono ora veramente uniti: il Dio incarnato ci attrae tutti a sé. Da ciò si comprende come agape sia ora diventata anche un nome dell’Eucaristia: in essa l’agape di Dio viene a noi corporalmente per continuare il suo operare in noi e attraverso di noi. Solo a partire da questo fondamento cristologico-sacramentale si può capire correttamente l’insegnamento di Gesù sull’amore» (Benedetto XVI, Deus caritas est, 14).

b) Lasciarsi riconciliare nell’unità

La celebrazione dell’Eucaristia risveglia la responsabilità dei discepoli di Cristo di fronte alla loro permanente necessità di riconciliarsi e di diventare artigiani di riconciliazione. Essi la esprimono con il ricorso al sacramento della riconciliazione che purifica il loro cuore per la comunione eucaristica e nella decisione di accogliersi nonostante le differenze di culture e di scelte di vita. Essi esprimono anche questa necessità nella richiesta di perdono, nella preghiera di intercessione per tutti e nella preghiera del Signore, nello scambio del segno di pace, nella condivisione di un solo pane e di un solo calice, nella preoccupazione di portare la comunione ai malati o di farsi solidali con i poveri e gli emarginati. Altrettanti segni di quell’amore fraterno che ogni assemblea cerca di vivere e che si costruisce senza posa nel Corpo di Cristo: «Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri» (Gv 13,35).

«Da Cristo Signore la Chiesa è stata fondata una e unica, eppure molte comunioni cristiane propongono se stesse agli uomini come la vera eredità di Gesù Cristo. Tutti invero asseriscono di essere discepoli del Signore, ma hanno opinioni diverse e camminano per vie diverse, come se Cristo stesso fosse diviso. Tale divisione non solo si oppone apertamente alla volontà di Cristo, ma è anche di scandalo al mondo e danneggia la più santa delle cause: la predicazione del Vangelo ad ogni creatura» (Unitatis Redintegratio, 1).

Il fatto che, nel mondo, le Chiese cristiane siano separate nel celebrare il memoriale del Signore mostra le distanze storiche e dottrinali che è impossibile tacere o ignorare. Uniti da un solo e medesimo battesimo, i discepoli di Cristo non possono dimenticare le conseguenze delle loro divisioni sulla testimonianza individuale o collettiva che essi offrono al mondo. La presa di coscienza che essi non possono riunirsi tutti insieme – in piena comunione – alla stessa mensa, e la sofferenza per l’indebolimento della testimonianza missionaria che ne deriva, aiuta ad aprire il cuore e ricercare una riconciliazione tra tutti i membri del Corpo di Cristo «perché siano una cosa sola» (Gv 17,11). Ogni Eucaristia è celebrata nell’attesa e nella speranza della riunione dell’unico popolo di Dio all’unica mensa del Signore.

c) Radunarsi la domenica, giorno del Signore

La Chiesa è la comunità dei discepoli che professano la loro appartenenza al Signore con la pratica dell’amore fraterno verso tutti e dell’amore vicendevole come segno distintivo. Non si può amare dello stesso amore con cui Egli ci ama, senza ricevere costantemente da Lui questo amore. Il suo comandamento nuovo non è un semplice ideale morale offerto alla nostra libertà. È un’alleanza, un amore condiviso tra il Signore e i suoi discepoli, che cresce e si diffonde nel mondo a condizione di attingere continuamente alla fonte dell’Eucaristia domenicale.

Il Signore si manifestò la prima volta la sera di Pasqua nel Cenacolo, poi riapparve otto giorni dopo per l’incontro con Tommaso, l’incredulo. Queste apparizioni hanno confermato la fede dei discepoli e l’hanno preparata alla nuova forma di presenza del Signore nel sacramento e in modo speciale nell’Eucaristia domenicale.

«”Noi celebriamo la domenica a causa della venerabile risurrezione del nostro Signore Gesù Cristo, non soltanto a Pasqua, ma anche a ogni ciclo settimanale”: così scriveva, agli inizi del V secolo, Papa Innocenzo I, testimoniando una prassi ormai consolidata, che era andata sviluppandosi a partire già dai primi anni successivi alla risurrezione del Signore. San Basilio parla della “santa domenica, onorata dalla risurrezione del Signore, primizia di tutti gli altri giorni”. Sant’Agostino chiama la domenica “sacramento della Pasqua» (Giovanni Paolo II, Dies Domini,19).

La domenica è, in effetti, il giorno dove, più che in tutti gli altri, il cristiano è chiamato a ricordarsi della salvezza che gli è stata offerta nel battesimo e che ha fatto di lui un uomo nuovo nel Cristo. «Con lui infatti siete stati sepolti insieme nel battesimo, in lui siete anche stati insieme risuscitati per la fede nella potenza di Dio, che lo ha risuscitato dai morti» (Col 2,12; cfr. Rom 6,4-6). La presenza del cristiano nell’assemblea ecclesiale per l’Eucaristia domenicale non obbedisce anzitutto ad un precetto. Essa è piuttosto una testimonianza della sua identità di battezzato e, dunque, della sua appartenenza al Signore. Questa appartenenza si traduce nell’ascolto della Parola di Dio, nella partecipazione all’offerta e nella comunione all’amore del Signore.

È necessario oggi rievangelizzare la domenica perché in molti contesti il suo senso è stato oscurato sotto la pressione di una cultura individualista e materialista. Come riscoprire il senso del radunarsi dei discepoli attorno al Risorto? Ricordandosi delle testimonianze eloquenti che ci giungono dalle origini cristiane. All’inizio del IV secolo, nell’Africa del Nord, alcuni cristiani hanno preferito morire piuttosto che vivere senza la “domenica”, cioè senza l’incontro con il Signore celebrato nella santa Eucaristia. Questi martiri di Abitene ci interpellano all’inizio del terzo millennio e intercedono per noi affinché riscopriamo la ricchezza dell’incontro vitale con il Signore risorto che si dona nell’Eucaristia,

Il mondo attende questa testimonianza della Chiesa riunita, sacramento di salvezza di cui esso, segretamente, si nutre.

TERZA PARTE

PER LA VITA DEL MONDO

La Chiesa, collaboratrice del Signore risorto, vive del dono di Dio e si unisce a Gesù Cristo, sommo sacerdote, nella comunicazione di questo dono all’umanità. Il mondo beneficia della carità dei cristiani e, insieme, del culto della Chiesa che glorifica Dio intercedendo per il mondo. Che essa dialoghi con Dio nel culto o con il mondo nella missione, la Chiesa non vive per se stessa ma per colui che è «venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza» (Gv 10,10). La sua vita è una testimonianza della Vita del Signore offerta e condivisa nella santa Eucaristia.

IV - L’Eucaristia, vita di Cristo nelle nostre vite

A. Il culto spirituale dei battezzati

«Mediante il battesimo, gli uomini vengono inseriti nel mistero pasquale di Cristo: con lui morti, sepolti e risuscitati, ricevono lo Spirito dei figli adottivi, “che ci fa esclamare: Abba, Padre” (Rm 8,15), e diventano quei veri adoratori che il Padre ricerca» (SC, 6).

«Il battesimo è immersione totale nell’acqua asfissiante della morte, da cui si emerge nella gioia di respirare di nuovo, di respirare lo Spirito. Perché l’acqua, diventando da mortale vivificante, incorpora, secondo il suo simbolismo naturale, la potenza resurrezionale dello Spirito» (Basilio di Cesarea, Trattato sullo Spirito Santo,15. PG 32, 128-129). Il battesimo nella fede della Chiesa introduce il credente nell’esperienza del mistero pasquale di Gesù Cristo, che è morto al peccato e vive per Dio. L’immersione simbolizza la morte e l’emersione simbolizza la vita nuova del cristiano che si impegna a seguire Gesù Cristo nell’obbedienza al Padre per la potenza dello Spirito Santo.

Per questo san Paolo esorta i battezzati a vivere una vita nuova. «Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale» (Rom 12,1). Questo culto spirituale consiste, nella visione paolina, nell’offerta totale di se stessi in unione con tutta la Chiesa. Ciò significa una vita totalmente rinnovata: «Sia dunque che mangiate sia che beviate, sia che facciate qualsiasi altra cosa, fate tutto per la gloria di Dio» (1Cor 10,31). «Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto» (Rom 12,2). Questo culto nuovo si manifesta, tra l’altro, con l’umiltà e il servizio, «ciascuno secondo la misura di fede che Dio gli ha dato» (Rom 12,3).

Perché, continua l’apostolo, «come in un solo corpo abbiamo molte membra e queste membra non hanno tutte la medesima funzione, così anche noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo e ciascuno per la sua parte siamo membra gli uni degli altri» (Rom 12,4-5). Il culto spirituale consiste nell’esercitare il proprio carisma in spirito di solidarietà e di umile servizio, con un amore sincero, nella gioia e, per quanto possibile, nella pace con tutti. E l’apostolo conclude ricordando la lotta costante che il cristiano deve condurre contro le forze del male: «Non lasciarti vincere dal male, ma vinci con il bene il male» (Rom 12,21). «Il sacrificio più grande davanti a Dio – scrive san Cipriano – è la nostra pace, la concordia fraterna e un popolo radunato nell’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo» (Sulla preghiera del Signore, 23).

La vita di Cristo, che nutre la nostra offerta eucaristica, ci assimila a lui e ci rende disponibili per gli altri, nell’unità di un solo Corpo e di un solo Spirito. Essa trasforma la comunità nel tempio del Dio vivente per il culto della nuova alleanza: «Sulla mensa del Signore è deposto il mistero di voi: ricevete il mistero di voi. A ciò che siete rispondete: Amen e rispondendo lo sottoscrivete. Ti si dice infatti: Il Corpo di Cristo, e tu rispondi: Amen. Sii membro del corpo di Cristo, perché sia veritiero il tuo Amen» (S. Agostino, Serm. 272, 1). «Ecco il sacrificio dei cristiani: essere tutti un solo corpo in Gesù Cristo. È il mistero che la Chiesa celebra nel sacramento dell’altare, dove essa apprende a offrire se stessa nell’oblazione che fa a Dio» (S. Agostino, In Jean Evang. tr XXVI??? citazione errata).

B. La vera adorazione

La celebrazione eucaristica rende presente il Cristo nell’atto d’adorazione per eccellenza che è la sua morte sulla croce. Per il suo atto d’amore assoluto fino alla morte, il Cristo ritorna al Padre con l’umanità riconciliata e ottiene per tutti lo Spirito d’amore e di pace che anima l’adorazione della Chiesa in spirito e verità. Per lui, con lui ed in lui, è tutta la Chiesa che diventa adoratrice nel nome dell’umanità riscattata. L’atto di adorazione per eccellenza del Cristo e della Chiesa si realizza nell’offerta del santo sacrificio in Persona Christi, Caput e Corpus, come dice sant’Agostino, includendo la partecipazione attiva dei fedeli a questo mistero di lode, di azione di grazie e di comunione.

Anzitutto interiore, questa partecipazione si esprime attraverso delle parole e dei gesti: le risposta alle parole del presidente, l’ascolto della Parola, il canto, la preghiera universale, le acclamazioni eucaristiche e in modo del tutto particolare l’Amen, la comunione al pane della vita e al calice della salvezza. In tutto ciò si esprime il sacerdozio regale dei battezzati, consacrazione della loro prima ed inalienabile dignità di esseri umani.

L’atto di adorazione del Cristo e della Chiesa nella celebrazione eucaristica non cessa tuttavia con l’azione liturgica, esso si prolunga nella sua presenza sacramentale permanente, suscitando la partecipazione dei fedeli mediante l’adorazione del santo sacramento. L’adorazione eucaristica al di fuori della Messa prolunga il memoriale invitando i fedeli a stare presso il Signore presente nel santo Sacramento: «Il Maestro è qui e ti chiama» (Gv 11,28). Con l’adorazione eucaristica, i fedeli riconoscono la presenza reale del Signore e si uniscono al suo atto di offerta al Padre. La loro adorazione partecipa alla sua, in qual che modo, poiché è per lui, con lui ed in lui che ogni preghiera ed ogni adorazione sale verso il Padre ed è gradita a lui. Il Cristo che annuncia alla Samaritana che il Padre cerca adoratori in spirito e verità (Gv 4,23-26), non è lui stesso il primo adoratore e il capofila di tutti gli adoratori e le adoratrici?

«Trattenendosi presso Cristo Signore, essi godono della sua intima familiarità e dinanzi a lui aprono il loro cuore per se stessi e per tutti i loro cari e pregano per la pace e la salvezza del mondo. Offrendo tutta la loro vita con Cristo al Padre nello Spirito Santo, attingono da questo mirabile scambio un aumento di fede, di speranza e di carità»(Rito del culto eucaristico fuori della Messa, 88).

«È bello intrattenersi con Lui e, chinati sul suo petto come il discepolo prediletto (cfr Gv 13, 25), essere toccati dall’amore infinito del suo cuore. Se il cristianesimo deve distinguersi, nel nostro tempo, soprattutto per l’“arte della preghiera”, come non sentire un rinnovato bisogno di trattenersi a lungo, in spirituale conversazione, in adorazione silenziosa, in atteggiamento di amore, davanti a Cristo presente nel Santissimo Sacramento?» (Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucharistia, 25).

Questa «arte della preghiera» che Giovanni Paolo II associa all’adorazione eucaristica conosce un ritorno di fervore nel nostro tempo e un po’ dappertutto nella Chiesa; essa rende più visibile la sua testimonianza dell’amore di Dio e la sua intercessione per i bisogni del mondo. La pratica dell’adorazione rafforza in effetti, presso i fedeli, il senso sacro della celebrazione eucaristica che, in certi ambienti, ha conosciuto purtroppo un affievolimento. Perché riconoscere esplicitamente la presenza divina nelle sacre specie, al di fuori della Messa, contribuisce a coltivare la partecipazione attiva ed interiore dei fedeli alla celebrazione e li aiuta a vedervi qualcosa di più che un rito sociale.

I frutti dell’adorazione eucaristica toccano anche il culto spirituale di tutta la vita che consiste nel compimento quotidiano della volontà di Dio. Contemplare il Cristo in stato di offerta e di immolazione nel santo sacramento, insegna a donarsi senza limiti, attivamente e passivamente; ad offrirsi fino a donarsi come il pane eucaristico che passa di mano in mano per la santa comunione. Colui che è adorato e visitato nel tabernacolo non insegna a perseverare nell’amore, nel ritmo della vita quotidiana, accettando ogni avvenimento e circostanza senza nulla escludere, salvo il peccato, e cercando di produrre il maggior frutto possibile? La vera adorazione è il dono di sé nell’amore, è l’«estasi dell’amore» nel tempo presente, per la gloria di Dio e il servizio del prossimo. È così che si prolunga nel cuore della comunità e dei fedeli l’adorazione del Cristo e della Chiesa, attualizzata sacramentalmente nella celebrazione dell’Eucaristia.

C. I ministri della nuova alleanza

Al centro del culto della nuova alleanza, è sollecitata la partecipazione attiva dei membri del popolo di Dio, sia dei fedeli laici che dei ministri ordinati. La presentazione delle offerte e l’azione del ministro simbolizzano, in qualche modo, l’insieme di questa partecipazione. «Il pane e il vino diventano, in certo senso, simbolo di tutto ciò che l’assemblea eucaristica porta, da sé, in offerta a Dio, e offre in spirito» (Giovanni Paolo II, Dominicae Cenae, 9). Per la mediazione del ministro che agisce in suo Nome e anche in sua Persona (in Persona Christi) mentre pronuncia le parole della consacrazione, il Cristo assume l’offerta dell’assemblea nella sua e la trasforma nel suo corpo e nel suo sangue.

«Infatti gli Apostoli, nelle loro memorie chiamate vangeli, tramandarono che fu loro lasciato questo comando da Gesù, il quale prese il pane e rese grazie dicendo: "Fate questo in memoria di me, questo è il mio corpo". E parimenti, preso il calice e rese grazie disse: "Questo è il mio sangue"; e ne distribuì soltanto a loro. […] Da allora noi ci ricordiamo a vicenda questo fatto» (Giustino, Apologia I, n. 66-67).

L’assemblea che fa memoria diventa il segno della Chiesa. Essa è costituita da membri assai diversi e tuttavia legati tra di loro e con le altre comunità della Chiesa universale. Questa Chiesa del Cristo, affidata a Pietro e ai suoi successori, nel segno del ministro che agisce nel nome di Cristo in seno all’assemblea è presieduta dallo stesso Risorto. Il ministero dei vescovi e dei presbiteri manifesta allora che questa assemblea riceve il memoriale del Signore come un dono, un dono ricevuto dal Padre da cui ogni paternità in cielo e sulla terra trae nome (cfr. Ef 3,14-15).

Una simile responsabilità chiama i ministri del Signore, particolarmente nella Chiesa latina, a vivere l’impegno del celibato che configura il sacerdote a Gesù Cristo, Capo e Sposo della Chiesa. «La Chiesa, come Sposa di Gesù Cristo, vuole essere amata dal sacerdote nel modo totale ed esclusivo con cui Gesù Cristo Capo e Sposo l’ha amata. Il celibato sacerdotale, allora, è dono di sé in e con Cristo alla sua Chiesa ed esprime il servizio del sacerdote alla Chiesa in e con il Signore» (Giovanni Paolo II, Pastores dabo vobis, 29). Il celibato, di conseguenza, malgrado le incomprensioni della cultura ambientale, resta un dono inestimabile di Dio e uno «stimolo della carità pastorale» (PO 16), un segno della partecipazione particolare alla paternità di Dio e alla fecondità della Chiesa. Profondamente radicata nell’Eucaristia, la gioiosa testimonianza di un presbitero felice nel suo ministero è la prima fonte di nuove vocazioni.

V - L’Eucaristia e la missione

«I due discepoli di Emmaus, dopo aver riconosciuto il Signore, “partirono senza indugio” (Lc 24,33), per comunicare ciò che avevano visto e udito. Quando si è fatta vera esperienza del Risorto, nutrendosi del suo corpo e del suo sangue, non si può tenere solo per sé la gioia provata. L’incontro con Cristo, continuamente approfondito nell’intimità eucaristica, suscita nella Chiesa e in ciascun cristiano l’urgenza di testimoniare e di evangelizzare» (Giovanni Paolo II, Mane nobiscum Domine, 24).

A. Evangelizzazione e trasformazione del mondo

«Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo» (GS, 1). Quando la Chiesa celebra il memoriale della morte e della risurrezione di Cristo, essa non smette di chiedere a Dio: «Ricordati Signore» di tutti coloro ai quali il Cristo è venuto a portare la Vita. Questa preghiera costante esprime l’identità della Chiesa e la sua missione, poiché essa si sente solidale e responsabile della salvezza di tutta l’umanità. Vivendo dell’Eucaristia, essa partecipa all’intercessione universale del Cristo e porta a tutta l’umanità la speranza della vita eterna.

La Chiesa compie la sua missione per mezzo dell’evangelizzazione che trasmette la fede in Cristo e attraverso la ricerca della giustizia e della pace che operano la trasformazione del mondo. Ora, l’Eucaristia è la fonte e il culmine dell’evangelizzazione e della trasformazione del mondo. Essa ha il potere di risvegliare alla speranza della vita eterna coloro che sono tentati dalla disperazione. Essa apre alla condivisione quanti sono tentati di chiudere le mani. Essa mette al primo posto non la divisione ma la riconciliazione. Essa pone la vita e la dignità umana al centro dell’impegno della fede. In una società troppo spesso dominata da una «cultura di morte», esacerbata dalla ricerca del benessere individuale, del potere o del denaro, l’Eucaristia ricorda il diritto dei poveri e il dovere della giustizia e della solidarietà. Essa risveglia la comunità al dono immenso della nuova alleanza che chiama l’umanità intera a diventare accogliente più che mai.

«Evangelizzare, per la Chiesa, è portare la Buona Novella in tutti gli strati dell’umanità, è, col suo influsso, trasformare dal di dentro, rendere nuova l’umanità stessa: “Ecco io faccio nuove tutte le cose”. Ma non c’è nuova umanità, se prima non ci sono uomini nuovi, della novità del battesimo e della vita secondo il Vangelo. Lo scopo dell’evangelizzazione è appunto questo cambiamento interiore e, se occorre tradurlo in una parola, più giusto sarebbe dire che la Chiesa evangelizza allorquando, in virtù della sola potenza divina del Messaggio che essa proclama, cerca di convertire la coscienza personale e insieme collettiva degli uomini, l’attività nella quale essi sono impegnati, la vita e l’ambiente concreto loro propri» (Paolo VI, Evangelii nuntiandi, 18).

A partire dal suo centro eucaristico, la Chiesa di Cristo ha spesso contribuito a costruire la comunità umana, rinforzando il legame d’unità tra le persone e i gruppi umani. È così che le comunità cristiane, pur piccole e povere, sono cresciute in mezzo ai popoli dove erano state piantate. In molte nazioni, come avvenne nelle terre d’America per le nazioni amerinde e europee, la Chiesa di Cristo ha inserito la fede nello spazio di nuove culture. In questo spazio, il cristianesimo non ha mai smesso, attraverso i credenti, di cercare soluzioni nuove ai problemi inediti con cui sono venute confrontandosi le comunità umane che s’impiantavano di volta in volta. La fede cristiana, nel Nuovo Mondo, ha spesso accompagnato la nascita, l’evoluzione e la sopravvivenza dei popoli, mentre il memoriale del Signore ha segnato lo sviluppo religioso e sociale. In ragione del suo alto valore sociale e spirituale, l’Eucaristia ha aiutato a costruire una vera comunità in cui la condivisione della Parola e del Pane di vita si è prolungata nella condivisione di altre realtà umane. Il dono di Dio si è inscritto, così, nella vita del mondo.

In terra d’America come altrove, la Chiesa ha iniziato con un progetto missionario. La fede e le strutture ecclesiastiche, dando origine a una Chiesa particolare che cercava di ispirarsi alla prima comunità di Gerusalemme, hanno contribuito a modellare i tratti del nuovo popolo. Questa Chiesa, come la società dove essa si è inserita, è stata segnata da un generoso slancio iniziale: Orsoline e Ospedaliere, Recoletti e Gesuiti, associati laici e preti secolari hanno attraversato l’Oceano per annunciare il Vangelo di Dio in una nuova terra.

La Chiesa ha attinto all’avventura mistica di questi uomini e di queste donne – avventura condotta avanti con fede e coraggio fino ai limiti della sopportazione fisica – identificandosi con il Paese nel quale cresceva. Il grande slancio missionario – attinto alla fonte dell’Eucaristia – che ha segnato fortemente la storia di questo Paese, è chiamato a continuare e ad approfondirsi di fronte alle nuove sfide della secolarizzazione.

B. Costruire la pace con la giustizia e la carità

La Chiesa è testimone in mezzo agli uomini del dono offerto «perché il mondo abbia la vita». L’Eucaristia è, allora una sfida permanente posta alla qualità della vita e dell’amore dei discepoli di Cristo. Che ho fatto del mio fratello? Che avete fatto di me? «Ho avuto fame, ho avuto sete, ero straniero, nudo, malato, in carcere…» (cfr. Mt 25,31-46). Ciò che i cristiani celebrano è compatibile con le loro relazioni sociali (familiari, interrazziali, interetniche) o con la vita politica ed economica alla quale essi partecipano? Il memoriale dell’avvenimento che essi pongono al centro della storia dell’umanità, svela la loro incoerenza ogni volta che essi tollerano qualche forma di miseria, di ingiustizia, di violenza, di sfruttamento, di razzismo, di privazione di libertà. L’Eucaristia chiama i cristiani a partecipare al continuo rinnovamento della condizione umana e della situazione del mondo; se questo impegno manca, essi sono seriamente invitati alla conversione per vivere l’appello del Vangelo: «Se dunque presenti la tua offerta sull’altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te, lascia lì il tuo dono davanti all’altare e va’ prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono» (Mt 5, 23-24).

La situazione attuale del mondo interpella in particolare la coscienza dei cristiani di fronte al doloroso problema del rispetto della vita umana dal momento del suo concepimento fino al suo termine, così come di fronte al problema della fame e della miseria delle masse. Essa li invita a una globalizzazione della solidarietà in nome della dignità inalienabile della persona umana, soprattutto quando esseri senza difesa sono colpiti da catastrofi naturali, stritolati da cieche macchine di guerra, dallo sfruttamento economico, confinati in campi di rifugiati… Tutti coloro – uomini e donne – che la miseria ha, per così dire, privato della condizione di esseri umani sono il prossimo per cui Cristo è morto. Il suo cuore eucaristico ha preso in anticipo, sulla croce, tutte le miserie del mondo e il suo Spirito preme perché come Lui, in modo pacifico ed efficace, anche noi facciamo una scelta chiara a favore dei poveri e delle vittime innocenti.

Al seguito di Giovanni Paolo II, Benedetto XVI non smette di richiamarsi alla responsabilità degli uomini, in particolare a quella dei dirigenti e dei capi di Stato: «Sulla base di dati statistici disponibili si può affermare che meno della metà delle immense somme globalmente destinate agli armamenti sarebbe più che sufficiente per togliere stabilmente dall’indigenza lo sterminato esercito dei poveri. La coscienza umana ne è interpellata. Alle popolazioni che vivono sotto la soglia della povertà, più a causa di situazioni dipendenti dai rapporti internazionali politici, commerciali e culturali, che non a motivo di circostanze incontrollabili, il nostro comune impegno nella verità può e deve dare nuova speranza» (Discorso al Corpo Diplomatico accreditato presso la Santa Sede, 9 gennaio 2006).

«Noi sappiamo però che il male non ha l’ultima parola, perché a vincere è Cristo crocifisso e risorto e il suo trionfo si manifesta con la forza dell’amore misericordioso. La sua risurrezione ci dà questa certezza: nonostante tutta l’oscurità che vi è nel mondo, il male non ha l’ultima parola. Sorretti da questa certezza potremo con più coraggio ed entusiasmo impegnarci perché nasca un mondo più giusto» (Allocuzione all’Udienza Generale, 12 aprile 2006).

VI - Testimoni dell’Eucaristia nel cuore del mondo

A. La chiamata universale alla santità

Dio ha creato l’uomo a sua immagine e somiglianza (cfr. Gen 1,26). «Se l’uomo esiste, infatti, è perché Dio lo ha creato per amore e, per amore, non cessa di dargli l’esistenza; e l’uomo non vive pienamente secondo verità se non riconosce liberamente quell’amore e se non si abbandona al suo Creatore» (GS, 19).

Le vocazioni all’amore sono molteplici e diverse quanto le persone. La grazia battesimale conferisce a ciascuno la forma d’amore di Gesù Cristo che, poi, il mistero eucaristico nutre e perfeziona fino alla testimonianza della santità. Qualunque sia lo stato di vita – celibatario, coniugato o consacrato – nel quale uomini e donne sono impegnati, tutti sono chiamati alla perfezione dell’amore che il Cristo rende possibile con la grazia della redenzione.

Nell’unità della vita cristiana, le diverse vocazioni sono come i raggi dell’unica luce del Cristo che risplende sul volto della Chiesa. I laici, in virtù del carattere secolare della loro vocazione, riflettono il mistero del Verbo incarnato nella sua realtà di Alfa e Omega del mondo, fondamento e misura del valore di tutte le realtà create. I sacri ministri, da parte loro, sono delle viventi immagini del Cristo capo e pastore che guida il suo popolo nel tempo del «già e non ancora», nell’attesa della sua venuta gloriosa. Alla vita consacrata spetta il dovere di mostrare il Figlio di Dio fatto uomo come il termine escatologico verso il quale tutto tende, lo splendore di fronte a cui impallidisce ogni altra luce, la bellezza infinita che sola può colmare il cuore dell’uomo.

B. La famiglia, Chiesa domestica per una civiltà dell’amore

«L’Eucaristia è la fonte stessa del matrimonio cristiano. Il sacrificio eucaristico, infatti, ripresenta l’alleanza di amore di Cristo con la Chiesa, in quanto sigillata con il sangue della sua Croce (cfr. Gv 19,34). È in questo sacrificio della Nuova ed Eterna Alleanza che i coniugi cristiani trovano la radice dalla quale scaturisce, è interiormente plasmata e continuamente vivificata la loro alleanza coniugale. In quanto ripresentazione del sacrificio d’amore di Cristo per la Chiesa, l’Eucaristia è sorgente di carità. E nel dono eucaristico della carità la famiglia cristiana trova il fondamento e l’anima della sua «comunione» e della sua «missione»: il Pane eucaristico fa dei diversi membri della comunità familiare un unico corpo, rivelazione e partecipazione della più ampia unità della Chiesa; la partecipazione poi al Corpo «dato» e al Sangue «versato» di Cristo diventa inesauribile sorgente del dinamismo missionario ed apostolico della famiglia cristiana» (Giovanni Paolo II, Familiaris Consortio, 57).

La missione specifica della famiglia è quella di incarnare l’amore e di metterlo al servizio della società. Amore coniugale, amore paterno e materno, amore fraterno, amore di una comunità di persone e di generazioni, amore vissuto sotto il segno della fedeltà e della fecondità della coppia per una civiltà dell’amore e della vita. Affinché questa testimonianza tocchi concretamente la vita della società, la Chiesa chiama la famiglia a frequentare assiduamente la Messa domenicale. Perché è attingendo a questa fonte dell’amore che la famiglia potrà proteggere la propria stabilità. Ancor più, affermando la sua consapevolezza di essere Chiesa domestica, essa potrà partecipare più attivamente a quella testimonianza di fede e di amore che la Chiesa inserisce nel cuore della società.

Questa testimonianza della Chiesa domestica è segnata, ai nostri giorni, dal segno della croce, per esempio quando uno dei coniugi è infedele al suo impegno o quando i figli prendono le distanze dalla fede e dai valori cristiani che i genitori si sono sforzati di trasmettere loro; o ancora quando le famiglie sono divise e ricomposte in seguito a un divorzio o a un nuovo matrimonio. Attraverso queste esperienze dolorose, il Cristo non chiama, forse, i coniugi abbandonati, i figli feriti e i genitori sofferenti a partecipare in modo speciale alla Sua esperienza di morte e di risurrezione? Le situazioni difficili e complesse delle famiglie d’oggi invitano i pastori ad una grande «carità pastorale» per accogliere tutte le famiglie ed incoraggiare quanti vivono situazioni matrimoniali irregolari a partecipare all’Eucaristia e alla vita della comunità, anche quando non possono ricevere la santa comunione.

C. La vita consacrata, pegno di speranza nell’attesa dello Sposo

«L’Eucaristia sta per sua natura al centro della vita consacrata, personale e comunitaria. Essa è viatico quotidiano e fonte della spiritualità del singolo e dell’Istituto. In essa ogni consacrato è chiamato a vivere il mistero pasquale di Cristo, unendosi con Lui nell’offerta della propria vita al Padre mediante lo Spirito. L’adorazione assidua e prolungata di Cristo presente nell’Eucaristia consente in qualche modo di rivivere l’esperienza di Pietro nella Trasfigurazione: «È bello per noi stare qui». E nella celebrazione del mistero del Corpo e del Sangue del Signore si consolida ed incrementa l’unità e la carità di coloro che hanno consacrato a Dio l’esistenza»(Giovanni Paolo II, Vita Consecrata, 95).

«“Che sarebbe del mondo se non vi fossero i religiosi”? Al di là delle superficiali valutazioni di funzionalità, la vita consacrata è importante proprio nel suo essere sovrabbondanza di gratuità e d’amore, e ciò tanto più in un mondo che rischia di essere soffocato nel vortice dell’effimero. Senza questo segno concreto, la carità che anima l’intera Chiesa rischierebbe di raffreddarsi, il paradosso salvifico del Vangelo di smussarsi, il “sale” della fede di diluirsi in un mondo in fase di secolarizzazione. La vita della Chiesa e la stessa società hanno bisogno di persone capaci di dedicarsi totalmente a Dio e agli altri per amore di Dio» (Ibid., 105).

«Se anche parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna. […] La carità non avrà mai fine. […] Queste dunque le tre cose che rimangono: la fede, la speranza e la carità; ma di tutte più grande è la carità!» (1Cor 13, 1.8.13).

Santa Teresa di Gesù Bambino, nel nascondimento del suo Carmelo, ha scoperto la sua vocazione leggendo le parole dell’apostolo sull’eccellenza della carità. «La mia vocazione è l’amore», scriveva, «Nel cuore della Chiesa, mia Madre, io sarò l’amore, e così sarò tutto». Scelta dall’amore misericordioso di Dio Padre, essa approfittò di ogni istante della sua vita per abbracciare Cristo, suo Tutto, e per testimoniarlo con la contemplazione e il servizio. Pregando per i criminali, impegnandosi per i missionari, sostenendo i preti con la penitenza, formando le sue novizie alla perfezione dell’amore, Teresa è stata riconosciuta come l’icona moderna della vita consacrata: maestra sulla via dell’infanzia spirituale, patrona universale delle missioni, dottore della Chiesa. «Non mi pento di essermi abbandonata all’Amore», diceva al termine della sua vita.

Il Sinodo sull’Eucaristia dell’Ottobre 2005 ha parlato così delle persone consacrate:

«La vostra testimonianza eucaristica nella sequela di Cristo è un grido d’amore nella notte del mondo, una eco dello Stabat Mater e del Magnificat. La Donna eucaristica per eccellenza, coronata di stelle e immensamente feconda, Vergine Assunta e Immacolata Concezione, vi protegga nella pace e nella gioia di Pasqua per la speranza del mondo, nel servizio che rendete a Dio e ai poveri» (Messaggio dei Vescovi al popolo di Dio, 20).

CONCLUSIONE

DIO HA TANTO AMATO IL MONDO

Come conclusione, alcuni testi del Concilio Vaticano II riprenderanno sinteticamente la prospettiva trinitaria, nuziale e missionaria che abbiamo voluto dare al tema del Congresso eucaristico internazionale del 2008. Dio ha tanto amato il mondo che ha dato il suo Figlio unico affinché per Lui, con Lui ed in Lui il mondo viva la Vita trinitaria. La santa Eucaristia è il dono di Dio per eccellenza, un regalo nuziale, accolto e celebrato nella Chiesa e che fa della Chiesa il sacramento universale della nuova alleanza. Questo dono d’amore impegna essenzialmente la Chiesa nella missione dello Spirito Santo, per andare incontro all’aspirazione universale dell’umanità alla libertà nell’amore.

«Il Verbo di Dio, per mezzo del quale tutto è stato creato, fattosi carne lui stesso e venuto ad abitare sulla terra degli uomini, entrò nella storia del mondo come uomo perfetto, assumendo questa e ricapitolandola in sé. Egli ci rivela « che Dio è carità » (1Gv 4,8) e insieme ci insegna che la legge fondamentale della umana perfezione, e perciò anche della trasformazione del mondo, è il nuovo comandamento dell’amore» (GS 38,1).

«Compiuta l’opera che il Padre aveva affidato al Figlio sulla terra (cfr. Gv 17,4), il giorno di Pentecoste fu inviato lo Spirito Santo per santificare continuamente la Chiesa e affinché i credenti avessero così attraverso Cristo accesso al Padre in un solo Spirito (cfr. Ef 2,18). Questi è lo Spirito che dà la vita, una sorgente di acqua zampillante fino alla vita eterna (cfr. Gv 4,14; 7,38-39); per mezzo suo il Padre ridà la vita agli uomini, morti per il peccato, finché un giorno risusciterà in Cristo i loro corpi mortali (cfr. Rm 8,10-11). Lo Spirito dimora nella Chiesa […] Con la forza del Vangelo la fa ringiovanire, continuamente la rinnova e la conduce alla perfetta unione col suo Sposo. Poiché lo Spirito e la sposa dicono al Signore Gesù: “Vieni” (cfr. Ap 22,17). Così la Chiesa universale si presenta come un popolo che deriva la sua unità dall’unità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo» (LG 4).

«La Chiesa, nel dare aiuto al mondo come nel ricevere molto da esso, ha di mira un solo fine: che venga il regno di Dio e si realizzi la salvezza dell’intera umanità. Tutto ciò che di bene il popolo di Dio può offrire all’umana famiglia, nel tempo del suo pellegrinaggio terreno, scaturisce dal fatto che la Chiesa è «l’universale sacramento della salvezza» che svela e insieme realizza il mistero dell’amore di Dio verso l’uomo» (GS 45,1).

«Un pegno di questa speranza e un alimento per il cammino il Signore lo ha lasciato ai suoi in quel sacramento della fede nel quale degli elementi naturali coltivati dall’uomo vengono trasmutati nel Corpo e nel Sangue glorioso di lui, in un banchetto di comunione fraterna che è pregustazione del convito del cielo» (Ibid. 38,2).

«Nella santissima Eucaristia è racchiuso tutto il bene spirituale della Chiesa, cioè lo stesso Cristo, nostra pasqua, lui il pane vivo che, mediante la sua carne vivificata dallo Spirito Santo e vivificante dà vita agli uomini, i quali sono in tal modo invitati e indotti a offrire assieme a lui se stessi, il proprio lavoro e tutte le cose create» (PO 5).

Buon Pastore, vero pane,
Gesù, pietà di noi;
nutrici e difendici,
portaci ai beni eterni
nella terra dei viventi.

Tu che tutto sai e puoi,
che ci nutri sulla terra,
conduci i tuoi fratelli
alla tavola del cielo,
nella gioia dei tuoi santi.

(S. Tommaso D’Aquino, Lauda Sion)



[1] INVITO

L’Eucaristia, Presenza e Dono di Cristo al mondo, sarà al cuore del grande raduno dei cristiani di tutti i continenti che si terrà a Québec, dal 15 al 22 giugno 2008, per il 49° Congresso eucaristico internazionale.

Come arcivescovo di Québec e primate del Canada, sono felice di dare il benvenuto a quanti verranno per vivere con noi questo avvenimento ecclesiale nella preghiera, nella condivisione e nella comunione.

È stato papa Giovanni Paolo II a scegliere Québec come terra d’accoglienza per questo Congresso eucaristico. La città di Québec occupa un posto particolare nell’America del Nord per il ruolo di primo piano che ha giocato nell’esplorazione del continente e nel primo annuncio del Vangelo alle nazioni autoctone. Québec conta oggi circa mezzo milione di abitanti ed accoglie ogni anno migliaia di visitatori attirati dalla grandiosità della natura e dalla sua originalità architettonica che le hanno valso l’inserimento nel patrimonio mondiale protetto dall’UNESCO. L’anno 2008 segnerà il 400° anniversario della sua fondazione.

All’inizio del terzo millennio del cristianesimo, la Chiesa cattolica, cosciente del fenomeno della globalizzazione, s’interessa a tutto ciò che può promuovere una civiltà dell’amore e della pace. Essa attinge alla fonte della santa Eucaristia l’ispirazione e l’energia che stimolano l’impegno di tutti nella costruzione di un mondo più giusto e fraterno.

Da qui il tema scelto per questo congresso: «L’Eucaristia, dono di Dio per la vita del mondo». Questo tema è sviluppato nel documento teologico di base che ho l’onore di presentare al pubblico dopo la sua approvazione da parte del Comitato pontificio per i Congressi eucaristici internazionali.

Questa esposizione sviluppa alcuni aspetti della dottrina eucaristica, soprattutto quello del memoriale del mistero pasquale del Cristo: è importante, infatti, ravvivare la memoria delle origini cristiane del continente al fine di attualizzare e trasmettere i valori del Vangelo e l’importanza dell’Eucaristia nel nostro mondo d’oggi. Senza dimenticare la lavanda dei piedi e quella parola che può cambiare il mondo: «Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato».

Ringrazio l’équipe di teologi, esegeti e catecheti che hanno lavorato sotto la presidenza di S. E. mons. Pierre-André Fournier – assistito da mons. Jean Picher, segretario generale del Congresso, e di suor Doris Lamontagne, p.f.m., segretaria aggiunta – ed hanno collaborato generosamente alla preparazione di questo testo base. Omelie e catechesi ispirate a questo testo potranno aiutare nella preparazione spirituale dei delegati ed animare la preghiera di tante persone che si uniranno spiritualmente alla celebrazione di questo Congresso.

L’arcidiocesi di Québec accoglierà calorosamente i visitatori e i fedeli che parteciperanno a questo avvenimento in uno spirito ecumenico e nel rispetto di tutte le altre religioni.

Cosciente delle sue debolezze ma forte della fedeltà di Dio, la Chiesa di Québec è fiera di presentare alla Chiesa universale una storia di santità che papa Giovanni Paolo II ha promosso durante il suo pontificato beatificando o canonizzando 14 eminenti figure della nostra terra.

Che la celebrazione di questo Congresso internazionale, in unione profonda a Sua Santità Benedetto XVI, porti ad ogni persona, nella Chiesa, tanta speranza ed una coscienza più viva del dono di Dio per la vita del mondo.

Marc card. Ouellet
Arcivescovo di Québec
Primate del Canada

     

 

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